Cosima amava il teatro con tutta l'anima. Vi era nata, del
resto, nel senso che i suoi genitori erano i custodi del Teatro Magnum, il più
importante della regione, dove si davano rappresentazioni che andavano dalla
prosa al melodramma, dal balletto ai concerti, il tutto ad alto livello.
Il padre di Cosima sapeva di questo grande amore della
figlia e ben presto, quando era libera da impegni di scuola e non doveva
aiutare la mamma, iniziò a portarla con sé nel disbrigo delle sue svariate incombenze,
sì che a dieci anni, la bambina conosceva ogni angolo dell'edificio, anche il
più remoto.
Raramente aveva potuto assistere a qualche spettacolo dal
loggione e ne era stata totalmente presa. Tuttavia amava moltissimo il teatro
vuoto: sentore vago di cose vecchie e polverose, penombra che sfumava gli
oggetti, vuoti il palcoscenico, i palchi, la platea, i camerini, lo spazio
dietro le quinte; spenti il grande lampadario che pareva un piccolo sole
splendente dal centro dell'alto soffitto, le lampade dislocate lungo i palchi,
i fari e i faretti che dovevano illuminare il palcoscenico e gli attori che
recitavano.
In queste condizioni la fantasia aveva tutta la possibilità
di spaziare e creare storie da vivere con emozione intensa.
Cosima non avrebbe mai saputo tradurre in parole tutto ciò,
quindi non ne parlava mai con nessuno, nemmeno con i genitori, anche se una
grande confidenza la legava a loro.
Però esisteva una forma di spettacolo che eguagliava questo
grande amore per il teatro vuoto, ed erano i grandi balletti narrativi, nella
coreografia originale; ed il suo sogno proibito era di poter frequentare corsi
di danza accademica.
Di ciò babbo e mamma erano a conoscenza e si dolevano molto
di non poterla accontentare. La mamma, cagionevole di salute, poteva a malapena
badare alla casa, quindi la bambina doveva aiutarla; inoltre aveva bisogno
spesso di medicine assai costose, e lo stipendio del babbo purtroppo non si
poteva definire chissà che buono.
Cosima, oltre essere molto alta per la sua età, era anche
assai giudiziosa, perciò capiva la situazione e non si lagnava mai.
Era il mese di gennaio e la ragazzina avrebbe compiuto gli
undici anni il giorno ventotto. La sera del ventisette, durante la cena, il
babbo annunciò:
– Cosima, domani è il tuo compleanno; purtroppo sai che
non abbiamo soldi né per feste né per regali, tuttavia ti ho riservato una
sorpresa che, sono certo, ti farà contenta. –
– Oh, babbo, dimmi di che cosa si tratta, – pregò
assai incuriosita. – Dopotutto mancano poche ore al mio compleanno. –
– Appunto. Per questo ho atteso fino ad ora per
dirtelo; per non farti stare in ansia troppo tempo. Difatti sono già tre o
quattro mesi che ho pensato di farti questa specie di regalo. –
– Non essere cattivo, babbo. Sai che i miei compagni di
scuola hanno sempre bellissimi regali per il loro compleanno, mentre io non ho
mai niente. –
I genitori si
guardarono addolorati e la mamma strizzò l'occhio al marito che annunciò:
– Va bene, mi hai convinto. Per ora ti racconterò una
storia vera che fa parte della sorpresa; domani mattina per tempo avrai il
resto, che è la parte migliore. –
– Così mi piace, anche se mi accontenti solo a
metà! – esclamò Cosima.
Il babbo raccontò.
– Devi sapere che, poco prima che tu nascessi, danzava
in questo teatro una grandissima ballerina, un'étoile, come le chiamano, che corrisponde al grado massimo di
quest'arte. Il suo nome era Irella Dian. Danzava in tutti i maggiori teatri del
mondo, ma questa era la città dove era nata e dove viveva quando non era in tournée, perciò il Magnum era il teatro
più vicino al suo cuore perché qui aveva studiato e si era esibita per la prima
volta. Purtroppo un brutto giorno la Dian fu investita da un automobilista
ubriaco che passò con il rosso. Ella guarì, ma non potè più danzare. Aveva da poco
compiuto trent'anni. La danza era stata la sua ragione di vita, quindi puoi ben
immaginare la sua disperazione. Vendette l'appartamento che aveva qui in città
per stabilirsi all'estero, dove non so, e di lei non ho più udito parlare.
Prima di andarsene per sempre fece un dono in denaro al Magnum a patto che,
nell'ufficio del direttore, venissero esposti in una teca il suo primo tutù e
le sue prime scarpette. –
– Ma io quella roba non l'ho mai vista, – saltò su
a dire Cosima in tono di rimprovero.
– Esatto. Ho la chiave dell'ufficio, ma tu capisci che
è una grossa responsabilità per me. Per questo ti ho mostrato tutto il teatro
meno quella stanza; ma ora che ti reputo sufficientemente matura lo farò domani
mattina per tempo, come ti ho già detto. –
– Grazie, babbo, non potevi farmi regalo migliore. Sei
contenta anche tu, mamma? –
– Lo sai benissimo, cara, che la mia gioia più grande è
di vederti soddisfatta. –
– Allora siamo intesi: se domani mattina dormissi
ancora, svegliatemi, mi raccomando, anche alle quattro, anche alle tre se è
necessario. –
Finalmente il mattino dopo, assai presto, Cosima, con il
cuore in gola, potè entrare, assieme al babbo, nell'ufficio del direttore. La
bambina vide subito, appesa alla parete di fronte alla porta, la teca con il tutù
e le scarpette di cui aveva parlato il babbo. Trattenendo il fiato si avvicinò
in punta di piedi a quei preziosi cimeli. Quando fu a pochi centimetri di
distanza essi le apparvero vibranti di vita, di musica. Poi si accorse che sul
fondo della teca era fissato un catoncino bianco sul quale potè leggere,
scritto in una grafia un po' contorta: Irella Dian lascia a questo Teatro parte
della sua vita. Non dimenticatemi, per favore.
– Santo cielo, che disgrazia, – mormorò la bambina
sentendo una grande pena stringerle il cuore.
Intanto il babbo, dalla soglia della porta, la sollecitava
ad uscire.
– Allora, sei contenta? – le chiese dopo aver
chiuso la porta a chiave con un grande senso di sollievo.
Cosima rispose con un'altra domanda:
– Tu, l'hai conosciuta la Dian? –
– Certamente. Non in modo profondo, si capisce; ma la
vedevo spesso. Assistetti anche ad un paio di suoi spettacoli infilandomi nel
loggione. Se ricordo bene uno era Giselle
e l'altro era Coppelia. –
– Com'era? La Dian, intendo. –
– Non si può dire che fosse bella né che fosse alla
mano; ma aveva un corpo perfetto per essere un'étoile, come poi è stata, oltre a possedere talento e passione, si
capisce. –
– Che cosa vuol dire? –
– Schiena dritta, senza la benché minima imperfezione
alla spina dorsale, collo del piede molto accentuato, bacino fatto in un certo
modo… Be', io non sono un esperto e più di così non ti saprei dire. Mi dispiace
sapendo quanto sono importanti per te queste cose. –
– Mi sarebbe piaciuto tanto conoscerla e vederla
danzare, – sospirò la bambina trasognata.
E l'argomento fu chiuso, ma non per lei. Oramai la visione
di quel tutù e di quelle scarpette chiuse nella teca non le lasciarono più
pace. Avrebbe desiderato tanto rivederli, ma non osava chiedere al babbo di
riportarla nell'ufficio. Purtroppo il desiderio diventava sempre più acuto ogni
giorno che passava, così che ella decise di commettere un'azione molto
scorretta; una scorrettezza di cui non avrebbe mai creduto di essere capace.
Naturalmente conosceva il posto dove il babbo teneva le
chiavi che riguardavano il teatro; così una notte, silenziosa come un gatto, le
prese e si recò all'ufficio del direttore. Conosceva talmente bene l'edificio
che poteva muoversi anche al buio senza smarrirsi.
Ogni chiave era munita di un cartellino che la distingueva
dalle altre; ma Cosima, dovendo fare tutto al buio, non aveva potuto cercare
quella giusta; inoltre si accorse che al momento di aprire la porta
dell'ufficio le mani le tremavano e per questo trafficò piuttosto a lungo prima
di poter riuscire ad entrare. Quando alla fine ci riuscì entrò velocemente,
richiuse adagio per non far rumore, accese la luce sicura che nessuno avrebbe
potuto vedere poiché le ante intere dell'unica finestra erano ben chiuse, alla
fine si portò davanti alla teca per contemplarla estatica.
Tutù, scarpette, cartoncino scritto di pugno da Irella…
Irella…
Tutto si anima nella mente di Cosima. Irella ora danza
leggera come un soffio, si eleva dal suolo, vi ritorna, il tutto in un
movimento di braccia e di gambe che non hanno più nulla di materiale. È come
che il corpo della danzatrice sia solo un involucro che contiene ed esprime
armonia di movimento e musica.
Oh, Irella! mormora la bambina fissando lo sportello della
teca… che si sta muovendo. Cosima scuote la testa e si frega gli occhi un poco
spaventata.
– Irella, sei tu? – La domanda le esce da sola su
un filo di voce.
– No, io sono lo Spirito della Danza che può entrare
nel corpo di pochi eletti, ma in cambio chiedo tutto. –
Mentre la voce dal tono non proprio dolce, parla, tutù e
scarpette escono dalla teca per andare a posarsi ai piedi della bambina che
ormai, tutta presa dalla straordinaria avventura, non prova più alcun timore.
– E ora ascolta, – prosegue lo Spirito. –
Indossa questi indumenti. So che hai un talento eccezionale per la danza, ma so
anche che non siamo nelle condizioni di spendere troppo tempo per impartirti le
lezioni necessarie. Ti darò solo gli elementi fondamentali, quindi. Può darsi
che in futuro ti si presenti l'occasione di compiere studi più approfonditi; di
completare ciò che adesso iniziamo. Non si può mai sapere. Hai capito
bene? –
– Sì, certamente. –
– E allora fai quanto ti ho detto. –
Cosima ubbidisce come un automa e subito si sente
leggerissima.
Lo Spirito riprende:
– Immagino tu sappia che esiste una tecnica complicata
che regola la danza; e quella si impara con ore e ore e ore di faticoso
esercizio. Per questa prima volta ti spiegherò la posizione corretta, le cinque
posizioni delle braccia e le cinque posizioni dei piedi. Se starai molto
attenta potrai imprimertele bene in testa ed esercitarti poi da sola. Purtroppo
qui non possiamo disporre di una sbarra, ma se ti impegni, potrai trovarne il
surrogato. Ecco dunque la posizione corretta: la colonna vertebrale non deve
avere nessuna inclinazione né inarcamento. Prova. –
Cosima si mette in posizione e lo Spirito interviene:
– No, la testa non deve essere troppo inclinata
all'indietro. Ecco, così, brava.
Dopo un paio di correzioni l'allieva è perfettamente in
grado di mantenere il corpo in posizione corretta, tanto che lo Spirito può
passare a spiegare e a controllare la posizione delle mani e quella dei piedi.
La ragazzina esegue, si corregge senza troppo sforzo
seguendo i consigli di quello straordinario insegnante. Alla fine quest'ultimo
dichiara:
– Per stavolta è più che sufficiente. Se ti eserciti a
casa e troverò dei buoni risultati la volta prossima passeremo a qualcosa di
molto più impegnativo. Rimetti a posto tutù e scarpette e vieni quando vuoi; mi
troverai sempre qua. –
Cosima, presa da una specie di intontimento, ubbidisce,
ringrazia, saluta. Infine, tornando lucida come sempre, spense la luce, chiuse
diligentemente la porta senza fatica, avendo preparato, prima di spegnere, la
chiave giusta e tornò a casa, si può dire, a passo di danza.
I suoi genitori non s'accorsero di nulla; infatti la bambina
aveva la fortuna di poter usufruire di un piccolo vano, poco più grande di uno
sgabuzzino, che era stato adibito a sua camera da letto, il quale aveva anche
un'entrata indipendente dalle due stanze con servizi che costituivano l'intero
appartamento della famigliola. Inoltre era abitudine dei suoi genitori di
disturbarla solo in casi importanti quando ella vi si chiudeva. Per questo
Cosima aveva già deciso che lì poteva fare tranquillamente i suoi esercizi
usando le verghe del suo letto di ferro come sbarra.
Togliendosi il cappotto che s'era infilata sul pigiama per
andare all'ufficio del direttore, guardò la sveglietta a numeri fosforescenti
posata su una seggiola accanto al letto. Incredibile: da quando era uscita era
trascorsa appena un'ora e mezza.
S'infilò sotto le coperte pensando che non avrebbe potuto
dormire, elettrizzata com'era. Questo la preoccupava perché all'indomani
avrebbe dovuto andare a scuola, fare i compiti, aiutare la mamma; insomma,
comportarsi come nulla fosse accaduto.
Invece si addormentò di colpo e al mattino seguente si alzò
alla solita ora, un poco assonnata come ogni mattina ma per nulla stanca. Bene,
pensò, se continuo così riuscirò a mantenere il mio segreto, anche se mi
rimorde un poco la coscienza nei confronti di mamma e papà.
Cosima andò avanti così per sei mesi. Ogni notte passava due
orette nell'ufficio del direttore, mentre durante il giorno, appena possibile,
si chiudeva nel suo stanzino per esercitarsi nei nuovi elementi appresi.
Per poter fare questo però evitava spesso di aiutare la
mamma, inventando sempre nuove scuse; inoltre eseguiva tanto male i compiti di
scuola e studiava così poco le lezioni che il suo profitto ebbe un calo
pauroso.
Naturalmente i genitori se ne preoccuparono. D'altra parte
vedendola felice come non era mai stata e constatando che mangiava sempre di
gran lena senza accusare mai il più piccolo malessere, si convinsero che la
loro figliola stava soltanto attraversando un periodo un po' strano e che ben
presto sarebbe tornata ad essere la saggia bambina di sempre.
Quello che non potevano sapere e che non potevano neanche
immaginare era che i suoi progressi nella danza avevano dell'incredibile.
Ogni notte lo Spirito la esaminava su quello che le aveva
insegnato la volta precedente passando a qualcosa di nuovo, sempre più
impegnativo. Si arrivò così al "galoppo", al "salto del
cavallo", alla "piroetta".
A questo punto lo
Spirito spiegò a quell'allieva straordinaria:
– Non ti ho ancora detto che io uso il nome delle varie
figure tradotti in italiano, ma essi sono sempre scritti e pronunciati in
francese. Questo per tua informazione. Ecco, – proseguì – ora abbiamo
superato il cosiddetto grado primario, perciò affronteremo il grado secondario. –
Così, di grado in grado, arrivarono al quarto. Naturalmente
con molte imperfezioni tecniche; ma il talento e la passione di Cosima erano
talmente eccezionali che lo Spirito era tentato di continuare. Tuttavia, per il
suo bene, sarebbe stato giusto che, a questo punto, ella frequentasse una vera
scuola attrezzata; perciò le tenne un discorso molto serio:
– Per me è un dolore dirti addio, ma per il tuo bene è
arrivato il momento di lasciarci, per il semplice fatto che se, un domani, tu
dovessi continuare su questa strada, non vorrei che certe imperfezioni si
radicassero in te e tu dovessi poi perdere molto tempo per rimediarvi: ammesso
che riuscissi a farlo. Addio, piccola, ti auguro ogni bene. –
Cosima, con il cuore in subbuglio e le lacrime che le offuscavano
la vista, rimise tutù e scarpette nella teca, però né spense la luce né chiuse
la porta dell'ufficio, correndo a casa senza preoccuparsi di non far rumore.
Una volta in camera sua si gettò sul letto e scoppiò in un
pianto disperato. Naturalmente i genitori si svegliarono e accorsero
spaventatissimi.
Ci volle del bello e del buono ma alla fine riuscirono a far
parlare la bambina la quale raccontò ogni cosa.
Il loro sbalordimento, la loro incredulità furono enormi e,
pur volendo contenersi per non addolorare maggiormente Cosima, essi trapelarono
dai loro sguardi sì che la figliola se n'avvide. Indispettita, saltò dal letto
decisa a dare loro una dimostrazione di quanto sapeva fare.
– Ed ora state a guardare, – ordinò – tenendo
conto che non ho le scarpette, le quali sono molto importanti. –
In quattro e quattr'otto eseguì un paio di battement, un'arabesque e una piroetta, poi fece l'inchino proprio delle
danzatrici, alla fine, sempre imbronciata, chiese:
– Come vi sembra? –
– Sacripanti! – esclamò il babbo incapace di
aggiungere altro.
– Signoriddio, – mormorò la mamma congiungendo le
mani presa da grande emozione nonché da notevole timore al quale nemmeno lei
avrebbe saputo che nome dare.
Cosima interruppe quello stato di sbalordimento: le era
venuta un'idea improvvisa che le parve meravigliosa, risolutiva:
– Babbo, – esclamò – tu conoscerai senz'altro
qualcuno del ramo che si presti ad esaminarmi. Sono sicura di sì. Potresti
parlargliene. –
Il povero uomo, preso alla sprovvista, cercò di tergiversare:
– Be', sai, non… –
– Che cosa non? – Cosima non lo lasciò nemmeno
finire inchiodandogli gli occhi in faccia come volesse fulminarlo. I due
coniugi si guardarono sbalorditi; ma era veramente la loro brava figliola,
quella? sembravano chiedersi a vicenda.
– Sta' calma, vivaddio. – Il babbo stava cercando
altre scappatoie, ma decise che era meglio impegnarsi con una mezza
promessa. – Forse c'è il coreografo Bilroit che s'è ritirato da tempo
ormai, ma di tanto in tanto, qui al Magnum, lo chiamano per richiedere un suo
parere. Potrei tentare di contattarlo. Lo ricordo come una persona disponibile;
ma in fin dei conti chi siamo noi? Nessuno, figlia mia. Questo non scordartelo
mai. Inoltre, sei pronta anche ad ascoltare un giudizio negativo? –
Cosima non aveva pensato a questa possibilità e rimase in
silenzio per qualche secondo a rigirarsi dentro la domanda crudele e a cercare
di capire che cosa veramente pensava al riguardo. Alla fine mormorò ingoiando
le lacrime:
– Va bene, ti prometto che sarò coraggiosa… Certo che
senza scarpette non potrò rendere molto, – aggiunse a mezza voce come una
giustificazione anticipata.
– Questo è vero, – ammisero in coro i genitori.
– Ma ora è meglio che tu dorma, – aggiunse il
babbo sempre attento alle cose pratiche, – altrimenti non vedo come farai
domani a rimanere sveglia durante le ore di scuola. Io andrò a chiudere la
porta dell'ufficio e a spegnere la luce. Ti rendi conto, vero, del rischio che
mi hai fatto correre? –
– Certo che se ne rende conto, – saltò su la
mamma, – ma non è successo niente, no? – E diede un'occhiataccia al
marito.
– Va bene, va bene, non parliamone più. – Ma in
cuor suo imprecava contro la stramaledetta idea che aveva avuto di mostrare la
teca a quella pazzerella.
Dopo di che, babbo e mamma le rimboccarono le coperte, le
diedero il bacio della buona notte e uscirono spegnendo la luce.
Cosima si girò un paio di volte, ora su un fianco ora
sull'altro e, nonostante il dolore di quel sogno che sembrava quasi avverato,
mentre, con ogni probabilità, stava naufragando per sempre, si addormentò.
I genitori invece non riuscirono a chiudere occhio. Tra
silenzi più o meno lunghi borbottavano commenti, buttavano là ipotesi,
sospiravano senza sapere raccapezzarsi in una situazione tanto fuori
dall'ordinario.
Ad un tratto la moglie dichiarò:
– Cosima ha ragione; senza scarpette è quasi
impossibile fare bella figura. Io avrei un'idea. Te la ricordi, vero, la
portinaia del ventinove? Quella… –
– Certo che la ricordo: tenne con sé qualche volta
Cosima quando tu dovevi ricoverarti in ospedale. –
– Sì, proprio lei, la signora Carolina, gran buona
donna. Ecco, la sua figliola, che è di quattro o cinque anni maggiore della
nostra, frequentò dei corsi di danza. Aveva le scarpette e magari se le è
tenute, così, per ricordo, anche se smise di frequentare. Se è così sono sicura
che ce le presterebbe. Dovrebbero andare bene a Cosima come lunghezza. Che ne
pensi? –
– Mi sembra un'ottima idea; però non dire nulla alla
bambina altrimenti arrischia di illudersi per niente. –
– Bene, domani telefono alla signora Carolina.
Speriamo, signoriddio! Guarda un po' che cosa ci deve capitare. –
Senza più una parola i due si girarono su di un fianco
voltandosi la schiena, ma entrambi rimasero svegli.
Le scarpette furono trovate e il vecchio coreografo
acconsentì ad esaminare la ragazzina di lì a tre giorni. Oh, se potesse avere
anche il tutù, pensava la mamma… Ma certo, l'abitino azzurro di organza che
aveva deciso di non farle più indossare perché troppo corto. Come no!, corpetto
attillato e gonna arricciata, vaporosa; poi le avrebbe legato i capelli a coda
di cavallo con il nastro che già aveva dello stesso colore dell'abito. Una
meraviglia sarebbe stata. E già la vedeva sul palcoscenico del Magnum sommersa
dagli applausi.
Il mattino seguente la donna mise mano all'abitino. Dopo
averlo stirato con ogni cura lo tenne steso davanti a sé prendendolo per le
spalle. Purtroppo, dovette ammettere delusa, si era aspettata di meglio.
Comunque si consolò dicendosi che era sempre più adatto che non i jeans, anche
se assomigliava piuttosto pochino ad un tutù.
Tre giorni, aveva detto il coreografo: per la famiglia
furono i tre giorni più lunghi che ricordasse d'aver trascorso. Alla fine
giunse l'ora sospirata. Cosima uscì con il babbo, mentre la mamma stette sul marciapiede
a seguirli con gli occhi fino a che svoltarono al primo angolo della via.
Il signor Bilroit li accolse con gentilezza, ma ovviamente,
senza quel calore che la bambina s'era aspettata. Questo, unito alla figura
dell'uomo alto, magro, dai lineamenti aguzzi, con gli occhiali dalla pesante
montatura nera, sbilanciò molto la poveretta che vinse a malapena l'impulso di
fuggire.
Il coreografo li fece accomodare in una grande sala dalle
pareti ricoperte di scaffali colmi di libri dall'aspetto severo. Il centro del
locale era occupato da un nudo pianoforte a coda. Cosima, naturalmente, aveva
già visto questi strumenti, ma lì, in quella speciale circostanza, le parve un
mostro pronto a divorarla. La testa incominciò a girarle e dovette aggrapparsi
al braccio del babbo per non cadere.
Nel frattempo la voce del padrone di casa le giunse come se
le parlasse da chissà quale lontananza.
– Ecco, purtroppo non ho molto tempo a disposizione, ma
ho accumulato tanta di quella esperienza che me ne basta assai poco per poter
formulare un giudizio. Ed ora, piccola, il babbo ed io ci sediamo qui e tu mi
fai vedere quello che sai fare. Ti do piena libertà di scelta. –
Cosima si riprese come per incanto; chiese il permesso di
calzare le scarpette che aveva portato in un sacchetto di carta e subito si
lanciò nei passi che sapeva le riuscivano meglio.
Oramai lei è senza peso e intorno esiste soltanto un grande
spazio vuoto, pieno solo di profumo e di note armoniose che la prendono per
mano, sollevandola da terra per accompagnarla in movimenti traboccanti grazia e
per riportarla poi al suolo come fosse il petalo d'un fiore esotico…
– Basta così, piccola. –
L'incanto si ruppe di colpo e l'impatto con la realtà fu per
la danzatrice assai sgradevole.
Ritta ora guardava quell'uomo il cui aspetto le sembrava
ancora più scostante, addirittura ostile.
Bilroit intanto la fissava con i suoi piccoli occhi protetti
dalle lenti che, per un gioco di luce, parevano due capocchie di spillo
arroventate. La bambina abbassò lo sguardo sperando che suo padre le venisse in
aiuto in qualche modo; ma anche lui se ne stava in silenzio con le mani strette
tra le ginocchia e le mascelle serrate.
Finalmente l'uomo parlò:
– Non si può negare che questa ragazzina… A proposito,
come ti chiami? –
– Cosima, signore, – risposero padre e figlia
all'unisono con un filo di voce.
– Cosima, bel nome, – borbottò il
coreografo. – Non si può negare, dicevo, che Cosima abbia un talento
eccezionale, oltre che un corpo adatto alla danza. Da chi hai preso
lezione? –
La domanda non era stata prevista, purtroppo e la bambina
balbettò:
– Be', sa… –
Mentre il padre, dal canto suo, mormorava:
– Ma… è… –
Fortunatamente l'esaminatore dimenticò subito d'averla
formulata e riprese:
– È chiaro che sei solo agli inizi, ma un buon giorno
si vede dal mattino, come si suol dire. Avrei una proposta da fare, ma potrò
essere più preciso fra un paio di giorni. Un mio amico sta allestendo Il lago dei cigni al Magnum; anzi, lo
saprà senz'altro, no? – chiese guardando il custode senza attendere risposta
nemmeno stavolta. – Purtroppo, uno dei "cigni" è a letto con la
polmonite e il mio amico si trova in difficoltà. Potrei parlargliene. Cosima è
molto giovane: a proposito, quanti anni hai? –
– Undici e mezzo, signore. –
– Sei proprio una bambina, ma sei molto alta per la tua
età. Credo che il mio amico ti accetterà come "cigno"; però durante i
quindici giorni che mancano alla "prima" dovrai mettercela tutta per
imparare i passi. Ti va? Sempre che il mio amico accetti, s'intende. –
– Oh, sì, sì, certo, signore. Prometto che chiederò il
permesso alla direttrice della mia scuola e mi darò tutta alla danza durante
questo tempo. –
Il babbo non era chissà che entusiasta della proposta.
Troppi intralci si frapponevano fra la sua posizione sociale ed economica e
quella pista ghiacciata, come la definiva lui. La figlia gliel'aveva letto in
faccia, per questo s'era affrettata a dare conferma con tanto calore, dopo di
che lui non avrebbe più avuto il coraggio di contraddirla, anche per non fare
brutta figura con il coreografo.
Belroit li congedò ed essi ringraziarono ed uscirono.
Appena in strada Cosima disse al padre:
– Non dire nulla, per favore, tanto non possiamo ancora
sapere come finirà la cosa, ti pare? –
– Certo; secondo me è meglio che non ti faccia illusioni. –
Lungo tutto il tragitto la bambina non vide altro che
"cigni", tutù, teatro illuminato e pieno zeppo di spettatori.
Dopo due giorni, gentile e puntuale, il signor Belroit
telefonò per dire che il suo amico accettava Cosima. Non c'era nemmeno bisogno
che la vedesse: si fidava ciecamente del suo giudizio. L'importante era che
garantisse un'assoluta puntuale presenza durante i quindici giorni che
mancavano all'andata in scena.
Cosima fu sempre puntualissima e assai diligente e, alla
fine, arrivò la sera tanto sospirata. Genitori e figlia non riuscivano a capire
se erano nervosi, esaltati, illusi, ansiosi… Erano tutto questo, soltanto che
ciascuno di tali sentimenti arrivava da solo, scacciando il precedente e
scacciando il successivo, in un carosello insostenibile.
– Credo che sia ora che m'incammini, – annunciò
Cosima dopo aver guardato la grossa sveglia, la quale non era mai stata
consultata a ritmo tanto serrato come in quelle ultime ore.
– D'accordo. Vuoi che il babbo t'accompagni? –
– Ma no. Mi vedrete dal loggione, come
stabilito. –
E corse fuori dalla cucina per infilare il lungo corridoio,
che a metà svoltava ad angolo retto proseguendo fino ad una scala buia e
stretta, salendo la quale si accedeva ai camerini.
Ad un tratto, qualcuno o qualcosa la urtò violentemente
gettandola a terra. Fece per rialzarsi in fretta ma s'accorse di non poter
muovere la gamba destra. Subito il viso sconosciuto di un giovane in tuta le fu
sopra sollecito.
– Dio mio, ti sei fatta male? – andava chiedendo
spaventato. – Aspetta, ti aiuto ad alzarti. –
– Non ce la faccio, non ce la faccio! – gridò
Cosima al colmo della disperazione. – Accidenti a te, non puoi guardare
dove metti i piedi? –
– Scusami, ti prego, scusami. È che il capotecnico
delle luci mi ha chiamato da sopra le scale, ed io ho girato la testa per
sentire che cosa doveva dirmi, ma senza fermarmi. Sai quale confusione c'è
quando deve iniziare uno spettacolo. Stasera poi è una "prima",
figuriamoci! Un inferno da uscirne matti. –
Mentre l'autolettiga portava Cosima all'ospedale, nel
cervello della poverina, che quasi non sentiva il dolore della gamba
fratturata, per la disperazione, ronzava una sola frase: Guarì ma non potè più
danzare.
Tratto da Dall'altra parte (favole e fiabe forse solo per adulti)
(Torino, 2003), di Celeste Chiappani Loda