Il silenzio nella poesia, il silenzio come "ascolto di mondi", i sensi del silenzio. Intervista ad Anna Rita Merico

7 maggio 2023

Fenomenologia del silenzio. Poesia 2004-2021[1].

Un libro profondissimo, di un'intensità sensoriale coinvolgente, in cui la Bellezza della parola-corpo (e con corpo intendiamo forma e contenuto) e del verso tutto, stordisce. Per un poeta che ha a cuore - come del resto si dovrebbe, per un poeta - la poesia alta (ovvero la Poesia) e il tema del silenzio, questo libro è imprescindibile. È indagine filosofica e poesia, umanità e trascendenza, forza trainante e alvei di riposo.

Abbiamo intervistato Anna Rita Merico su questa sua opera e, più in generale, sulla poesia, ponendo quindi all'evidenza alcune (solo alcune: il suo libro è preziosissima acqua sorgiva) tra le frasi-chiave o le indicazioni fondanti.

Partiamo da una negazione, da un'affermazione e da una domanda con appendici. Il silenzio non è fuga. Il silenzio è necessariamente ascolto. Il silenzio può essere rifugio? Se lo è, di che cosa si sostanzia questo bisogno? O il silenzio è altro da questo?

Le crepe del silenzio di Gloria Chiappani Rodichevski.

Il silenzio di cui tratteggio contorno ha a che fare con una presenza imprescindibile del dialogo con sé e con la propria energia creatrice. Il silenzio come forma di ascolto di mondi: non solo il mondo interiore personale ma, anche, ascolto della realtà. Silenzio per lasciar giungere a sé i ritmi dell’Universo in cui siamo immersi tutti. Perdere di vista questa dimensione del silenzio è offuscare memoria, quella memoria che ci tiene nei processi della nostra umanizzazione.

Parli da un'angolazione molto interessante dei sensi che il silenzio possiede[2]. Ce ne racconti?

Siamo abituati a pensare al silenzio come realtà da cui sottrarci, talvolta realtà fastidiosa, che ci dice di solitudine, di vuoto… Il silenzio che mi interessa ha una propria precisa dimensione corporale, è presenza che svela e indica orizzonti. Farsi silenzio per sentire-vedere-toccare-assaggiare-udire il silenzio è esperienza tutta da indagare e, per la quale, intercettiamo Padri e Madri simboliche che, all’interno della cultura occidentale, ci hanno additato percorsi di consapevolezza intorno e dentro a ciò.

Veniamo al rapporto fra silenzio e parola, partendo da alcune tue affermazioni. Nella poesia Pane quotidiano racconti che per te la parola è una ricerca che continua[3]. Come si sta sviluppando questa ricerca, all'indomani della pubblicazione della Fenomenologia del silenzio?

L’esperienza di Fenomenologia del silenzio è stata molto importante nel mio percorso di scrittura e di ricerca. La poesia è una stanza di ricerca intorno e dentro alla realtà. La mia indagine sta continuando ad esplorare questa dimensione del vivere e del percepire. Ciò che mi sta intrattenendo è la parola intorno alle fratture con la percezione della realtà, il tema delle umane fragilità che tanto ci stanno mostrando di cambiamenti epocali in atto.

Altrove scrivi: "Creazione di ascolti nell'incavo delle parole." [4] Quale rapporto vige fra parola scritta e voce (orale, quindi)?

Il Mediterraneo è stato alveo di passaggio dalla cultura orale alla cultura scritta. Mi  affascina questo lieve volo dalla voce al segno scritto… Apre memorie cellulari pensare a quando ci si “preannunciava” srotolando la propria genealogia, ossia la posizione di sé in sistema (persone-luoghi). Era altro il modo di pensare-vedere prima della scrittura.

Consideriamo la poesia "Una parola nuova"[5]. Che cosa rappresenta la parola nuova? E quella silenziosa?

La parola nuova è la parola che nasce da fase di pensiero nuovo all’interno del proprio percorso. Parola che può essere comunicata e che risuona nell’altro rendendo condivisione. Parola nuova è parola che svela mondo prima non percepito.

Nella poesia Fondo[6] ci troviamo di fronte a una concezione della parola come scavo (scavo: concezione a te cara). Lungo la parola si può scendere in verticale fino a trovare un fondo mai aridamente muto; un fondo fertile che offre nuovi volti di risalita. E, quando sembra che non si possa più scavare, esiste "l'ultimo della parola" che proietta verso novelli humus: "melma di plancton / pelle di forma senza forma / acuto di io / onda di suono di gong / polvere di meteora". Quanto è vitale per l'essere umano andare al fondo della parola fino a raggiungere una fine che è in realtà un inizio?

Grazie Gloria. Il movimento che tu, in maniera fortemente pertinente, individui è motore dell’andare nella mia poetica e visione della parola. La parola è modalità umana per eccellenza. È senso, verso e possibilità di giungere all’altro da sé. In poesia la parola non giunge al vuoto, al nulla: la poesia nutre mondo simbolico e realtà. Affinché ciò sia la dimensione dello “scavo” rende prolifico l’andare aprendo orizzonti di senso nuovi. Lo scavo è nell’individualità ma, soprattutto, nella storiamemoria  della nostra umanità.

Della seconda silloge di cui si compone Fenomenologia del silenzio (In the process of writing, pubblicata la prima volta nel 2006) riferisci così: "In the process of writing ossia nell'intimo del desiderio."[7] Affermazione fondante, che ci collega a quest'altra: "La scrittura rende conto dei percorsi dell'intimo procedere."[8] Ti chiedo qual è il funzionamento del tuo processo di scrittura?

In parte ho già precedentemente risposto a tale tua sollecitazione. Aggiungo: la scrittura sollecita il sentire dell’intero corpo-pensiero. Non scrivo solo con la penna, ciò che giunge alla penna (o in un file) è frutto di un percorso che ha attraversato l’intera dimensione fisica e di pensiero. È sintesi di sentire che si tramuta in parola. Il corpo in scrittura (per me) è poro di assorbimento di pensiero-realtà-ritmo-silenzio.

Sempre sulla scrittura leggiamo la poesia Maiuscole[9]. Qui la scrittura è dipinta in due tratti concettuali: "Signora / [che] dolce governa" e "intrepida Tiranna". A tutta prima potremmo pensare a due contrari probabilmente non conciliabili. Ma è davvero così? Oppure è accettando il contrasto, che CAPIAMO veramente (la dolce governatrice che mi lascia silere perché io arrivi all'incontro del sé con il sé; la decisione opposta della tiranna: "Oggi non posso incontrare perché sono incontrata")?

La scrittura è profonda disciplina dell’essere. Come il pensiero che crea essa necessita di ogni grano possibile. È tiranna quando “ti obbliga” ad essa per movimenti che obbligano a vederla, darle forma. È Signora quando ti attraversa, non per atto decisionale tuo. Tiranna e Signora sono, per me, i due versanti di movimento in dinamica della scrittura. La scrittura è presenza fonda che si dice attraverso passaggi e grammatiche precise: il ruolo del silenzio diviene fondamentale.

Ancora sul concetto di scrittura, declinato in quello della costruzione poetica: "I ritmi di costruzione poetica indicano l'esito di un procedere del pensiero in connessione e in tensione con il farsi del testo." [10] Quanto cambia, per un prosatore e per un poeta, l'atteggiamento intimo con se stesso, in primis e con la parola scritta, secundo?

Nella mia esperienza è un diverso sentire quello che si affaccia alla mia espressività. Talvolta la prosa poetica giunge come necessità di contenimento del magmatico presente nella scrittura poetica. Talvolta, ancora, lo slittamento tra scrittura poetica e scrittura narrativa in senso lato mi si palesa come necessità di utilizzo di onde ritmiche diverse alleate nel sostenere lo stesso progetto: il farsi del testo.

Sul concetto di attesa c'è una poesia a verso unico, mirabile esempio di analisi e sintesi: "Osservo ciò che è seme"[11]. Che cos'è per te l'attesa? Come si collega ai temi del tempo, della memoria e del ricordo?

L’attesa è il tempo del farsi mondo, del farsi dell’essere, la pausa silente in cui avviene la forgia della propria spiritualità. Il testo da te propostomi è riferito alle donne del Neolitico che, con un gesto d’attesa hanno aperto sguardo al vedere nascita da seme. Questo vedere/osservare è stato avanzamento di umanità: dalle civiltà nomadiche alla nascita delle civiltà sedentarie.

Sul concetto di spazio, ma non solo:

"Esiste una linea capace di segnare lo spazio del tra sé e sé. Spazio in cui si origina la forma di un movimento che è ferocia del divenire e dell'incontrarsi.

È lo spazio in cui la forgia delle parole dice sé, il processo, il mondo attraverso un sapere che lacera la scansione lineare del tempo per affondare nella carne del pensiero.

La scrittura diviene filo e forma attraverso cui restituire corpo al segno a partire da un ordine di riconoscimento che ha come cifra la connessione tra memoria e mondo, senso della ricerca e nascita-organizzazione del corpo testuale." [12]

Qual è il rapporto fra spazio e corpo (in tutte le sue declinazioni) e fra spazio e tempo, nella tua concezione poetica ed esistenziale?

Lo spazio ci contiene. La molle, duttile membrana dello spazio che ci diamo dice molto di noi ed è altro dallo spazio fisico in cui oggettivamente siamo. Il tempo in poesia, per me, non è certamente il tempo lineare e progressivo della cronologia. Il tempo in poesia, per me, è percorso carsico che si nutre di affondi e di affioramenti. C’è rapporto intimo tra profondità e superficie e la scrittura se ne fa pennino di sismografo. La scrittura mostra la fenomenologia ed essa avviene, in primis, grazie al silenzio ascoltato, palpato, odorato, visto, assaggiato

Il concetto di metamorfosi, indicata con il verbo "metamorfosare" che, come fa notare Luciano Pagano nel suo scritto posto a conclusione del tuo volume, "non è nuovo – ma nuovo è il suo utilizzo verbale"[13] e specifica: "Il cambiamento è la radice di tutte le cose. Questa caratteristica sarà connaturata all'intera produzione poetica di Anna Rita Merico."[14] Quanto è importante aderire alla concezione che nulla è stabile, che tutto scorre più o meno fluidamente? Aderire, anche, alla convinzione che, se riusciamo a inserirci in questo flusso con la consapevolezza che la visione dell'altro come corpo estraneo è in realtà un "noi" con il quale confrontarci, possiamo andare in profondità della parola fondante che si fa silenzio e quindi spazio, in tal modo accompagnandoci alla mancanza di pregiudizio, non solo verso l'altro, ma – forse soprattutto – verso il sé.

Ma metamorfosi è anche il lavorìo per essere nella dimensione del trascendimento, metamorfosi è, per me, forma di una dimensione evolutiva la quale richiede trasporto del peso di sé e dell’essere in una spiritualità laica che è nucleo del dirsi in connessione oltre ogni giudizio, nel superamento della categoria del giudizio come sguardo che trattiene e intrattiene. Superamento del giudizio come possibilità del “lasciar fluire” l’essere ontologicamente dato. Mi hanno molto segnata le ricerche di Ernesto De Martino nel Salento sulle “pause” dell’essere e i riti di reintegrazione. Un arcaico che parla e con una propria potenza di narrazione, ancora oggi.

Altri e numerosi sono i temi ricchi di implicazioni che troviamo nella tua opera: limite e soglia, coniugati nel concetto di inizio e di ripartenza; pietra che "dice"; lingua e segno; dentro e fuori; forma e sostanza (cui abbiamo accennato appena). Vuoi dirci qualcosa su questi temi o su qualcuno di essi?

La pietra, sicuramente. Prima superficie che ha visto e accolto il segno e, dunque, l’impronta di memoria. La pietra complice dell’incipit del nostro atto di pensiero nascente. La pietra ossia le “ossa di Gea” in taluna cosmogonia. Impressionare, incidere, tagliare la pietra è stato un fondare umanità e percorsi di umanizzazione.

Possiamo considerare la poesia che segue come una sorta di summa della tua opera? "Mappare fenomenologie / cucire genealogie"[15].

Sì, Gloria. Mappare fenomenologie è avere sguardo per ciò che ci dice, energia che da noi si mostra e va verso il mondo e dal mondo viene a noi. Genealogie da cucire sono le interruzioni di umanizzazione che, nonostante tutto, ci dicono e contribuiscono a definirci (sempre provvisoriamente), genealogie le nostre capacità di “ricucirci” al fondo dell’essere donna/uomo nel ventre di un’ontologia che ci indica e ci fonda.

Una domanda che avrei dovuto probabilmente porti all'inizio. La genesi e lo sviluppo di Fenomenologia del silenzio. Poesia 2004-2021, che rappresenta la raccolta di quattro sillogi: Segnate pietre, In the process of writing, Dall’angolo bucato entra memoria, Una parola si bea, al sole, pulsando infinita.

Pubblicazioni fatte nel corso del tempo, ormai disperse. Desiderio di riunire una parola che, per me, non andava dispersa: anche qui memoria e genealogia di percorso…

Grazie, Gloria.

A te, Anna Rita.



[1] Anna Rita Merico, Fenomenologia del silenzio, Neviano, Musicaos, 2022.

[2] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 292.

[3] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 266.

[4] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 119.

[5] Anna Rita Merico, Op. cit., pp. 270-271.

[6] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 269.

[7] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 121.

[8] Anna Rita Merico, Ibidem.

[9] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 286.

[10] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 123.

[11] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 113.

[12] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 120.

[13] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 297.

[14] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 298.

[15] Anna Rita Merico, Op. cit., p. 124.