La poesia che analizza e cura il Femminile. Intervista a Lucianna Argentino

La vita in dissolvenza[1] è una silloge di quattro poemetti-monologo, in cui tu racconti le storie vere e drammatiche di cinque donne: Rita Fedrizzi in Madre, Valentina Cavalli in Gestazione dell’addio, Virginia Woolf e Marina Cvetaeva in 1941 e Aurora/Sara nel poemetto omonimo. Com'è nata l'idea di quest'opera?

La copertina del volume.

Non è semplice dire come e perché si dà l’avvio alla scrittura, anche perché io credo più al quando della scrittura che si realizza, appunto, quando qualcosa in noi si combina tra dovere e necessità. In riferimento a questo lavoro probabilmente è stato per via di qualcosa che era già in me, un’ esigenza latente che attendeva solo il la per esprimersi. Devo aggiungere che in quel periodo sentivo anche il desiderio di sperimentare qualcosa di diverso, di dare corpo e parola all’idea, allora embrionale, di dare voce a chi non ce l’ha o non ce l’ha più. Che è poi quello che fa la poesia. Ho sentito inoltre che le storie di quelle donne erano esemplari, come dice molto bene Sonia Caporossi nella prefazione, di una condizione esistenziale che ci riguarda tutti.

Cominciamo dalla prima storia. Come ne sei venuta a conoscenza?

Ero in libreria nel reparto dedicato alla spiritualità e curiosavo qui e là, non ricordo perché presi proprio quel libro, forse mi incuriosì la copertina o il titolo che non ricordo più e lo aprii a caso, come capita di fare, e mi ritrovai difronte alla storia di questa donna che mi colpì moltissimo. Non era la prima storia simile di cui venivo a conoscenza anche perché diversi anni prima, nel 1994, avevo conosciuto la figlia di Gianna Beretta Molla che nel 1962 fece la stessa scelta e che è stata canonizzata nel 2004. Dopo cercai notizie su Rita tanto per conoscere un pochino di più la sua storia, studiai anche i meccanismi chimici e ormonali della gravidanza, ripensai alle mie di gravidanze, ho tre figli, poi cominciai a scrivere.

La seconda vicenda della tua silloge: Valentina Cavalli. Tu come donna, in che modo hai sentito in te la storia di uno stupro? E, come hai tradotto questo sentire in poesia?

Non è stato semplice anche perché mi interessava raccontare il travaglio interiore di questa ragazza, il cosa l’ha portata, dopo sei anni dalla violenza subita, a suicidarsi. Il primo sentimento che provai quando al telegiornale parlarono di questo dramma fu un insieme di rabbia e di pietà, di compassione. In particolare mi colpirono quei sei anni che non riuscirono ad essere di guarigione, di riconquista della propria immagine, del proprio Sé. È stato questo a spingermi alla scrittura. Ho voluto raccontare/indagare come la violenza fisica colpisca inevitabilmente e a volte, come in questo caso, irrimediabilmente l’anima che la subisce. Ho cercato dunque di immedesimarmi in lei, nella sua tragica esperienza, di provare a sentirla con il corpo e con l’anima.

Veniamo alle due scrittrici a cui è dedicato 1941, Virginia Woolf e Marina Cvetaeva, da te molto amate.

Devo molto a queste due donne (e a molte altre), la loro vita e la loro opera erano profondamente intrecciate e quello che di loro mi è arrivato è un profondo amore per la vita e la scrittura, il senso preciso di come e quanto scrivere sia un gesto di libertà e di verità. Un gesto doloroso a volte perché bisogna attraversare i rovi che ci portiamo dentro per trarne bellezza e loro li hanno attraversati con estremo coraggio fino alla tragica fine della loro esistenza.

In mezzo a questo universo femminile adulto c'è una bambina: Aurora/Sara. Come hai vissuto la stesura del dolore attraverso questa contrapposizione di età differenti?

La scrittura di questo monologo è nata come un gesto riparatore, un piccolo/grande gesto per portare l’attenzione sull’infanzia spesso violata, non necessariamente da abusi fisici, bensì dalla disattenzione degli adulti. Nella storia che racconto si tratta di questo, si tratta dell’assenza dello sguardo della madre in primis, ma anche del padre che sono fondamentali per il bambino perché gli permettono di esistere, di sentirsi nell’ordine simbolico del mondo. Sono profondamente convinta che gli adulti non debbano mai dimenticare il bambino o la bambina che sono stati. Anzi non debbono mai perdere il contatto con quel bambino, con quella bambina, con la grazia speciale dell’infanzia che anche in mezzo al mondo brutto degli adulti riesce a trovare salvezza.

Che cosa auspichi che tragga, chi legge la tua opera, dalla sua intensità, dalle metafore originalissime e profondamente vissute?

Anche se si tratta di storie drammatiche, nelle quali (a parte l’ultimo “Aurora/Sara”) la morte sembra essere la protagonista, è la forza della vita quello che volevo trasmettere, quello che ho fatto in modo che emergesse. Far sentire che anche la morte trema difronte a questa forza immensa che ci sostiene, a quello sforzo di perdurare come diceva Spinoza. E hai ragione quando nella domanda dici “profondamente vissute” perché i poeti in effetti vivono le loro metafore, le traggono dalle profondità del loro vissuto spirituale e le traducono sulla pagina in immagini ricche di significati stratificati così da renderli accessibili a loro stessi e a chi li leggerà.

Pensi possa essere differente l'approccio di un uomo e di una donna di fronte a La vita in dissolvenza?

Penso che non ci sia differenza in quanto l’esperienza del dolore, della morte e il senso profondo dell’esistere, sono comuni a tutti gli esseri umani; mi auspico che possa semmai avvicinare gli uomini all’universo così variegato e ricco delle donne. Un universo che da troppo e da troppi è misconosciuto o riconosciuto male. Spero quindi che possa essere un piccolo spiraglio di luce sull’anima femminile, sul suo modo di guardare al mondo e di essere nel mondo.

Nella prefazione al tuo libro, Sonia Caporossi ad un certo punto dichiara: "Indicativo è il fatto che la poetessa prediliga la rappresentazione poetica del vissuto femminile, lascito metaforico di veri e propri exempla atti a rappresentare la capacità di resistenza, resilienza e autodeterminazione che la Donna assume su di sé come ruolo nel mondo."[2] Quali sono le tue considerazioni?

È proprio così. Le storie di queste donne mi hanno colpita e spinta ad approfondire i temi fondamentali di cui erano portatrici e testimoni dirette, sulla propria pelle, di tutto il loro vissuto che si fa, come ho già accennato, paradigmatico della condizione non solo femminile ma esistenziale di ogni essere umano, qualunque sia il suo genere. Devo aggiungere che c’è nelle donne una forza che attinge alla loro capacità di generare e che dicono sia stata quella a spaventare gli uomini e dunque a spingerli a dominarle, a sottometterle. Ma la forza delle donne è difficile da imbrigliare e ciò che da esse si può imparare è che anche tra tante difficoltà e impedimenti si può fare la differenza, essere la differenza.

Se dovessi sintetizzare in una frase il messaggio del tuo libro, quale sarebbe?

La vita vince perché, come disse Jacob Moleschott: “La vita è aria intessuta con la luce.”



[1] Lucianna Argentino, La vita in dissolvenza, Fanna, Samuele Editore, 2022.

[2] Lucianna Argentino, Op. cit., p. 7.