Dalla raccolta di
racconti La realtà dell'irreale
Il Vecchio se ne stava seduto immobile davanti
all'enorme clessidra che occupava il centro della stanza. Una stanza di quattro
metri per tre, dalle pareti cieche, che prendeva luce ed
aria solo dalla porta a vetri smerigliati che dava in un vicolo corto e senza
sbocchi. Oltre ad essere cieche quelle pareti erano insozzate da molti anni
d'uso. Era impossibile stabilire, anche solo approssimativamente, da quanto
tempo qualcuno s'era preso la briga di dare loro una
ripulita. Del resto tutto era sudicio in quella stanza dal pavimento
di cotto, le cui fessure, tra mattone e mattone, s'erano colmate di nerume,
alle poche suppellettili. Le quali rappresentavano lo stretto indispensabile.
Una brandina militare senza materasso su cui si ammonticchiavano cenci
variopinti e strappati che dovevano, originariamente, essere stati
coperte e lenzuola, un lavello di graniglia bisunta con il rubinetto in
ottone verdastro e gocciolante, una lampadina nuda che pendeva dal soffitto, un
fornellino a gas ad un solo becco posato su un paio di cassette della frutta
capovolte, una più piccola sull'altra più grande. Di armadi, cassettoni,
credenze nemmeno l'ombra poiché, piantati qua e là nelle pareti, grossi chiodi
facevano da appenditutto: qualche indumento, una
vecchia sega a mano, una roncola, due o tre pentole. E
poi la sedia impagliata davanti alla clessidra. Per la verità qualcos'altro
c'era, ma – pudore insospettabile – era cacciato sotto il lavandino,
nell'angolo più buio della stanza, quindi. Si trattava di una tanica di media
capacità, scapocciata, cui il Vecchio aveva affidato
le funzioni di bugliuolo. E si può
star sicuri che il fatto non contribuiva a dare alla stanza un buon odore di
aria e di sole, pure se l'interessato si preoccupava di andare a vuotare il
recipiente ogni mattina, per tempo, alla latrina comune.
La latrina, vero pomo
della discordia, era una turca ad uso di gran numero
di famiglie: un parallelepipedo in muratura la cui schiena e uno dei fianchi
facevano corpo unico con i muri del cortile interno. Per aprirne l'uscio di
legno grigiastro con la sofisticata sigla all'inglese
scritta in vernice bianca, ciascuna famiglia aveva la propria chiave. Anche il
Vecchio ne aveva una, però era il solo inquilino che non avesse accesso diretto
al cortile. Quando doveva andarvi per usufruire del servizio, doveva passare attraverso un portone subito di fianco al suo
uscio.
Il padrone di casa, che
era unico per tutti, era riuscito miracolosamente a ricavare dal vetusto
caseggiato numerose abitazioni; una specie di ghetto dove la latrina in comune
non era l'unico pomo della discordia, anche se era quello più fecondo.
Servendosene in molti si ingombrava fin troppo spesso
il gabinetto; e quando accadeva tutti si mettevano alla ricerca accanita di
colui che aveva causato il malanno. Forse non si rendevano
conto che era una crociata assurda; o forse se ne rendevano conto ma
approfittavano dell'occasione per scaricare le tensioni accumulate causa altri
motivi. Naturalmente il colpevole non saltava fuori e tutti baccagliavano in un
bailamme dell'altro mondo che durava fino a che l'addetto allo spurgo dei pozzi
neri arrivava con il suo armamentario, compiva il lavoro, stabiliva la tariffa ed infine passava di famiglia in famiglia a farsi dare il
corrispettivo. Egli stesso aveva stabilito la regola la prima volta: un tanto
pro capite. Equo e chiaro, secondo lui. Qualcuno aveva fatto presente che l'età
d'un individuo dovrebbe contare in casi simili, ma l'addetto, fiero della sua
autorità e duro di quella durezza che deriva dal sapere di avere il coltello
per il manico, visto che non esistevano ditte
concorrenti per chissà quanti chilometri all'intorno, aveva replicato che se la
sua proposta non era gradita non dovevano fare altro che tenersi la loro
sporcizia. La minaccia spaventò tutti cosicché ogni famiglia pagò in base ai
suoi componenti. Questo successe due volte; ma alla
terza l'addetto, compiuto il suo lavoro e ritirati i soldi, se ne stava andando
quando improvvisamente qualcuno si ricordò del Vecchio.
– Ehi, buon uomo,
c'è un altro cliente che ha una stanza separata ma che usa questo cesso. –
– Che vi venga un
accidente a tutti, – aveva sacramentato l'addetto. – Non potevate dirmelo prima?
Meritereste che non lo contassi. Credete che sia facile fare questi
conti? –
Così mugugnando aveva
rifatto l'operazione aumentando il divisore di un'unità. Fu una faccenda
piuttosto lunga e laboriosa perché risultava un
quoziente periodico. Alla fine, spazientito, l'uomo arrotondò in suo favore,
diede lo spettante ad ogni famiglia e passò dal
Vecchio a farsi dare la sua parte, senza spendere una parola per quanto
riguardava le prime due volte, come lo avevano pregato di fare.
Comunque questa è una faccenda
marginale essendo la storia del Vecchio tutta legata alla clessidra posta al
centro della sua stanza.
Quella della clessidra
era stata una trovata del Comune per risolvere il non indifferente problema dei
pensionati che vivevano soli con il minimo di pensione. Non
molti ma sufficienti per dare del filo da torcere all'Amministrazione della
cittadina.
Era stata una proposta
avanzata da un consigliere della maggioranza, la quale, caso strano, aveva
trovato subito l'adesione della minoranza e delle minoranzine.
E fu con atto deliberativo della Giunta che tale proposta potè
essere attuata. In tal modo il gruppetto dei "guappi della pensione"
era buggerato: non avrebbe più potuto taglieggiare il Comune in maniera tanto
esosa e spudorata. O l'ultima settimana al fornaio o il ciabattino che aveva rifatti i tacchi alle scarpe o una decina di litri di latte
in latteria; fatto sta che una settimana prima del pagamento della pensione,
tutti insieme o alla spicciolata, i "guappi" facevano anticamera dal
sindaco decisi a farsi ascoltare.
Generalmente il primo
cittadino li rispediva a mani vuote, non prima di aver loro sciorinato la
ramanzina edificante circa la santa virtù della parsimonia, circa la saggezza
del detto "i primi soldi guadagnati son quelli risparmiati", e altre
perle simili. Solo in rari casi demandava l'incombenza ai Servizi Sociali da
cui essi qualcosina riuscivano ad ottenere, sempre
però con l'ammonimento di non tirare troppo la corda perché, si sa, il troppo
vien per nuocere.
Finalmente ecco la geniale
trovata della clessidra che aveva impegnato quegli sconsiderati, con tanto di
firma, a non rompere più in Comune, pena gravi
sanzioni; li aveva inoltre impegnati a pagare un lieve nolo per l'uso della
clessidra e a rilasciare delega alle assistenti sociali per il ritiro della
loro pensione.
Il camioncino
dell'Ufficio Tecnico, con tre operai a bordo, aveva portato a casa di ciascuno
quell'enorme aggeggio assai più capace del necessario, ma
fatto così a bella posta per dare l'impressione che dove c'è fumo c'è anche
arrosto. Appena piazzata erano arrivati un tecnico
della ditta fornitrice della clessidra, accompagnato da quattro agenti della
Polizia Municipale, per controllare che tutto fosse a posto. Dopo di che se ne
andarono promettendo che qualcuno sarebbe arrivato nei prossimi giorni con i
soldi dovuti. Alla prossima riscossione della VO infatti
mancava meno di una settimana.
Trascorso tale termine
arrivarono due assistenti sociali e i soliti quattro della Polizia Municipale
con il denaro. Solo allora il Vecchio – e con lui tutti gli altri – si
rese conto della mostruosità dell'ingranaggio che li aveva coinvolti. Il
Vecchio, gran realista, non pensò nemmeno per un istante che il sacco di iuta
contenente tanto metallo, scaricato dal camioncino dell'Ufficio Tecnico in casa
di ciascuno, valesse di più del mazzettino puzzolente
di cartamoneta ritirato alla posta ogni due mesi. Ma oltre che realista il Vecchio era anche molto intuitivo,
perciò nel vedere che il sacco conteneva solo pezzi da cento lire, gli fu
subito chiaro il compito della clessidra e le intenzioni di Consiglio e Giunta
Comunale. E nel momento stesso in cui gli fu chiaro
questo, si sentì comodo come tra le spire di un boa costrictor. Aveva avuto ragione allora, pensò tra
sé, di non voler guardare quella schifosa. Ne fu subito così
ossessionato che, dopo averla avuta in casa, evitava
persino di accendere la lampadina. Per quanto debole essa riusciva a trarre
dalla mostruosità vitrea bagliori che gli sembravano così intensi da poterli
paragonare alle lingue di fuoco scaturite dalla bocca di un drago. Ne era
certo, prima o poi essi lo avrebbero incenerito. Con
quella clessidra gli era entrata in casa la morte.
Il Vecchio tenne
ostentatamente le spalle girate all'assistente sociale che, inforcati gli
occhiali, versò – con l'aiuto di un collega – il contenuto del sacco
nell'ampolla superiore della clessidra munita di coperchio di cui solo il suo
ufficio aveva la chiave; poi passò a regolare un congegno ad
orologeria che si trovava applicato alla strozzatura di quell'orologio a soldi
e spiegò al padrone di casa (rassegnandosi a parlare alle sue spalle dato che
quello si ostinava a contare le gocce che cadevano a ritmo lento dal rubinetto
ossidato) che ora sarebbe andato tutto per il meglio perché la clessidra era
stata regolata in modo da lasciar scendere, solo durante il giorno per non
disturbare il sonno con il rumore, il numero adatto di monete al fine di far
durare l'importo della pensione per due mesi, come era giusto che fosse.
Il Vecchio udì l'uscio
che si chiudeva. Finalmente quell'occhialuta boriosa se n'era andata con il suo
seguito. Allora girò le spalle al lavandino e andò a mettere il chiavistello.
Si era nel mese di
aprile e un poco gli rincresceva precludersi quel piacere così raffinato che
viene dal lasciarsi compenetrare dalla Natura che sta risvegliandosi una volta
ancora. Ma lo doveva fare: era come che chiudendosi
tra le sue quattro pareti si mettesse sotto l'efficace protezione dei Penati.
Quei manigoldi! Tutti
così; se arrivano ad incollare il sedere al cadreghino non li muovi più neanche con il cannone. E
nessuno poi che si preoccupi di mantenere le promesse fatte.
Visto
che aveva rinunciato a
prendere una boccata d'aria all'imboccatura di quel budello di vicolo, tanto
valeva che si facesse una ragione del suo stato e che cercasse di convivere
senza drammi con la sua invisa ospite. Per questo il poverino si fece coraggio
e accese la lampadina che giungeva a pochi centimetri dalla sommità della
clessidra la quale fu subito investita in pieno dalla luce che le scivolò lungo
i fianchi come a lisciarli, ad accarezzarli. Il Vecchio si accorse con stupore
e gioia che non gli causava più nessuna repulsione di tipo metafisico. Che
drago e drago! quell'aggeggio
era soltanto una specie di contatore della sua miseria; e quest'ultima sarebbe
rimasta intatta sia che venisse misurata con misure di lunghezza o di peso o di
capacità o di tempo. Qui bisognava rimboccarsi le maniche e trovare il modo di
dividere il capello a metà. Se quelli avevano deciso di non dare più nemmeno le due lire che davano ogni morte di papa era veramente
grave la situazione. Non poteva rinunciare al quarto di toscano giornaliero e
al mezzo litro di barbera giocato a briscola con gli amici all'osteria, la
domenica. Ecco, avrebbe messo un recipiente sotto il rubinetto che perdeva, e
lì un po' d'acqua racimolata; poi avrebbe potuto disdire l'uso della latrina:
il liquido giù per il lavandino ed il solido in
campagna, quando imbruniva; essendo una cittadina piccola la campagna era subito
lì; adesso poteva già cercare verdura selvatica; poi, con l'estate che stava
arrivando, avrebbe mangiato freddo risparmiando il gas, il quale, oltre tutto,
teneva aperto durante le giornate rigide in modo da avere almeno di che
scaldarsi le mani. Per ora non gli veniva in mente altro; ma tanto per iniziare
era già qualcosa.
L'uomo, abbastanza
rincuorato da queste decisioni, guardò un antiquato orologio da taschino che
pendeva da un chiodo appena sopra la branda. Erano già le sette di sera. A
questo punto poteva anche andare a letto risparmiando la cena di pane e latte.
L'arrabbiatura che si era preso per quella gente là si
era trasformata in un blocco di cemento che gli chiudeva lo stomaco.
Il Vecchio fu svegliato
da un ronzio piuttosto forte che durò una ventina di secondi, seguito da un
rumore dato da un oggetto di metallo che rimbalzi su qualcosa di duro. Aprì gli
occhi ma non vide nulla per via del buio. Tuttavia gli venne
subito in mente che era il giorno d'inizio di lavoro della sua "contafame". Con un nodo in gola mormorò: "È
scattata l'ora ics."
Di lì ad
una settimana, come aveva detto l'occhialuta, sarebbe venuto un addetto a
controllare i conti in sospeso presso i fornitori, avrebbe aperto la clessidra
e gli avrebbe consegnato la somma spettante; se lui fosse uscito da questo tot
con spese extra tanto peggio.
Il Vecchio si alzò, fece
i suoi bisogni nella tanica, versò un po' di latte freddo su un pane raffermo
già pronto nella fondina e, mentre aspettava che si inzuppasse,
non avendo né denti né dentiera, si sedette di fronte alla clessidra: intanto
che le monete cadute erano poche, quindi ben distinguibili, avrebbe potuto
calcolare esattamente quali erano le sue possibilità di spesa.
In tal modo passarono
cinque giorni. Il Vecchio cercava di non pensare alla sua situazione. Essendo
primavera risultava abbastanza facile; quando poi
fosse arrivato l'inverno ci avrebbe pensato: era inutile mettere il carro
davanti ai buoi.
La mattina del sesto
giorno udì bussare all'uscio. Andò ad aprire e si vide davanti tre esattori –
acqua, luce, gas.
– Oh, santo cielo! – esclamò l'uomo congiungendo le
mani. – Non è mai successo che siate venuti tutti e tre
insieme. Come mai questa novità? –
– Che ne sappiamo? – disse uno dei tre
sgarbatamente. – Noi siamo soltanto degli esecutori di ordini. E gli
ordini sono che ci devi pagare subito. Niente dilazioni per nessun
motivo. –
– Ma io non posso pagare. Cinque giorni fa… –
Il Vecchio stava
spiegando quello che era successo da cinque giorni, senonché quello che aveva parlato lo scrollò da parte
senza sforzo ed entrò nella stanza.
– Cristo, che
tanfo! E che buio qua dentro. Non ci si vede nemmeno a bestemmiare. Allora
paghi o no? –
Ma il Vecchio non fece a tempo a rispondere perché
i tre avevano adocchiato la clessidra ed erano scoppiati a ridere gettandosi
sull'ampolla inferiore. Con un calcio il più iracondo la ruppe e subito prese
le monete.
– Volevi fregarci,
eh, furbacchione. Non ne hai più da inventare? – sghignazzò. – Bene, –
annunciò dopo aver contato un po' di soldi. – Io sono a posto e avanzano ancora
cinquecento lire. Chi le vuole? –
Gli altri due si
arrabbiarono.
– Ma se non bastano nemmeno per il noleggio del contatore
della luce! – saltò su l'interessato.
– Ed io allora? –
sbottò quello dell'acqua sventolando la bolletta sotto il naso degli altri. –
Che vado a dire all'azienda? Che qui non si può pagare perché questo tipo è un originalone? –
Il Vecchio intanto s'era addossato al battente dell'uscio che era rimasto
aperto, tutto appoggiato alla parete interna. Fuori c'erano sempre le
meraviglie dell'aprile giovane che invitavano a vivere. Ma
come si poteva vivere in quelle condizioni? Anche quello dell'Azienda Elettrica
ora incominciò a sbraitare:
– Ma io do una martellata alla parte sopra e mi prendo quello
che mi spetta. Ho moglie e figli io da mantenere e non posso arrischiare il
posto. –
– E dagliela! Che aspetti? – lo incoraggiarono gli altri due.
Sentendosi sfidato si guardò in giro alla ricerca di
qualche oggetto che potesse adattarsi. Vide la roncola, l'afferrò
prontamente e con essa menò un paio di colpi all'ampolla superiore mandandola
in frantumi. Schegge di vetro e monete si sparsero per tutto il locale. Il
Vecchio lanciò un urlo e si lasciò cadere ginocchioni per raccogliere il suo
tesoro che rotolava dappertutto. Ma così facendo si
lasciò cadere proprio su una scheggia tagliente come un rasoio che gli penetrò
tanto a fondo da recidergli un'arteria.
Nessuno se n'accorse. E nemmeno l'interessato diede peso a quella
specie di puntura di zanzara. Intanto i tre, ridendo, raccoglievano soldi
badando comunque a rassicurarlo:
– Buono, nonno, ti
diamo la nostra parola che prenderemo soltanto quello che ci spetta. Non un
centesimo di più. Siamo galantuomini, noi. –
Il Vecchio non li
ascoltava. S'era incantato a guardare la macchia
d'umido che si stava allargando a vista d'occhio sulla stoffa del pantalone. Un
umido appiccicoso e caldo che gli scendeva
copiosamente lungo il polpaccio perdendosi sul pavimento. Oltre a questo non
poteva perdere di vista il fatto che doveva raccogliere tutte le sue monete.
Dopo poco i tre se ne
andarono salutandolo; ma il poveraccio non rispose: continuava a cercare
muovendosi a tentoni. Ad un
certo punto si accorse che la vista si stava annebbiando per le lacrime,
pensava lui che stava piangendo senza ritegno. Ma oltre che sentirsi la vista annebbiata si sentiva anche tanto debole…
sempre più debole… Meglio sdraiarsi dove si trovava e
cercare di dormire.