Intervista a Marcello Spaccarotella, maestro collaboratore al Teatro alla Scala

15 gennaio 2005

Sono seduta nella sala ballo "Nureyev" di via Cozzi a Milano, per assistere alla lezione tenuta dal M° Grigore Vintila ai primi ballerini, ai solisti e al corpo di ballo del Teatro alla Scala. Dopo la lezione parte dei ballerini si trasferisce nella sala ballo "Menchetti". Lì, sotto la guida di Laura Contardi, si svolgono le prove del divertissement dal secondo atto del Sogno di una notte di mezza estate, nella coreografia di George Balanchine. Laura Contardi è presente anche alla prova di montaggio del primo atto di Giselle ‑ versione coreografica di Yvette Chauviré ‑ curata da Florence Clerc.

Durante le prove del Sogno il maestro collaboratore al pianoforte è Fabio Ghidotti, mentre durante la lezione del M° Vintila e la prova di Giselle, trovo Marcello Spaccarotella, con il quale chiacchiero nei brevi momenti di pausa.

Marcello, dove hai conseguito il diploma in pianoforte?

A Buenos Aires.

Tu sei italiano.

Sì, io sono italiano, ma sono nato in Argentina.

Come sei arrivato alla Scala?

Tredici anni fa, circa, tenevano un corso di qualche mese per pianisti accompagnatori presso la Scuola di ballo della Scala. L'ho seguito e ho visto che questo mestiere mi piaceva. Ora sono io a tenere un corso biennale presso l'Accademia d'Arti e Mestieri dello Spettacolo. Ci sono corsi, naturalmente, anche per pianisti accompagnatori di cantanti.

Che cosa caratterizza un pianista accompagnatore di ballerini rispetto ad un concertista?

Innanzitutto devi intendertene di danza. Se il maestro che sta curando le prove ti dice: "Parti dalla diagonale, dal manège, dal jeté", tu devi sapere che cosa fare. Tieni poi conto che il nostro lavoro non inizia in sala, ma molto prima, perché devi studiare lo spartito. A seconda della versione coreografica, infatti, la musica viene adattata. E si fanno tagli illogici, devo dire. Sono del parere che un coreografo dovrebbe lavorare con un musicista sui tagli, ma dato che non lo fa, viene sacrificata la musica. Guarda qui, per esempio: sono state eliminate due battute!

Come fai a preparare lo spartito per le prove?

È il nostro archivio che ci dà lo spartito da seguire, a seconda della versione coreografica che viene eseguita. Osservando questo spartito di Giselle noterai che mancano le pagine che non verranno eseguite e che alcune facciate sono state cancellate. Vedi? Io ho già fatto qualche segno per indicare i rimandi e dove iniziano i vari passi, ma ci sono ancora poche indicazioni perché le prove sono cominciate da un paio di giorni.

Quali sono le versioni coreografiche di Giselle che rispettano maggiormente la partitura?

Quelle di Mats Ek e di Sylvie Guillem.

Quanti maestri collaboratori, oltre a te, seguono la compagnia di balletto della Scala?

Altri quattro: Fabio Ghidotti, Alberto Nanetti, Paolo Piazza e Stefano Salvatori. Noi ci dividiamo i balletti. Ad esempio io seguo Giselle e sono ovviamente presente in tutte le prove, sia in sala sia in scena. La professione del maestro collaboratore consiste infatti nel lavoro quotidiano di classi, prove, spettacoli e tournée.

Preferisci suonare nelle prove oppure durante le lezioni (o classi che dir si voglia)?

La parte del mio lavoro che preferisco è quella dell'accompagnamento durante le classi perché improvviso. Il maestro di ballo inventa al momento gli esercizi che ritiene più idonei e io improvviso, mentre ci sono pianisti che vengono con tantissima musica in testa. Inoltre ognuno ha il suo stile: c'è chi suona musica operistica, chi le colonne sonore dei film, chi preferisce la musica della pubblicità, chi il jazz.

Qual è il tuo stile?

Be', è uno stile "libero", per così dire. Non faccio del jazz, quello no.

Qual è il tuo compositore preferito?

Malher. Sono andato nell'Austria del sud a visitare i suoi posti.

Anch'io ne sono innamorata. Se ti cito il Das Lied von der Erde che cosa mi dici?

Ah, bellissimo! Mi piacciono anche Bruckner e Richard Strauss: i musicisti di fine Ottocento.

E della musica contemporanea che cosa pensi?

La frequentavo di più quando studiavo e la trovavo anche divertente. Facevo pure musica da camera (e la faccio ancora). Quando mi occupavo di musica contemporanea (per contemporanea intendo, più largamente, il XX secolo) ritenevo però che al pubblico non desse emozioni: temevo che il rapporto tra il pubblico e quel tipo di musica fosse destinato a rimanere freddo. Ad esempio a me interessa Schönberg, ma credo che la genialità dell'ultimo periodo vada capita attraverso ciò che c'è scritto, il che non è facile.

Insomma, è come se la musica contemporanea creasse un diaframma tra se stessa e il pubblico, diaframma che rende difficile una fruizione emozionale immediata.

Sì. Diciamo che io arrivo fino a Stravinskij e alle prime cose di Schönberg.

Un tuo giudizio sul Pierrot lunaire, ricordando il quale non possiamo non citare il mirabile balletto con Nureyev.

Mi piace, ma è un tipo di musica troppo complicato per il pubblico.

Tu hai sottolineato più volte il pubblico. L'hai fatto perché è il pubblico che dà la carica all'artista?

Sì, certo.

Che cosa mi dici degli esperimenti del pianoforte preparato degli anni Settanta? Ti vedo già fare una smorfia!

Si tratta di un'epoca che è finita lì. Comunque nella storia della musica avviene spesso che compositori siano divenuti importanti una volta morti...

Staremo a vedere, intendi dire: è il tempo che deciderà.

Ti pongo un'ultima domanda: chi è secondo te il più grande pianista?

Claudio Arrau. È il più grande per me, perché mi piace e lo sento molto vicino. Naturalmente non posso dire che Martha Argerich non sia una brava pianista, ma Arrau lo prediligo.