Giselle
5 aprile 2005
Il balletto torna temporaneamente
alla Scala. 1
L’ingegno di Théophile Gautier 1
Alessandra Ferri 1
Roberto Bolle. 2
Lo spettacolo. 2
Il parere di due professori
d’orchestra scaligeri 2
Seguire uno spettacolo di danza nel teatro del Piermarini è
una raffinata emozione e Giselle è il primo balletto a calcare il
palcoscenico della Scala dopo la riapertura di quest'ultima.
Nella recita di martedì 5 aprile 2005 in scena avrebbero
dovuto ballare Alessandra Ferri nel ruolo principale e Isabel Seabra in quello
di Mirta. Il ruolo interpretato da Alessandra Ferri, a causa di un incidente
occorso il giorno della prima (il 3), è invece stato sostenuto da Gilda Gelati,
mentre quello affidato a Isabel Seabra è stato sostenuto da Marta Romagna.
Giselle: una
creazione che dobbiamo al coinvolgimento emozionale di Théophile Gautier; il
quale, oltre ad essere uno degli attori della rinascita romantica della
letteratura francese, era critico teatrale.
La fantasia creativa di Gautier fu sollecitata da una
tradizione d’origine slava, ma diffusa in Austria: quella delle Villi. Di tale
tradizione Gautier venne a conoscenza attraverso le pagine di De l’Allemagne dell’amico di Heinrich
Heine. Ma un altro brano letterario colse l’attenzione di Gautier: una lirica
di Victor Hugo (inserita nella raccolta Orientales)
nella quale si sottolinea amaramente come spesso fanciulle floridamente belle
siano uccise da un crudele destino; è il caso ad esempio di una giovane
spagnola che morì di troppa danza all’alba, amando quell’arte alla follia ed avendo
ballato freneticamente per tutta la notte.
Gautier associò queste due fonti letterarie e concretò
l’idea di Giselle parlandone al
drammaturgo Saint-Georges. Dalla collaborazione tra i due nacque il balletto
che è giunto fino a noi (anche se con qualche cambiamento) divenendo l’emblema
del romanticismo.
È nel 1841 che ha luogo la prima di Giselle con Carlotta Grisi e Lucien (fratello di Marius) Petipa
all’Opéra. Due anni dopo il balletto approda alla Scala. Dal teatro milanese,
tuttavia, si assenta dal 1849 al 1950, anno in cui Yvette Chauviré fa splendere
il ruolo della fanciulla ingannata da Albrecht. Ed è proprio nella ripresa
coreografica della Chauviré (riallestita da Florence Clerc, étoile e ora Maître
de Ballet presso l’Opéra) la Giselle che è stata inserita nel cartellone
scaligero.
Dal 1843 ad oggi il balletto è stato rappresentato alla
Scala per più di 300 volte.
Alessandra
Ferri nel ruolo di Giselle
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Tra le Giselles scaligere più amate c’è sicuramente
Alessandra Ferri, che ha interpretato a lungo questo ruolo.
La Ferri, in conferenza stampa il 29 marzo 2005 con Roberto
Bolle al Ridotto delle Gallerie della Scala, ha sottolineato come questo
balletto sia nato capolavoro, soprattutto nel suo secondo atto da lei definito
“l’atto bianco più bello del balletto”. Ha inoltre dichiarato che la versione
della Chauviré è una delle più belle e terse. Del resto, creare particolari
superflui (come è stato fatto nelle diverse riprese del balletto) risulta
inutile.
La conferenza stampa è stata particolarmente preziosa grazie
proprio ad Alessandra Ferri che ha raccontato la sua ricca esperienza. L’étoile
(che, ricordiamolo, nello scorso marzo è stata nominata dal presidente Ciampi
Cavaliere della Repubblica) ha i suoi inizi come Giselle all’American Ballet
Theatre e si esibisce accanto a due Albrecht d’eccezione: Mikhail Barishnikov e
Rudolf Nureyev. Con quest’ultimo la Ferri ballò a Los Angeles per il
cinquantesimo compleanno del ballerino russo. Lei era giovanissima (ventunenne)
e, spiega, provava difficoltà a comprendere - nel primo atto - l’amore per un
uomo che fa breccia nella fragilità della protagonista per poi condurla a
morire. Nureyev era così passionale ed energico che faceva arrossire la Ferri
quando cercava di incrociarne lo sguardo inducendola ad abbassare gli occhi.
Grazie a tutto questo ella riuscì a comprendere un sentimento che, all’inizio,
le risultava ostico penetrare.
Interessante anche ciò che l’étoile ha raccontato di Mikhail
Barishnikov. Quest’ultimo, del secondo atto, aveva una concezione particolare,
ritenendo possibile che la vicenda di Giselle-Villi si svolgesse
nell’interiorità di Albrecht: “la follia di Albrecht”, la chiamava Barishnikov.
Il principe, infatti, anela al perdono ed è questo suo bisogno a condurlo a
vedere una Giselle che lo sostiene, pronta a dimenticare il tradimento subito.
Quando, durante la conferenza stampa, la parola è passata a
Roberto Bolle, egli ha dichiarato che ballare con Alessandra Ferri è ballare
una Giselle diversa sia perché la
prima ballerina assoluta della Scala ha moltissima esperienza dalla sua, sia
per il suo modo di vivere il ruolo della protagonista (non è certo una Giselle
da cliché) e di essere artista. La
Ferri ritiene infatti che si debbano togliere i fronzoli inutili alla storia
nata dalla collaborazione di Gautier e di Saint-Georges, svecchiandola e
rendendola credibile.
Bolle ha poi spiegato di prediligere il ruolo di Albrecht,
ruolo da “danseur noble” (essendo il protagonista un principe) dove sono quindi
necessarie qualità sia di movimento sia emotiva.
Nel primo atto occorre presenza scenica, carisma, dato che
le difficoltà tecniche non sono paragonabili a quelle del secondo atto,
caratterizzato da numerosi entrechat,
i passi simbolo del ballerino romantico.
Gilda
Gelati e Roberto Bolle in Giselle
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Sicuramente un balletto tra i più amati, quello dove gli affiatati
Gilda Gelati e Roberto Bolle hanno interpretato i ruoli principali.
Gilda Gelati è stata un’interessante Giselle, della quale è
particolarmente apprezzabile, nel primo atto, il modo in cui la ballerina rende
la psicologia della fanciulla: timida, ritrosa eppure “cocciuta” dopo essersi
innamorata, tanto da disubbidire alla madre (che le ricorda con forza la
leggenda delle fanciulle le quali, amando la danza alla follia, muoiono) e da
nascondersi qua e là per non farsi trovare; tanto - ancora - da essere
perentoria nel rifiutare Hilarion e il suo metterla in guardia.
Gilda Gelati è adattissima ai ruoli lirici e sa interpretare
con grande finezza psicologica i personaggi che impersona. Anche in Giselle non si è smentita.
Nella scena della pazzia la Gelati ci mostra non un dolore
plateale ed oggettivizzato, ma una follia vissuta nell'interiorità della
protagonista. Si ha l'impressione che la pazzia porti la fragile Giselle ad uno
stupore, di fronte alla scoperta del tradimento, che la trova incapace di riscuotersi.
Nella Gelati, inoltre, ho ritrovato una peculiarità: quella
che le permette di aggiungere, attraverso la cura dei particolari, “qualcosa in
più” ai ruoli che interpreta. Mi riferisco al fiore sfogliato nel gioco del
“m’ama-non m’ama” e al medaglione mostrato alle compagne.
La trepida delicatezza delle dita che cominciano a staccare
i petali e che continuano poi semplicemente a contarli per vedere se siano in
numero dispari (se così fosse, vincerebbe l’amore) o pari (vincerebbe allora
l’indifferenza), rende veritieri i gesti e, con essi, il sentire dell’ingenua
Giselle, nel cui cuore riesce a far breccia il principe (e a nulla valgono i
decisi moniti di Hilarion).
L’altro particolare curato dalla ballerina è la gioia con
cui il medaglione donatogli dalla fidanzata di Albrecht, Bathilde, viene
mostrato alle compagne. La psicologia di Giselle è quella di una ragazza
semplice, ingenua, ritrosa, nel cui cuore è forse difficile entrare ma, una
volta individuato il pertugio che permette di penetrare e di “guidare” i
sentimenti della giovane, il gioco è fatto. La timidezza di Giselle si vanifica
lasciando il posto allo stordimento dell’amore. L’arrivo di Bathilde coglie
Giselle in questa situazione psicologica, quando cioè la guardia è abbassata.
La fidanzata del principe è colpita dalla gioia e dalla grazia che trapelano da
Giselle. Le domanda se ama qualcuno e si sente rispondere affermativamente.
Bathilde decide di far dono alla giovane del medaglione che la nobildonna porta
al collo. Il gesto suscita una gioia tutta infantile in una contadina che,
ammirati le stoffe sontuose e i gioielli indossati dai nobili, si trova ora
addirittura ad essere la destinataria di un dono mai sperato. Giselle corre
perciò intorno per mostrarlo alle compagne.
La violoncellista Tatiana Patella, incontrata in questo
periodo tempestoso alla Scala, periodo che - afferma - nessuno sta vivendo
bene, mi rilascia, prima che si alzi il sipario, una breve dichiarazione su Giselle,
incentrata sullo strumento da lei suonato. La professoressa spiega che si
tratta sicuramente di un bel balletto e di un vero cavallo di battaglia. Dal
punto di vista musicale, e - soprattutto - violoncellistico, il suo strumento
ha poco spazio, al contrario di quanto avviene ad esempio nel Lago dei cigni,
dove i temi legati al violoncello sono in numero decisamente maggiore.
L'ottavinista Maurizio Simeoli (che si esibisce in Giselle
come primo flauto), contattato in tempi successivi, ha modo di rilasciarmi
una breve intervista.
All'ottavino, in Giselle,
sono affidati temi interessanti?
In Giselle
l'ottavino suona abbastanza spesso ma ha più un ruolo di colore che di
sostanza. Non ha soli particolari e spesso raddoppia i violini primi.
Un professore d'orchestra preferisce suonare musica
sinfonica o è interessato anche alla partitura dei balletti?
Certi balletti sono
diventati partiture concertistiche sinfoniche di primissimo ordine; ad esempio Romeo
e Giulietta o Il Figliuol Prodigo di Prokofiev, La sagra della
primavera e L'Uccello di Fuoco di Stravinskij, oltre a tutti i
balletti di Ciaikovskij. Bolero di Ravel è spesso usato nei balletti (è
infatti una danza) come pure in concerti sinfonici.
Lei che cosa pensa della musica di Giselle?
È un balletto che
definirei "leggero". Per il mio gusto non è certo il massimo dal
punto di vista dell'orchestra, quindi "sinfonico", ma rappresenta un
classico del genere e quindi, considerandolo strettamente come
"balletto", è sicuramente uno spettacolo piacevole.
In questo periodo infuocato saltano le prime. Come ha vissuto
l'orchestra della Scala questo periodo?
Ovviamente in modo
traumatico poiché ci rendiamo conto di creare un disagio per il pubblico. Avete
però constatato tutti da ciò che è successo in questi ultimissimi giorni, che è
stato indispensabile richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica su ciò che
stava e sta succedendo all'interno del più blasonato teatro del mondo. Direi
che ora la densa nebbia si sta diradando ed è quindi giunto il momento di
cooperare per la costruzione di un nuovo organigramma dirigenziale che porti il
nostro Teatro a consolidare la sua posizione di leader internazionale del
settore, con produzioni veramente cosmopolite e degne della fama che la Scala
ha nel mondo. Come avrà probabilmente letto su alcuni quotidiani (sicuramente Repubblica)
ho dichiarato e suggerito a tutto il Teatro di considerare un periodo sabbatico
di almeno qualche anno senza alcun direttore stabile. I "Wiener"
hanno fatto così anni fa alla dipartita del M° Maazel. Credo che un pool
di direttori straordinari possa aiutare il Teatro a crescere veramente ed in
poco tempo. Ed un po' di sana competizione fra colossi credo non guasti
proprio!