Il mio incontro con il fotografo di danza Alessio Buccafusca
Trent'anni di foto di danza
24 giugno 2007
Fotografi 1
Uno scatto
ai Berliner Philarmoniker 2
Trent'anni
di foto di danza. 2
Alessio mi
ha portato la poesia. 3
Spregevolezze. 3
Musiche. 3
Ali 3
Cerchio. 3
Bolero. 3
Tre. 3
Vittima. 3
Tra i fotografi che
ho intervistato ce ne sono stati diversi: emergenti, professionisti, delle
celebrità, dediti alla fotografia sociale, interessati al processo della
globalizzazione, dalla complessa intellettualità, maestri italiani…
Solo alcuni esempi.
Douglas Kirkland, oggi nome di grido, quarantasei anni fa
ebbe la fortuna di trascorrere quella che divenne famosa come "an evening
with Marilyn". La Monroe non fu l'unica diva da lui immortalata, perciò a
Kirkland ci si riferisce come al fotografo delle celebrità.
Mimmo Jodice si occupa della sua terra mediterranea che
ricerca senza retoricità alcuna, quasi sottoponendola ad un filtro, per
ritrovare, al termine di questa ricerca, se stesso e la sua autobiografia.
Gabriele Basilico, architetto milanese, si dedica alla
fotografia urbana in bianco e nero, in uno stile documentario (per citare
l'etichetta di Walker Evans), ma sostenuto da una ben precisa intenzione
estetica.
Rafael Navarro, con i suoi "dípticos" proposti
verticalmente, unisce due immagini indipendenti a costituire una terza realtà:
egli lancia così la sfida di un modo di lettura verticale, opposto a quello
orizzontale a cui siamo abituati, incitando così ad una capacità di lettura
globale.
Pierpaolo Mittica racconta una Chernobyl su cui pesa (ma è
sull'intero globo che questo pesa) il pericolo del "sarcofago" che –
scricchiolante – tenta ormai a fatica di contenere il quarto reattore oppure di
quello del "piede d'elefante" che si sta polverizzando, rischiando un
non augurabile crollo.
Anneke Hilhorst ‑ fotografa e moglie di Ed van der
Elsken ‑ del defunto marito ha raccolto l'eredità artistica che va dal
primo fotolibro, Love on the Left Bank (1956), su quella sorta di
cultura underground legata all'atmosfera esistenzialista e pessimista
dei giovani di Saint-Germain-des-Prés, a Bye (1990), il film girato da
van der Elsken sulla propria malattia.
Katharina Mouratidi a partire da un servizio televisivo sul
G8 di Genova ha sviluppato un interesse per il movimento dei
"no-global", che l'ha portata a viaggiare per assistere a conferenze,
incontri, convegni e ad intervistare persone provenienti da 43 paesi.
Nazionalità diverse, artisti ricchi e variegati, ricerche
differenti che hanno sollecitato la mia curiosità intellettuale. Ma alla mia
emozionalità mancava un fotografo la cui opera fosse interamente dedicata alla
danza: Alessio Buccafusca ha colmato questo mio vuoto, conversando con me e
concedendomi anche un'intervista.
"Mi getto a capofitto / nel silenzio d'un teatro."
È questo un incipit da apprendistato: l'incipit
di una poesia che scrissi verso i quindici anni e che mi è tornato nitido alla
mente qualche giorno fa, quando ‑ cioè ‑ ho visto lo scatto che
Alessio Buccafusca dedicò nel 2002 ad una delle prove di Claudio Abbado alla
testa dei Berliner Philarmoniker, presso il napoletanissimo teatro San Carlo.
Scatto che conclude Trent'anni di
foto di danza, il catalogo pubblicato in occasione della mostra
personale svoltasi nell'aprile 2007 presso l’Istituto Italiano di Cultura di
Madrid (la personale verrà replicata a
Napoli, con inaugurazione il 5 luglio, dove rimarrà aperta fino al 2 settembre).
Di questo scatto ho parlato con Alessio Buccafusca giusto
ieri sera. La sua voce riempiva affabilmente la cornetta telefonica,
rispondendo alla mia, che ‑ nella medesima cornetta ‑ cercava
posto: era cogente, infatti, il bisogno di raccontargli il fascino che in me ha
provocato quella sua opera. Con essa egli non ha voluto compiere l'atto di
documentazione d'un momento d'arte, ma ha voluto entrare prepotentemente
nell'arte stessa per interpretarla, divenendone quasi protagonista, affinché la
misteriosa presenza di lui in seno alla massa orchestrale si storicizzasse. Del
resto il fotografo che vede e riproduce, parla – sotto sotto – (anche) di sé,
perché importante è la Weltanschauung che lo porta a vedere ciò che vede
e come lo vede.
Se non apparissi irriverente nella mia autoreferenzialità,
direi che Buccafusca ha scelto il momento meno silente di un teatro per
gettarvisi a capofitto: quello in cui le voci dell'orchestra si alzano per
intrecciare discorsi.
"Que l'importance soit dans ton regard
et non pas dans la chose regardée", ammonisce André Gide. Piegherei
volentieri le implicazioni morali di queste parole al mestiere di fotografo. E,
parlando di Buccafusca, affermo che l'importanza è nel suo sguardo perché è
dietro di esso che egli profondamente vive e sente. Alessio pulsa nella
fotografia dell'orchestra in prova. Alessio c'è. Risulta celato all'obiettivo
perché per forza di cose deve stargli dietro; eppure sentiamo che in qualche
modo lui si trova contemporaneamente anche nella massa orchestrale. Lui c'è, ma
ha voluto contraffare se stesso, nascondendosi nella frastagliatura della
musica.
Mi rendo conto che ho cominciato dalla fine a parlare di Trent'anni
di foto di danza, sono cioè partita da uno scatto dedicato alla musica e
non alla danza, posto a conclusione del catalogo stesso.
È un caso che proprio una fotografia di tale contenuto
costituisca l'epilogo del volume? No. Esisterebbe, infatti, forse la danza
senza la musica? Alessio Buccafusca, durante la nostra telefonata, è andato
oltre, passionalmente affermando che per la danza l'orchestra è fondamentale:
"I grandi balletti classici, vi prego, non rappresentateli mettendo su un
disco!"
Ma veniamo ad altre fotografie che formano Trent'anni di
foto di danza.
Ne parlerò attingendo di nuovo alla telefonata intercorsa
fra Alessio e me.
Mi sono accinta a ringraziare il fotografo napoletano per il
catalogo con dedica che mi aveva spedito a casa e tra noi si è svolta questa
conversazione:
‑ Qual è la foto
che ti è piaciuta di più?
‑ Tutte!
‑ No, dai, così non vale.
‑ Va bene, allora sfoglio il catalogo, che ho davanti a me, e ti racconto
le mie preferenze.
E così è stato.
Come non amare Anna Razzi ne Il lago dei cigni o
Maximiliano Guerra in Diana ed Atteone?
Come non rivivere la pazzia di Giselle, nel magistrale
scatto a Carla Fracci?
Come non guardare trasognati Jorge Donne e Antonio Marquez
in Bolero o Lindsay Kemp in L'angelo o Cyril Pierre e Raimond
Rebeck in Ma Pavlova?
Ancora: come non lasciarsi cogliere dall'arancione forte e
terribile contro cui si staglia la ghigliottina de Il rosso e il nero di
Uwe Scholz o dalla giustapposizione di rosso-giallo-bianco e nero-blu-bianco
del Dafni e Cloe di Joseph Lazzini o dal blu quasi fantascientifico di Revelations
di Motoso Hiroyama, dove un'intensissima Svetlana Zakharova fa parlare la
scena?
A conti fatti vedo che non ho risposto alla domanda di
Alessio: non ho saputo dirgli qual è il mio scatto preferito, perché più d'uno
ne amo. Un lieve senso d'impotenza mi coglie, ma il mio interlocutore giunge
inaspettatamente in mio aiuto affermando: "Mi emozioni..."
Quando una presenza umana o un evento mi colgono, spesso
rispondo con la poesia. Alessio Buccafusca mi ha colto.
Ho guardato e riguardato le sue fotografie e con alcune ho
avuto la sensazione di essere andata emotivamente a sbattere contro di esse e
di aver sanguinato versi.
Li propongo di seguito, i miei versi. Le didascalie e i
numeri di pagina rimandano a Trent'anni di foto di danza, Napoli, Fondazione
Léonide Massine, 2007.
Il rosso e il nero di Uwe Scholz. Semperoper
Dresden, 2006 (pag. 106)
A guardia
di ghigliottina aperta
in siluette
che lunga la sanno
sulla spregevolezza umana.
Claudio Abbado e i Berliner Philarmoniker. Teatro Teatro
San Carlo di Napoli, 2002 (pag. 112)
frastagliando la tua
contraffazione
su musiche in prova
Lindsay Kemp, L'angelo. Todi, 2002 (pag. 58)
ho
variopinto l'angelo
con ali lunghe
e
lungheee
e
lungheeeee
Cerchio
La Compagnia di Ballo del Teatro San Carlo in Dafni e
Cloe di Joseph Lazzini. Teatro Romano di Pompei, 1979 (pag. 102)
Ho sciolto la mia chioma
rossa
da occhi infossati
dentro cerchio di lunasangue.
A sostegno di sofferente
globo
i neri
spingono le braccia
sfumando mani.
Antonio Marquez, Bolero. Teatro Bellini di Napoli,
2005 (pag. 76)
Quanto mi amo
mentre forzo verso l'illusione!
Scuola di Ballo. Teatro San Carlo di Napoli, 2003 (pag. 24)
E i tre
saranno
un solo corpo.
Maximiliano Guerra in Diana ed Atteone, Positano,
1993 (pag. 36)
La tua vittima, sono
e insanguinata.