Intervista a Maurizio Tomassini, veterinario

Il dottor Maurizio Tomassini, che conduce un ambulatorio di medicina vete­rinaria, assieme ad altri colleghi, acconsente cordialmente a rilasciarmi un’intervista.

Sedutici di fronte — ci separa la scrivania, messa di sghimbescio, nell’ampio locale luminoso che serve appunto da ambulatorio —  mi ac­cingo a porre le domande che avevo, in precedenza, preparate.

Allora, dottore, immagino che lei abbia scelto questa profes­sione perché ama le bestie. Secondo lei, la molla che l’ha spinta su questa strada, può essere sentita in ugual maniera da tutti, o almeno dalla maggior parte, dei medici che curano l’uomo?

Domanda imbarazzante. Direi che spero di sì… Spero proprio di sì.

Da cosciente professionista credo che i suoi pazienti abbiano per lei la medesima importanza. Tuttavia esistono alcune specie di ani­mali, o i cuccioli, ad esempio, che le ispirano maggior tenerezza?

Posso dire di non avere alcuna preferenza tra gli animali che devo curare. Per me sono tutti uguali. Naturalmente i cuccioli ispirano maggior tenerezza. Ma questo è logico, del resto. Chiunque sente più tenerezza per un cucciolo che non per un animale adulto.

Naturalmente i suoi clienti, dal momento che ricorrono alle sue prestazioni dimostrano di amare gli animali. Tutti sappiamo, pur­troppo — e noi italiani non brilliamo certo per educazione avanzata in questo campo — che il malvezzo di maltrattare, addirittura torturare gli animali per puro sadismo, è tutt’altro che una favola. Riuscirebbe lei, grosso modo, basandosi sulle sue esperienze di giovane professionista, a ricavare una percentuale di amanti degli animali, escludendo dal novero chi ama solo il suo cane o il suo gatto perché sono di razza?

Quantificare è molto difficile. Per me almeno direi che è im­possibile, proprio perché, come dice lei, chi viene da me viene perché ama gli animali. Ci sono persone che stravedono addirittura e fareb­bero qualsiasi cosa pur di vedere la propria bestiola guarita. Quindi non mi è possibile stabilire una percentuale, come la intende lei, anche solo approssimativa.

A proposito di razza, ha dei pregiudizi contro i « bastardi », cani o gatti che siano?

Assolutamente no. Anzi ci sono cani bastardi così « ruffiani »che imparano subito quale è il debole del padrone e riescono così a otte­nere tutto quello che vogliono. Anche in fatto di cibarie, così che diven­tano tanto grassi da dover ricorrere alle mie cure.

Esistono persone che sono, diciamo così, allergiche agli ani­mali. Esse infatti non riescono a toccare né un cane né un gatto né un pennuto senza sentirsi male, letteralmente. Che ne pensa?

Non esistono persone allergiche nel senso che intende lei. Ci possono essere due casi. Queste persone hanno avuto un trauma da bambini da un primo cattivo incontro con un cane che li ha morsi o un gatto che li ha graffiati, ad esempio; in seguito nessuno li ha aiutati a vincere la profonda negativa impressione di tale fatto. Oppure, sempre queste persone, hanno avuto dalla famiglia una vera e propria educa­zione, corroborata dall’esempio magari intesa a far aborrire o temere gli animali. Io so di gente fermamente convinta che sia pericoloso il con­tatto con le bestie perché esse portano necessariamente delle malattie. Tanto per fare un esempio dirò che la micosi si prende anche andando in piscina. E potrei fare nomi di altre malattie dove le bestie non entrano assolutamente, in quanto a contagio.

Ho udito di veterinari che rifiutano di eliminare una bestia sofferente — richiesti dal padrone della bestia stessa — preferendo cu­rarla per mantenerla in vita il più a lungo possibile. Personalmente, mentre su un piano umano non riesco a prendere partito sull’eutanasia, non condivido la posizione di questi veterinari. Che cosa ne pensa?

Dirò che non sono per niente portato a praticare l’eutanasia. Certamente se un animale è già molto vecchio, cieco, si muove male, perde le feci oppure è affetto da un male incurabile già alla fine, allora non vedo perché si debba continuare a farlo soffrire. Io ho dovuto eli­minare il mio barboncino che aveva sedici anni. Ma ho impiegato un mese per con vincermi a farlo. E le assicuro che non è stato per nulla piacevole.

Ed ora veniamo alle domande che sono diventate ormai prassi in questi casi, ma che, secondo me, sono ricche d’un significato non dico immutabile, ma addirittura crescente: lei considera la caccia o la pesca (non professionale) uno sport?

No, nel modo più assoluto. Però mi piace moltissimo osservare i cani da caccia nelle loro funzioni. Ho visto ad esempio due cuccioli di un paio di mesi a cui nessuno aveva insegnato alcunché, puntare un fagiano e fermarlo. Si capisce che, arrivati a questo punto, ritirerei il cane lasciando libera la preda. Altrettanto disapprovo coloro che prati­cano la pesca come sport. Ho udito qualcuno di loro asserire, a loro giu­stificazione, che, mentre il cacciatore lascia pressoché nessuna possibilità alla selvaggina, il pescatore invece offre l’esca lasciando però al pesce la libertà di scelta: abboccare oppure no. Chiaramente è un’affermazione oltremodo ridicola, addirittura offensiva per chi l’ascolta.

È d’accordo con i difensori delle deprecabilissime corride quando portano come pezza giustificativa il fatto che i tori destinati al barbaro trattamento che tutti conosciamo sono appositamente allevati, quindi le corride diventano lecite?

No, nel modo più assoluto. Il fatto che un animale venga allevato per quello scopo non cambia nulla.

Così potremmo parlare degli animali ammaestrati per i giochi circensi, degli zoo, dei combattimenti dei galli e anche delle corse dei cani e dei cavalli.

Allora, se non lo sa, io aggiungerei il gioco inventato da alcuni, non so come chiamarli perché mi rifiuto di chiamarli persone, di Milano, che spendono fior di biglietti da centomila per acquistare cani con tanto di pedegree (molte volte vengono imbrogliati) e poi, con la scusa di portare al parco i cani per la passeggiata (sempre di grossa taglia come doberman, pastori tedeschi, mastini ecc.) scommettono a chi ha il cane più forte e aizzano le povere bestie una contro l'altra. In alcuni casi, purtroppo, anche l'intervento del veterinario è ormai inutile.

Che cosa pensa dei vegetariani?

Vorrei avere tanta forza di volontà per diventarlo. Infatti io ho scelto di curare gli animali di compagnia, diciamo, perché non potrei sopportare il pensiero di fare di tutto per salvare un maiale, un bue o altro quando so già in partenza che esso è destinato al macello.

C’è qualche episodio particolarmente interessante o commo­vente che le piacerebbe ricordare in poche parole?

Be', episodi particolari non mi vengono in mente. Per me ogni volta che riesco a salvare un animale è un episodio commovente da ri­cordare con gioia.

 

L'intervista è finita, così saluto il dottor Tomassini esprimendogli la mia gratitudine per la sua disponibilità. Esco attraversando la sala d'aspetto; tra le foto degli animali e gli avvisi vari noto, incorniciata, questa, chiamiamola così, amara constatazione canina che mi pare molto simpatica. Chiedo il permesso al veterinario e me la copio per proporla a chi non la conoscesse già:

Gatto Taddeo si lascia incuriosire da una bolla di sapone.

Foto Danilo Manocchio

Io non rubo e l'uomo sì
eppure nei grandi magazzini è scritto
"vietato l'ingresso ai cani".

Io non bestemmio e l'uomo sì
eppure in chiesa è scritto
"vietato l'ingresso ai cani".

Io non do scandalo e l'uomo sì
eppure in Parlamento è scritto
"vietato l'ingresso ai cani".

Io non dirotto gli aerei e l'uomo sì
eppure negli aerei è scritto
"vietato l'ingresso ai cani".

Io non ho mai fatto una guerra
e l'uomo tante, eppure è d'uso la scritta
"attenti al cane!"

Cani di tutto il mondo
non fatevi imbrogliare:
il nostro nemico non è il gatto
È L'UOMO!!!