L’Epégrima

Dalla raccolta di racconti La realtà dell'irreale

Ebe Ghislam, affermata entomologa, si accinse a mettere in ordine gli appunti e le fotografie che aveva raccolto durante il suo soggiorno, a scopo di studio, sulle rive del Ciad. Non ne era molto soddisfatta. Sperava tuttavia di mettere insieme qualcosa di decente per la Casa Editrice che le aveva commissionato il lavoro. Forse, pensò più volte tra sé ridendo, sarebbe riuscita accetta ad una più larga fascia di lettori se avesse scritto una storia ambientata nell'Africa più selvaggia; una storia "giallo-nera" con stregone per assassino e stregone per investigatore. Ma il suo compito consisteva in ben altro, purtroppo. Piuttosto scontenta si accinse a trasferirsi con il materiale raccolto, carta, macchina per scrivere portatile e penne, sotto il piccolo chiosco che teneva un tratto del giardino: una struttura di tondini di ferro ricoperta di caprifoglio e buganvillee fioriti. Qui ella amava lavorare quando si trovava a casa nella bella stagione.

Stava infilando un foglio bianco nel carrello della portatile posata sopra il tavolino pieghevole quando, con la coda dell'occhio, vide qualcosa che si muoveva sul pavimento vicino alla sedia sulla quale aveva preso posto. Il suo interesse si svegliò di colpo: un veloce movimento riflesso e si trovò ginocchioni vicino alla bestiolina (di questo si trattava) che aveva attirato la sua attenzione.

Incredibile! Un esserino mai visto prima né vivo né fotografato né disegnato né descritto. Epeira, grillo, mantide… nessuno di essi ma con qualcosa di tutti e tre. Al colmo dell'eccitazione la Ghislam corse in casa per uscirne quasi subito munita di lente a molti ingrandimenti e della sofisticata cinepresa. Si rimise ginocchioni ad un passo dalla strana creatura e notò che si muoveva disinvoltamente lenta. Potrebbe appartenere al Tipo Aracnidi, pensava eccitata la studiosa spostandosi sulle ginocchia tutta compresa come se stesse salendo la Scala Santa. C'erano però quelle due lunghissime antenne color pistacchio vivissime, vibranti, il cui movimento era in contrasto con l'incedere sempre flemmatico. L'osservatrice, entusiasta più che mai, fu certa di trovarsi sulle tracce di qualcosa di eccezionale.

Ed ebbe ragione.

La strana bestiolina dapprima parve impaurirsi: dovette sentire la presenza della donna incombente su di sé come un'enorme nube temporalesca; ritirò le antenne che fece agevolmente aderire al dorso, appallottolandosi poi quasi come un onisco. Posizione che mantenne per pochi secondi appena, dopo di che si distese riprendendo il suo deambulare flemmatico, ma decisamente teso ad una meta ben definita. Ebe Ghislam la seguì trovandosi alla fine ai piedi di un vecchio pero che non aveva quasi mai dato frutti.

Così ora stava davanti al pero, con le ginocchia indolenzite dalle zolle dure per i rizomi di mammole che quell'anno avevano molto proliferato, di fronte ad una grande cavità, che uno sguardo disattento non avrebbe notato perché seminascosta dai fili di graminacee i quali sopravanzano i cespi di viole, più altre erbe da terreno incolto. Qui subito notò in mezzo all'erba tutto un brulichio di brunastro, nero e verde pistacchio. Era logico dedurre che lì viveva una colonia di questi strani esseri; forse un'organizzazione del tipo formicaio o alveare. Anche un'altra cosa la Ghislam credette di poter dedurre: essi conducevano una vita esclusivamente di superficie, almeno nella bella stagione. La cavità, probabilmente, serviva solo da deposito viveri. In seguito avrebbe scoperto che essi erano onnivori e assai voraci e che, torno torno l'imboccatura del magazzino, vegliava sempre, a turno, una dozzina di guardie attente, decise, persino crudeli contro ogni predatore anche assai più grosso di loro.

L'interesse e l'entusiasmo della donna toccavano ormai l'acme e, nonostante la sua fosse una mente tarata per ubbidire ad uno stretto rigore scientifico, non di rado la fantasia le sferrava attacchi proditori. Ora, pur sempre presa dall'osservazione intelligente, una parte del suo cervello era invasa da immagini caleidoscopiche trionfalmente rutilanti. Erano titoli di giornali scritti in varie lingue: "Ebe Ghislam: una scoperta sensazionale", "Un nuovo essere vivente scoperto dalla Ghislam: tratto d'unione tra Insetti e Aracnidi?", "Al ritorno dall'Africa, la nota entomologa Ebe Ghislam fa una scoperta sensazionale", "Epégrima, ecco il nome coniato dalla Ghislam per l'animaletto da lei scoperto e studiato"…

Ma tutto ciò non intaccava minimamente il suo perfetto senso organizzativo. Da questo momento l'osservazione avrebbe dovuto essere ininterrotta. E poiché, appena potendo, ricusava l'aiuto di chicchessia, decise che la sua preziosa cinepresa sarebbe stata all'altezza di fare le sue veci durante le poche ore di indispensabile riposo.

Otto mesi e quattro giorni. L'entomologa ritenne che ora poteva mettere organicamente per scritto tutte le sue osservazioni e le sue deduzioni.

Una colonia di quasi duecento individui capeggiati da un vero e proprio Re assoluto (da lei battezzato re Clébem) appena un pochino più robusto dei suoi sudditi. Esso era sempre seguito, a rispettosa distanza, da una dozzina di Epégrime totalmente nere se si eccettuano le antenne verde pistacchio, né più né meno uguali a quelle di tutti gli altri componenti: i Consiglieri di Corte. In occasione delle sedute (una volta la settimana) essi si mettevano in cerchio intorno a Re Clébem, muovendo a turno le antenne che la donna non tardò ad immaginare essere un loro modo di comunicare. Dopo aver osservato attentamente riuscì a decodificarne il significato.

Le sedute avvenivano per tre motivi: punire qualche procacciatore di cibo che avesse battuto la fiacca; prelevare razioni extra per motivi speciali dal deposito viveri; organizzare e compiere imponenti cortei politici. Nel primo caso interveniva la Polizia di Stato al completo (una ventina di individui) che circondava il colpevole serrandolo contro un sasso o contro il tronco stesso del pero. Una volta immobilizzato, a turno i poliziotti, procedendo a ritroso, vi si buttavano addosso una volta ciascuno. Dopo un simile trattamento il poveretto rimaneva a terra stordito anche per mezz'ora. Ma appena rinvenuto si precipitava in cerca di cibo per la comunità. Nel secondo caso si trattava di allestire festini cui partecipavano il Re, i Consiglieri e una mezza dozzina di favorite. Costoro si ingozzavano fino a cadere addormentati sul luogo stesso ove rimanevano anche per un'ora di seguito. Nel terzo caso il Re apriva una lunga processione preceduto dalla Polizia di Stato al completo e seguito dalla Corte. Tutti gli altri venivano in file ben disciplinate ad una certa distanza.

Queste notizie furono raccolte durante i primi due mesi di osservazione. Allo scadere del secondo mese avvenne però un fatto eccezionale che elettrizzò l'osservatrice. Il Re e i Cortigiani stavano banchettando quando all'improvviso un Epégrima, con un balzo fulmineo, si portò alle spalle di Clébem gettandolo a terra. Subito da ogni dove sbucò almeno un centinaio di individui che, un colpo l'uno un colpo l'altro, finirono il caduto divorandoselo. Al banchetto parteciparono anche le favorite, mentre tutti i Consiglieri riuscirono a porsi in salvo arrampicandosi sulla cima del pero.

Ad un tratto, come ad un segnale che la Ghislam non riuscì a captare, i rivoltosi si fecero da parte lasciando libero lo spazio dove prima era stato sacrificato Re Clébem. Subito avanzò un individuo, in tutto uguale agli altri ad eccezione che era un po' più robusto. La studiosa si sentiva di giurare di non averlo mai visto prima e subito lo battezzò Macàb. Solo così perché non aveva nulla che potesse giustificare il titolo di re: il suo aspetto non era per nulla dignitoso.

Il nuovo arrivato cominciò a guardarsi in giro con amabilità evidente, muovendo di continuo le antenne che sfioravano i più vicini, i quali parevano trarne gran piacere. Ad un certo punto Macàb fece un cenno ed un gruppetto di Epégrime si diresse velocemente al magazzino dei viveri, per portare all'esterno ogni bendidio, cui attinsero tutti con ingordigia come fossero digiuni da una settimana.

Dalla morte del Re erano passate un paio d'ore. La luna, che nel frattempo si era levata, illuminava ora una scena non proprio edificante. I gozzovigliatori se ne stavano stravaccati in pose volgari sparsi per un buon tratto intorno al pero. Sorridendo con una punta d'amarezza l'entomologa pensò che non c'è mai nulla di nuovo né sotto il sole… né sotto la luna.

Si sentiva stanca e stava pensando di approntare la cinepresa automatica per riposarsi almeno qualche ora, quando un lievissimo fruscìo le fece alzare il capo: illuminati in pieno dalla luna, in fila indiana, stavano scendendo con ogni cautela i Consiglieri che, al momento del regicidio, si erano rifugiati in cima all'albero. Evidentemente molto affamati si satollarono con i resti abbondanti della gozzoviglia di poco prima; poi, tranquilli, si addormentarono tra i rivoltosi senza che nessuno vi badasse. Ora si trattava di vedere il modo in cui si sarebbe comportato il nuovo capo. Il mattino seguente la Ghislam fu appagata nel suo desiderio.

Come s'era aspettata nessun mutamento sostanziale avvenne nella vita della comunità. I Consiglieri del Re diventarono Ministri di Macàb; la Polizia di Stato rimase inalterata sia nelle mansioni sia nelle persone; le favorite divennero Aiuto-ministro; mentre i restanti Epégrima continuarono a procurare cibo per tutti. Volendo essere precisi bisogna ammettere che in superficie qualcosa era mutato. Il nuovo Capo, infatti, a differenza del sovrano ucciso, anche se rigorosamente protetto da numerose ed efficienti guardie del corpo, era incline a dare udienza ai postulanti. Ma tutto si limitava a questo perché ciascuno se ne veniva via senza aver ricevuto né un sì né un no. Semplicemente aveva ottenuto di sfogarsi con una statua, di tanto Macàb rimaneva muto e impassibile.

Passarono altri due mesi allo scadere dei quali avvenne quello che era avvenuto due mesi prima, anche se con una diversa dinamica. Durante un giro d'ispezione nel deposito viveri un Ministro fece precipitare in una piccola buca, piena a metà di miglio, il Capo Macàb. Si sa com'è il miglio: per quanti sforzi facesse il caduto non riusciva a trovare appigli che lo aiutassero a risalire, scivolando continuamente fino a sparire come nelle sabbie mobili. Comunque era evidente che anche se fosse riuscito a risalire dalla buca gli astanti avrebbero finito per divorarselo. Quando fu chiaro che il malcapitato Macàb era entrato nel regno dei più, un Epégrima uscì impettito dal magazzino seguito assai rispettosamente dagli altri. "Oh, santo cielo! ma questo è Clébem redivivo!", pensò sbalestrata la studiosa. "O forse è Clébem II?"

Era così infatti. I Ministri gli si fecero subito intorno ridiventando, ipso facto, Consiglieri del Re, mentre le Aiuto-ministro tornarono a coprire il ruolo di favorite.