Avvolti dal silenzio non si chiude: si ascolta. Intervista a Lucianna Argentino
4 febbraio 2023
Lucianna (con due enne: fusione
di un nome apportatore di luce con un altro che riconduce alla grazia)
Argentino al Silenzio ha dedicato molte riflessioni e un volumetto: La
parola in ascolto.
Morfoedro l'ha intervistata.
Come e perché ti sei avvicinata al tema del silenzio?
Credo di essere sempre stata vicina al silenzio. Fin
dall’adolescenza, anche se avevo tanti amici, ogni tanto sentivo il bisogno di
isolarmi, di trovare uno spazio mentale e psicologico che fosse tutto mio. Un
luogo in cui ascoltarmi. Poi quando ho iniziato a scrivere, giusto in quel
periodo, il silenzio e la solitudine sono diventati indispensabili. Soprattutto
il silenzio. La parola poetica, infatti, nasce dal silenzio ed è parola che
vibra di silenzio perché quando si legge una poesia o la si ascolta, il suo
silenzio mette a tacere le voci che in noi ci disturbano per fare sì che essa
venga accolta e possa poi attecchire nel nostro silenzio e parlarci.
"Ognuno ha il suo silenzio" affermi. Che cosa ha
rappresentato e che cosa attualmente rappresenta per te?
Ha rappresentato e rappresenta la possibilità di entrare in
contatto con me stessa, allora con la me stessa che sbocciava alla vita adulta
e quindi silenzio e poesia sono stati i punti cardinali attraverso cui
orientarmi per capire chi ero, cosa volevo e cosa significava per me essere
viva. Posso dire che ancora oggi è, almeno in parte, così. In quanto la
scoperta di sé stessi non finisce mai perché la vita ci mette quotidianamente difronte ad eventi e situazioni che dobbiamo affrontare
utilizzando talvolta risorse che non pensavamo di possedere. Ma da tempo
rappresenta anche la possibilità di scrivere, di penetrare nel mio mondo
interiore e trarne ciò che del mondo esterno in esso accade e trasformarlo in
poesia. Proprio come fosse una sorta di laboratorio chimico.
Mi avventuro in una domanda che – apparendo come negazione di
quella ricca messe che rappresenta La
parola in ascolto – ha il senso della sfida: possiamo formulare una
definizione del silenzio che tutto (o quasi) comprenda?
Lo dico nel titolo del mio libro: il silenzio è parola in
ascolto.
Hai affermato che il silenzio è scoperta di sé. Puoi approfondire
questo aspetto?
Aggiungo, a quanto già detto, che stare nel silenzio per me
è indispensabile perché è una sorta di disintossicazione dai rumori che
giungono dal mondo e possibilità, tra questi, di trovare i suoni buoni, fecondi
che mi aiutano a creare un’esistenza degna di essere vissuta, perché radicata
in quei valori universali costitutivi dell’essere umano, per me e per gli altri
con cui vengo in relazione. Inoltre il silenzio è un intimo dialogo con sé
stessi, non è un monologo come qualcuno mi ha detto, e dunque dialogando si
scoprono e si esprimono tante cose di sé, si scava in sé e si sprofonda dove è
la nostra verità. Bisogna avere il coraggio di stare in ascolto, di immergerci
nel silenzio con una sorta di nudità interiore e donarsi al silenzio così che
esso possa donare a noi i suoi inesauribili frutti, il primo dei quali è una
maggiore consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda.
Un'altra tua affermazione è che il silenzio è un atto
creativo. Ce ne puoi dare conto?
Lo credo fermamente in quanto riuscire a stare nel silenzio,
cosa che tra l’altro non è semplice perché siamo continuamente assediati dalle
voci interiori ed esteriori, è un volersi riappropriare di uno spazio puro,
dove lasciare andare ciò che di noi non ci piace, dove lavorare su sé stessi,
fare un vero e proprio lavoro di manutenzione interiore. Rigenerarci e
ricrearci per poter essere creativi nella vita di tutti i giorni anche quando
siamo alle prese con le incombenze quotidiane. Senza il silenzio che ci
ricollega con le fonti originarie del nostro essere credo che, come ho già
detto, non si riesca a vivere con una vera e profonda consapevolezza. Per me lo
è doppiamente un atto creativo, lo è per me donna e per me poeta.
Nella tua trattazione del tema in questione, un concetto (da
te ribadito poc'anzi) di grande interesse è la connessione evidenziata fra
silenzio e parola poetica. Puoi dirci di più sulla natura di questa relazione?
È una relazione molto intima, profonda. Come ho già detto la
parola poetica nasce dal silenzio dopo aver raccolto tutte le voci che ci
giungono dal mondo e che solo nel silenzio divengono poesia. Nel silenzio con
la complicità spirituale del poeta. Mi ritrovo, infatti, in pieno in ciò che
dice Giorgios Seferis: “Il
mio lavoro non consiste nel seguire idee astratte, ma nell’udire cosa mi dicono
le cose del mondo, nel guardare come si intrecciano col mio spirito e col mio
corpo e nell’esprimerle.” Perché il silenzio è sì intimo dialogo con sé stessi,
ma è soprattutto ascolto. Complicità del poeta e del silenzio che dimorano nel
linguaggio perché questo esprima con la massima esattezza o almeno con una
approssimazione vicina all’esatto, ciò che il poeta voleva dire, che dia parole
alla sua visione.
Ecco una tua citazione, che ben si collega a quanto hai appena
espresso:
"Il poeta che è in ascolto del parlare del mondo,
accoglie la voce silenziosa di tutto ciò che esiste nel suo silenzio […]. È pur
vero e penso che sia esperienza comune che un verso può arrivarci nei momenti e
nei luoghi più impensati – ma giunge sempre da quel silenzio radicale che è
dentro di noi […] perché il poeta vive, oltre a una radicale esperienza del
silenzio, una radicale esperienza del linguaggio, ne penetra il mistero per
questo è in grado di recepire tutto il linguaggio possibile anche quello più
silenzioso proveniente dal mondo, perché solo chi è stato trasformato
dall’incontro con il linguaggio può scoprire il linguaggio in ciò che non
parla."
Ci puoi dire spiegare più approfonditamente il rapporto fra il
silenzio e quella ricerca linguistica che il poeta necessariamente compie?
Come ho detto prima il silenzio e il poeta sono complici nel
cercare un uso più vero ed esatto del linguaggio, linguaggio che spesso è
indocile, sfuggente al regno della poesia che ha regole, se così vogliamo dire,
diverse dal parlare e dallo scrivere quotidiano. La lingua della poesia è una
lingua sotterranea che scorre nelle profondità del linguaggio della mera
comunicazione e sta ai poeti portarlo alla luce perché parli a ciascuno di noi.
Sta ai poeti lavorarlo, scardinare da dentro le sue regole come fanno i bambini
quando rompono un giocattolo per vedere come è fatto dentro. Da dentro il
linguaggio i poeti ne riscrivono le regole sempre nuove perché la poesia è
parola inedita e inaudita, portatrice di nuovi significati, di un senso
diverso, un senso in più e più acuto al nostro sentire sopraffatto
dall’assuefazione, dall’abitudine.
Una definizione di poesia.
Credo non si possa dare una definizione univoca della poesia
perché ciascuno ha la sua così come molteplici sono le definizioni di silenzio.
Per me la poesia è molte cose, ma se proprio la devo definire, in primis, è un atto d’amore.
E una di poeta.
Anche dare una definizione di poeta non è facile, non è
facile nemmeno dirsi poeti. Il poeta è una persona come le altre, ma credo che
ciò che principalmente lo distingue è, tra le altre doti, la capacità di
ascolto. Quindi il poeta è colui che ascolta di un ascolto materno. Dico
materno in riferimento ai valori materni che possono essere espressi da ciascun
essere umano, indipendentemente dal genere.
Consideriamo la tua attività di poeta: da che cosa nasce
l'ispirazione? E come conduci e sviluppi la tua scrittura poetica?
L’ispirazione viene dalla vita stessa, da ciò che di essa mi
rimane dentro e poi preme e spinge per venire fuori e questo può avvenire in
qualsiasi momento perché il poeta è in costante dialogo con ciò che gli accade
dentro, con le fonti profonde del suo essere. Poi nel silenzio la parola viene
forgiata in una forma linguistica adeguata a ciò che il poeta ha sentito, ha
visto. In genere mi arriva un verso che poi si porta dietro tutti gli altri,
oppure un abbozzo di idea che chiede gli si dia una forma. E comunque lascio
sempre decantare ciò che scrivo per poi tornarci sopra anche più volte finché
non suona bene.
Oggigiorno spesso si dichiara che la poesia contemporanea è
affetta da sentimentalismo eccessivo, da un ego improduttivo. Nel caso anche tu
fossi dello stesso parere, potresti dirci qual è, a tuo avviso, l'antidoto che permette
di uscir da tale pelago? O la pensi diversamente?
In realtà credo che alla poesia importi poco dei nostri
giudizi spesso scioccamente ideologici. Ogni tanto esce qualcuno che dice cosa
dovrebbe o non dovrebbe fare un poeta, di cosa dovrebbe o non dovrebbe
scrivere. La poesia non ha pregiudizi, i poeti invece sì e pure tanti. Comunque
da quello che mi capita di leggere direi che ce n’è per tutti i gusti e quelli
con l’ego improduttivo non li annovererei tra i poeti.
La tua prosa, in La
parola in ascolto, è fortemente poetica. Perché questa scelta?
Non è stata una scelta pienamente cosciente. Probabilmente è
stato il modo in cui ho affrontato l’argomento a portarmi a una scrittura dal
timbro poetico. C’è da dire, inoltre, che la scrittura poetica è quella in cui
mi trovo più a mio agio, quella che è maggiormente in grado di esprimere la
verità che giace al fondo, per dirla con Saba. In più trattando il silenzio da
un punto di vista positivo, creativo, indagandone soprattutto l’intima
relazione con la parola poetica è stato quasi naturale che venissi presa da una
simile scrittura.
Dopo La parola in
ascolto, il tuo studio sul silenzio prosegue? Verso quale direzione?
Certamente sì, il mio studio prosegue perché quello del
silenzio è un tema inesauribile. Sto indagando anche sul silenzio degli altri,
voglio dire che ho chiesto ad alcune amiche e amici poeti di dirmi del loro
silenzio e molti nuovi spunti mi sono venuti durante le presentazioni
attraverso il confronto con il pubblico presente. Non so ancora cosa ne verrà
fuori. Se un’edizione ampliata o un nuovo libro, ma sicuramente ne scriverò
ancora.