Dalla raccolta di racconti La realtà dell'irreale

"Jago" Mucciaccio, permetti che mi accosti al tuo genio. Ho una giustificazione, almeno credo, ed è la comprensione totale della tua sofferenza di essere umano, profonda e lunga una vita; pellegrini entrambi, con tanti altri, sulla stessa barca che ti sballottò, che mi sballotta impietosamente alla deriva, senza speranza di attraccare a calmi porti. Mi ti accosto onde chiederti il permesso di mutuare la tua idea per un impianto compositivo al fine di poter scrivere

L'Uomo e l'Ecologia

L'Uomo scolò l'ultima goccia d'acqua con una smorfia di disgusto. Meno male che era proprio l'ultima. Capovolse la borraccia di plastica per scrupolo di coscienza: asciutta. Respirando di sollievo la gettò sul mucchio di rifiuti che stava alla sua destra. Scelse il lato destro per comodità, ma avrebbe cambiato nulla se avesse gettato il vuoto alla sua sinistra. Infatti su entrambi i lati si ergeva un enorme mucchio di rifiuti, alti e continui come due catene montuose.

Gettando la borraccia l'Uomo aveva sorriso: non era stata facile la decisione di portarsi dietro quell'oggetto inutile e obsoleto per berne il contenuto. Ma aveva dovuto compiere questo atto coraggioso per potersi inserire totalmente nella sfera dei Tempi Nuovi. Nulla di più scomodo che non essere accettati e non accettare la realtà circostante.

L'Uomo camminava speditamente con lo sguardo fisso davanti a sé, lungo il sentiero rettilineo tra le due catene di rifiuti che riusciva a seguire con la coda dell'occhio. Uno schifo quel prodotto delle precedenti generazioni. D'altra parte che cosa ci si può aspettare dai barbari? Fortunatamente era quasi ultimato il Grande Progetto per mezzo del quale le Autorità avrebbero distrutto (alla faccia di Lavoisier) tutta quella porcheria, dopo di che si sarebbe potuto vivere assai meglio, dimenticando il passato e procedendo sempre dritto, senza guardare né a destra né a sinistra, senza pensare o riflettere, ma preoccupandosi soltanto di svolgere il compito rigorosamente assegnato a ciascuno; solo così la Palla Terra sarebbe stata costretta a girare in perfetta fase.

Pensando l'Uomo si accorgeva di… pensare. Gli era rimasto questo vizio nonostante tutto. E lo sapeva solo lui gli sforzi compiuti per guarirne! Sua madre gli aveva spiegato che era un'odiosissima tara ereditaria. Meno male che la Scienza, nonostante annunciasse continuamente che sarebbe stato messo in circolazione quanto prima, ancora non era riuscita ad ultimare definitivamente la Macchindovina, in funzione la quale nessuno avrebbe più potuto avere segreti personali così dannosi al bene della Comunsocietà.

Certo che se la scienza riteneva di doversi occupare di questo significava che il vizio di pensare era ancora molto diffuso.

Ad interrompere il flusso di queste considerazioni venne il familiare ffrrzz ripetuto tre volte, con l'accendersi simultaneo delle piccole luci rosse una su ciascun polsino della tuta. Ciò coincideva con un lieve senso di disagio appena avvertito, tra la noia e la stanchezza fisica, e significava che era il momento di immettere nel corpo il nutrimento solido e liquido, nonché il corroborante per i nervi (che equivaleva ad una sana e lunga dormita, come la chiamavano gli avi).

Senza rallentare il passo, regolato su un ritmo lento e costante, l'Uomo estrasse dalla tasca sulla coscia del pantalone destro, tre contenitori della grandezza d'una scatola di zolfanelli, distinti dai colori verde, giallo, blu. Li aprì con un semplice colpo di pollice, ed estrasse da ciascuno una compressina poco più grossa della capocchia di uno spillo, dal colore corrispondente a quello della scatola che la conteneva. Dopo averle raccolte nel cavo della mano se le ficcò in bocca contemporaneamente. Al contatto della saliva si sarebbero sciolte ed egli si sarebbe sentito nuovamente in ottima forma, con una gran voglia di camminare sempre con lo sguardo dritto davanti a sé.

L'unica cosa che temeva era il pensiero. Gran brutta faccenda questa tara ereditaria. Il sacrificio che aveva compiuto di trangugiare lo schifosissimo liquido chiamato acqua era stato proprio necessario al fine di romperla, una volta per tutte, con il passato. La sua famiglia nucleare era notevolmente compromessa per via della madre che stava, se così si può dire, nel mirino del Podessindaco. Più volte costui aveva inserito la scheda personale della donna, usufruendo dell'impianto speciale in funzione in ogni quartiere, nel C. M. C. (Computer Morale Comunitario) per dimostrare a tutti la sua posizione deplorevole di dissidente e per il suo assurdo e deleterio attaccamento al passato. Grave accusa questa in una società dei Tempi Nuovi, che poteva portare a conseguenze molto molto spiacevoli. L'Uomo era sempre stato inquieto per tutto ciò, anche perché sentiva per sua madre qualcosa di inspiegabile e confuso. Attaccamento che lei, con un sorrisetto ironico e soddisfatto, chiamava affetto filiale. Quante idee balorde si annidavano in quella benedetta donna. E che caparbietà, per blucobalto! Che cosa le sarebbe costato, in fondo, fingere di approvare il Sistema e lasciarsi tranquillamente trasportare dalla corrente assieme alla fiumana dei suoi simili?! Se l'Uomo poi pensava alla borraccia piena d'acqua si sentiva accapponare la pelle. Paura. Ecco, la paura era uno dei tabù più difficili da rimuovere. Gli scienziati ci si stavano accanendo perché era veramente nociva sotto ogni aspetto. Tuttavia, nonostante grande dispendio di energie e di capitali, non erano ancora approdati a nulla, cosicché l'umanità era assai spesso vittima della paura per mille e una ragione, e il manifestarla non era ancora punito come vilipendio al Sistema. Come capita sempre al pensiero di un pericolo scampato, l'Uomo si sentì pieno zeppo di brividi. Sua madre era stata maledettamente esplicita quando aveva deciso, molti anni addietro, di svelargli il segreto.

Era giunta a tale determinazione perché le pareva giusto che il ragazzo sapesse che cosa aveva nascosto nel luogo in cui viveva.

– Vedi, – aveva spiegato la donna con la sua voce piana e tranquilla, – è come tenere devotamente nascosto il ritratto di un tiranno giustiziato dai rivoluzionari vincitori. –

Dopo di che non c'è da stupirsi se l'Uomo aveva perso il sonno. E la fatica, blucobalto!, per convincere la donna a disfarsi della sua preziosa reliquia. Pare che in tempi remotissimi (così rifletteva l'Uomo) un popolo – lattanzi, latoni, latini non ne ricordava il nome – usasse dire nella sua lingua stramorta e strasepolta, che la goccia scava la pietra. In soldoni stava a significare che qualcosa di molle, a furia di insistere, scava qualcosa di duro. Bene, era proprio stato così. Dai oggi, dai domani alla fine sua madre (ma anni e anni incredibili aveva resistito) cedette, acconsentendo ad eliminare quella fonte di pericolo. Una mattina l'aveva tolta dall'ingegnoso nascondiglio ricavato sotto il pavimento della camersàla e gliel'aveva consegnata dicendo con voce un po' rotta:

– Ecco, imprimiti bene l'immagine di questo oggetto nella mente e ricordati che esso rappresenta il simbolo di una cultura perduta, basata su alti ideali e su profondi sentimenti. Non ti saprei dire quanti ancora sono a conoscenza di questa cultura così diversa dalla nostra. Nessuno, credo, perché la gente rigetta con disprezzo, se non addirittura con ribrezzo, tutto quanto è vecchio, senza discrimine. Ma io ho il culto del passato e mi vanto di saper distinguere il grano dal loglio. –

La donna stringeva tra le mani ossute e forti, ma che in quel momento erano scosse da un lieve e inusitato tremito, l'oggetto sacro e incriminato. L'Uomo era sulle spine. Si guardava intorno come un essere braccato osservando la camersàla che ad un tratto gli parve estranea e ostile. Eppure era sempre la stessa. Di forma allungata aveva una superficie di quaranta metri quadri. Con le pareti trasparenti di aria compressa e situata all'ottantesimo piano della torre-casa, era identica a tutte quelle assegnate alle famiglie nucleari come la sua. Le famiglie con più componenti (mai oltre quattro, comunque) occupavano camersàle più ampie. L'arredamento però era identico per tutti: qualche tavolino-mensola e un guardaroba di materiale assai leggero e sedili e materassi gonfiati a ossigeno trattato in modo da ridurne a zero l'infiammabilità. Questi ultimi dietro paraventi opachi che servivano per la notte della coppia o del singolo. Unico locale, oltre la camersàla, lo stanzino per l'igiene personale e il lavaggio delle tute; operazioni effettuate esclusivamente con mezzi chimici.

Quindi tutto normale. Oltre a ciò sua madre aveva avuto l'avvedutezza di abbassare la cortina a base di grafite che, al solo premere un pulsante, poteva schermare fino all'opacità totale un pezzo di parete, una intera, due o tutte le pareti in modo da togliersi dalla curiosità altrui. Soltanto dopo essersi accertata di non aver lasciato nemmeno uno spiraglio da cui qualcuno avesse potuto curiosare all'interno della camersàla, la donna aveva tratto dal nascondiglio il suo tesoro.

– Ecco, – aveva sussurrato. E stava per cederlo al figlio quando lo strinse nuovamente fissando l'Uomo negli occhi.

– Ascoltami, per piacere, tu sai che mi decido a questo sacrificio per favorirti; ma mi devi promettere una cosa: prima di buttare la borraccia dovrai berne il contenuto, che si chiama acqua e che non può farti alcun male, fino all'ultima goccia. Anche se a te pare un grosso sacrificio ricordati che non è nulla in confronto al mio. Potrei berla io, penserai, che sono la diretta interessata, ma non è la stessa cosa. Se lo facessi, il Passato si imprimerebbe ancor più nella mia coscienza e sarebbe di grande danno perché risulterebbe ancor più difficile accettare il Sistema e venirne accettata. –

L'Uomo annuì senza poter spiccicare una sola parola. Sentiva qualcosa alla bocca dello stomaco, ma non lo disse a sua madre altrimenti quella avrebbe potuto tirar fuori le sue teorie strampalate che avevano il potere di mandarlo in confusione. Meglio approfittare senza indugio intanto che lei era decisa a disfarsi di quel maledettissimo vecchiume.

L'Uomo camminò per un pezzo ancora, pieno di energia e con un solo desiderio: procedere sempre dritto davanti a sé e non pensare a nulla.

Certo che ora che si era tolto il pensiero della borraccia si sentiva un gran bene. Finalmente l'incubo era finito, ora non doveva fare altro che procedere sempre dritto…

Sì, certo, ma che cosa poteva mai essere quella massa enorme sorta all'improvviso sul sentiero a bloccarlo nel suo procedere? Una montagna alta come il più alto mucchio di rifiuti che avesse visto fino allora. Grosso modo poteva distare un centinaio di metri. Blucobalto! Finito l'incubo della borraccia possibile che saltasse fuori qualche altra cosa? Tutto perché la sua famiglia non era perfettamente allineata. Non glielo aveva mai detto nessuno questo, ma era certo che fosse così. Intanto aveva rallentato il passo, poi s'era fermato di colpo sorpreso da qualcosa di molto strano. Qualcosa che gli solleticava il naso.

Ad un tratto gli vennero in mente parole come aroma, profumo, odore, puzza. Era sua madre che gliele aveva nominate ma per lui non avevano avuto alcun significato. Adesso tuttavia era sicuro che la specie di solletico che sentiva su per il naso aveva qualcosa a che fare con queste parole. Il mondo dei nonni di sua madre era pieno di cose del genere: parole unite a sensazioni; meglio, sensazioni comunicabili per mezzo di nomi, molti nomi, in un'astrazione sorretta da due cose ridicole, fortunatamente morte per sempre: fantasia e sentimento. Inoltre, uniti alla strana sensazione olfattiva, l'Uomo udiva suoni e rumori che però rientravano nella sfera della sua esperienza, anche se solo in un certo senso poiché ciò che udiva ora non aveva nulla a che fare con i sibili, i ticchettìi e i fischi degli apparecchi vari sul cui linguaggio si basava quasi esclusivamente la vita degli individui appartenenti alla Nuova Società.

In tale atmosfera inconsueta l'Uomo fu scosso da un brivido: paura. Ancora paura; non più quella di essere accusato di opposizione al Sistema, bensì paura d'altro tipo, paura dell'ignoto che in un lampo s'era trasformata in panico. E ce n'era ben motivo: tutti quei rumori e quella mastodontica figura che gli sbarrava il passo non erano uno scherzo.

Ad un tratto la "montagna" parlò con una voce che non aveva mai udito prima e che quindi non sarebbe stato in grado di definire. Una cosa soltanto gli riusciva chiara: suo malgrado ne era incantato. Infatti, mentre la sua voce e quella dei suoi simili andava via diritta, quella della "montagna" era tutta un su e giù. Non poteva proprio negarlo: era assai piacevole da ascoltare.

– Non temere, Uomo, vieni pure avanti. Toccami; sali lungo i miei fianchi ed abbi fiducia. Tu sei come un figlio. Non puoi credere che una madre voglia il male dei suoi figli. Oltre tutto non hai scelta. –

Parole rassicuranti. L'Uomo si rilassò un poco anche se l'ultima espressione non lo soddisfaceva molto. Intanto i rumori che prima gli erano sembrati un insieme indistinto, man mano che il suo orecchio si abituava alla nuova situazione, andavano acquistando una loro individualità e diventavano sempre più piacevoli. Essi scivolavano dolcemente dentro il suo essere depositandovi qualcosa di incredibilmente gradito. Con un fil di voce si scoprì a chiedere:

– Ma chi sei, tu? –

– Vedi, – rispose gentilmente la "montagna", – potrei dirti che sono la Natura. Ma sono certa che questo è un nome che ti dice nulla; così, nella speranza di farmi capire, userò il termine scientifico Ecologia; dati i tempi ciò che riguarda la scienza è più vicino alla tua comprensione. Dunque io sono uno dei fattori che hanno dato origine all'Ecologia. Molti e molti anni fa si fece scempio di me. E per camuffare il delitto i tuoi avi "inventarono" questa scienza e fecero circolare la parola Ecologia ricavandone una moda. Alcuni si spingevano a abbozzare progetti che rimanevano lettera morta; tutti ne parlavano ma senza pensare realmente al significato della cosa: semplicemente da pecoroni seguivano la moda del momento fatta di parole. Intanto continuavano a sfruttarmi, martoriarmi, svuotarmi fino a che mi cambiarono totalmente i connotati. Prova ne sia che tu stai lì allocchito davanti a me, che sono la vera madre di tutti, come davanti a qualcosa di totalmente incomprensibile. –

– Be', cara Eno… –

– Ecologia, visto che la parola Natura non ti riesce di pronunciare. –

– Grazie. Cara Ecologia, se non ho capito male questo termine significa scienza che riguarda l'Umanità e quell'altra cosa lì. –

– Natura, sì. L'Ecologia è appunto quella scienza che studia la relazione tra ogni essere vivente e l'ambiente fisico in cui vive. –

– Sono convinto che tu mi stia dicendo cose sagge, – concesse l'Uomo più per dimostrarsi gentile che per vera convinzione, – ma sono certo che ti renderai conto come per me sia difficile capire anche affrontando la faccenda dal punto di vista scientifico. Tuttavia, devo ammettere che, riflettendoci, non sono concetti totalmente criptici per me: mia madre, di tanto in tanto, tira in ballo parole strane che le pervennero tramandate di padre in figlio, già da alcune generazioni. Tra parentesi devi sapere che mia madre è una donna piuttosto particolare. Bene, riflettendo un poco su quanto mi hai appena detto sono convinto che tali parole hanno a che fare proprio con ciò. Ma a parte questo spiegami una cosa: perché non ti ho mai incontrato prima d'ora? E, a quanto mi risulta, nessun altro t'ha incontrato. –

– Dici bene, – rispose prontamente la "montagna". – Nessuno, o quasi, mi ha mai incontrata. Ma prima di arrivare a questo vorrei illustrarti, almeno in minima parte, la mia ricchezza. Lo so che per te saranno nomi senza senso; ma che vuoi, ognuno ha le proprie debolezze. Ti prego quindi di sopportarmi; tanto è solo per poco. Questa che vedi scorrere lungo i miei fianchi è acqua. Non ti dovrebbe essere del tutto nuova visto che ne hai bevuta. Nuovo, caso mai, sarà il suo canto. Tutto il verde che mi riveste sono esseri vegetali: erba, alberi, arbusti che danno fiori e frutti alcuni dei quali assai saporiti e nutrienti per gli animali, uomo compreso. Questi esseri che vedi nell'aria sono uccelli d'innumerevoli specie, farfalle, insetti; poi ci sono animali terrestri che sono svariatissimi in quanto ad aspetto; ci sono pesci che vivono nell'acqua dolce e salata; c'è il vento, c'è la pioggia, c'è la neve, la rugiada, la brina… Potrei continuare, ma vedo dalla tua espressione che hai le idee fin troppo confuse. Ora, purtroppo, tutto ciò che vedi è ridotto a vivere in forme "costrette" dalla scienza. Voi uomini stessi siete assai lontani, come conformazione interna, da quello che furono i tuoi antenati. Ma tutto questo ha un'importanza relativa, ormai: l'umanità ha perso e tra non molto sparirà come specie. –

– Vedo. Un punto solo mi è chiaro di quanto mi hai detto: non riesco a seguirti. Ora però dovresti essere così gentile da spostarti. Tu sai che il compito dell'umanità dei Tempi Nuovi è quello di andare sempre avanti senza preoccuparsi d'altro. –

– Siamo proprio giunti al dunque, figliolo. Ora veniamo alla tua domanda. Te ne sei già dimenticato? Devi sapere che le leggi che mi hanno sempre regolato, come Natura, erano molto crudeli, lo riconosco. Però sono sempre stata docile nelle mani dei miei figli ed avrei accettato volentieri che mi guidassero, mi correggessero con la loro intelligenza ed il loro amore. Purtroppo non è stato così ed essi hanno fatto quel che hanno fatto. Per questo, dunque, ora appena posso, mi prendo piccole rivincite, senza badare a chi tocca, innocente o colpevole che sia. Stavolta purtroppo è toccato a te. –

L'Uomo non potè distinguere le ultime parole perché furono soffocate da un boato tremendo; contemporaneamente vide staccarsi da un fianco della "montagna" un grosso macigno ed ebbe solo il tempo di capire che gli stava rovinando addosso. L'Uomo fu subito ridotto in poltiglia. Dopo di che il masso omicida rotolò all'indietro risalendo ad occupare il posto che aveva prima del misfatto.

Subito si levò un vento fortissimo che portò i rivoltanti resti dell'Uomo sulla cima di un cumulo di rifiuti.

La "montagna" scomparve ed il sentiero fu di nuovo sgombro.