Battistina non canta più
© Foto Gloria Chiappani
Rodichevski
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Battistina porta in giro la sua tozza figura come un'anatra
grassa. È molto vicina ai settanta e, da trent'anni a questa parte, mi pare
sempre uguale. Succede quando si vede o solo si intravvede quasi
quotidianamente una persona. Pure un mutamento deve esserci. È logico; così
immagino, più che esserne realmente conscia, che ora si muova con maggior
lentezza lei, già tanto lenta per natura; e un po' di carne intorno al robusto
scheletro di montanara – Valcamonica – l'ha aggiunta. I capelli sottili,
ricciutelli da permanenti non rare, sono quasi totalmente biondi; il viso ha il
piacevole colorito della persona sana, senza naso arrossato da capillari dalla
dilatazione sospetta; la pelle è di grana fine, quasi priva di rughe; gli occhi
celesti annacquati dagli anni, sotto la fronte bassa e piatta, stanno
seminascosti dalle palpebre pesanti, ornate da rade e corte ciglia che si
perdono nel loro colore biondiccio. Ma il sorriso di questi occhi, più pronto
di quello delle labbra tumide e rosse, conferisce al viso un'espressione che
diventa immediata sensazione della semplicità accattivante dei "poveri di
spirito".
Battistina possiede un orto su un lato del quale è stato
ricavato il serraglietto per il piccolo allevamento
di bassa corte. Un orto abbastanza ampio perché la sua è una casa che, anni fa,
apparteneva ad un rione semispopolato di estrema
periferia. Ora la città ha fatto a gomitate per spingersi sin qui, invadendo
ogni spazio verde con mostruosi condomini, con fedifraghe villette a schiera
che vogliono camuffarsi da casetta intima, nonché con negozi di spudoratezza
emblematica, sigla di quest'epoca.
Per tutto questo, l'orto di Battistina, con alcune piante da
frutto, due o tre viti, un ciuffetto di canne di bambù piuttosto magroline, che
nascondono a malapena un rozzo capanno-ripostiglio, rappresenta una benedetta
oasi.
Ma esso, l'orto intendo, non è il solo. Ce ne sono altri
due, uno a destra uno a sinistra, uguali a quello di Battistina per la forma
oblunga e per l'area. Son divisi, gli uni dagli altri, da una semplice rete a
maglie larghe, ariosa, fissata ad un muretto alto al ginocchio. Dello stesso
tipo di recinzione è delimitata pure la mia parte così che l'occhio spazia di
fronte, a destra e a sinistra, in un respiro di grande conforto.
Battistina ama il suo orto e il suo piccolo allevamento. Non
di un amore disinteressato, purtroppo. Pollame e conigli verranno sacrificati
allegramente al suo stomaco ancora formidabile di buona forchetta inveterata.
Anche la verdura verrà usufruita totalmente: gli avanzi a pascere le bestie. A
loro volta esse aiuteranno a concimare il terreno con i loro rifiuti corporali.
C'è sempre tanto da fare e, da primavera presto ad autunno
inoltrato, la donna si aggira nel suo regno sfaccendando zelante, anche se il
suo corpo malformato la fa muovere come un buon pachiderma.
Fino a poco tempo fa Battistina lavorava e cantava. Ora non
più. Ed è tristezza. Per questo voglio pensarla, per udirla ancora nella mia
immaginazione, come se nulla fosse intervenuto a zittirla.
A volte è il tac tac della zappa
che addenta il terreno a fare d'accompagnamento al suo canto sommesso, mai
sguaiato, anche se in esso si indovina abbandono totale, gioioso. A volte
invece è il gallo, superbo della sua coda falcata e cangiante, che allunga il
collo piegando un poco all'indietro la testa ben fatta, tutto tripudio di
cresta e bargigli fiammanti. Esso affida all'aria uno o una serie completa di
chicchirichì, ignaro o incurante che l'alba feconda sia già passata da un
pezzo. Forse intende, con queste esibizioni fuori programma, ringraziare la
padrona per il buon "pane quotidiano", così puntuale. Non si rende
conto il tapino che all'ora x nessun santo potrà intercedere per salvargli la
vita.
Suoni e rumori, eco scialba di cui tuttavia mi sento
gratificata del mio lontano vivere contadino.
Battistina canta e zappa, sarchia, semina, trapianta,
rincalza, annaffia, strappa erbe inutili ed ostinate tra la vasta gamma di
ortaggi di cui avvicenda la coltura, sempre calzata da enormi zoccoli che
sembrano una naturale appendice delle gambe incredibilmente tozze lasciate nude
e libere da gonne che coprono a fatica il ginocchio. I suoi movimenti parsimoniosi
ma continui danno un senso di pacatezza che è sempre forza interiore.
Quando non ha grandi preoccupazioni, trovando chi può
ascoltarla, le piace chiacchierare; dispensare le nuove su piccola e grande
scala, dai vicini di casa ai parenti più o meno prossimi alle ultime di nera
apprese dal telegiornale. Mai gusto del pettegolezzo, comunque, bensì pietà,
comprensione, partecipazione cosciente per tutti quelli che soffrono. Infilando
le dita grasse dalle forti unghie bombate, tra le maglie della rete per sostenersi
in un poco di riposo, mi chiede se ho sentito di quel bambino, di quella
vecchia, di suo cognato, della nostra vicina… È sempre fornitissima
di notizie tristi, drammatiche, raccapriccianti ed ognuna commenta con larga
umanità. Ma poi finisce con il parlare del suo orto, inorgogliendosi sul
radicchio rigoglioso, sul prezzemolo tanto fitto e alto, sui pomidoro così
grossi e succosi. Per ogni mese ha tutta una serie di verdure o frutti di cui
godere non solo materialmente, ma anche nella sua contemplazione e nel farne le
lodi.
– Quando mi prende la malinconia vengo a far qualcosa
nell'orto o nel pollaio: c'è sempre da fare. Qui mi vien voglia subito di
cantare e mi sento contenta. –
Le sue sono canzoni degli anni Trenta-Quaranta,
o addirittura imparate dai suoi genitori. Anch'io ne ricordo: Vipera, Quel
mazzolin di fiori, La torre dì Pisa, Capinera.
È intonata Battistina e l'ascolto volentieri anche se la sua
voce è poca e un poco belante. Ma è il tono adatto per mantenere solido il
legame sottile, il rapporto profondo lei-canto-orto.
Esso forma un baluardo sicuro che la protegge.
A mia memoria nell'orto non sono mai mancate due o tre
aiuole di fagioli rampicanti. Battistina, per una ragione che non ho mai
pensato di scoprire, li semina sempre nella porzione di terreno addossata alla
rete di confine dalla mia parte. A fioritura spesso spingo due dita tra le
maglie metalliche per accarezzare i fiorellini inodori bianchi, arancione,
violacei, a seconda della qualità di fagiolo seminato, che mi piacciono tanto.
Papilionacee; ma più che le farfalle a me richiamano alla mente visetti
spiritosi che spuntano la loro ingenuità al di sotto dell'ampia tesa dei cappellucci alla Rossella O'Hara.
Poi i fiori si tramuteranno in frutti. Alcuni tralci sottili
e flessuosi come serpentelli patetici in cerca di appoggio, sconfinano
offrendomi i loro baccelli verde tenero prima, gialliccio, a strie rosse,
biancastro a maturazione completa.
Battistina mi offre sempre qualche assaggio dei vari
prodotti e mi prega di cogliere i fagioli che "vengono sul mio".
Approfitto volentieri perché legato al valore in sé, che è ben poca cosa, c'è
il simbolo d'immediata decodificazione: la Terra che nutre l'uomo. Accarezzo
quei baccelli, li apro quasi reverente sempre stupita davanti agli ovali
dicotiledoni che ne escono. So che Battistina dà concime chimico all'orto
perché quello naturale dei suoi animali non basta, so che annaffia con l'acqua
non certo pura dell'acquedotto, so che la pioggia è acida, eppure il sapore di
questi fagioli, come di tutto il poco che mi regala, è ben più gustoso di
quello della verdura che acquisto nei negozi vari.
Purtroppo ora Battistina non canta più e svogliatamente si
dà da fare tra le aiuole. Di rado infila le dita grasse, un poco irrigidite
dall'artrite, tra le maglie della rete.
– Oh, – mi dice con voce bassa, querula – nemmeno il mio
orto riesce a tirarmi su di morale, ormai. Gli insetti distruggono ogni cosa.
D'altra parte non mi sento di annegarmi negli anticrittogamici il tempo non è
mai quello giusto. Tutto è cambiato. Sarà anche perché sono vecchia. –
La donna ha una breve pausa di ripensamento e subito si
ribella, ammesso che con Battistina si possa parlare di ribellione.
– Non dico di no, sono vecchia; ma è anche il mondo che è
maledettamente cattivo. Ogni giorno diventa sempre più difficile sopportare
tanta malvagità. –
Tratto da Celeste
Chiappani Loda, Nodo scorsoio