Abitarmi stanca di Alessandro Assiri
Pasturana,
puntoacapo, 2023
Scheda
libro. 1
Contenuto. 1
L'autore. 3
La copertina della silloge.
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Titolo: Abitarmi stanca
Autore: Alessandro Assiri
Genere: poesia
Editore: puntoacapo
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 98
ISBN: 9788866794080
In un post di uno dei tanti gruppi Facebook
di amanti della lettura in cui incappai poco tempo fa, venne lanciato un
autodefinitosi “sondaggino” a domanda unica, che
suonava così: quanti secondo voi scrivono e quanti leggono? Una delle risposte
fu: bisogna intendersi su che cosa significa scrivere, perché pochi scrivono e
molti balbettano.
È vero: una pletora di sedicenti poeti e scrittori dà sulla
carta ampia mostra di sé balbettando, storpiando la lingua senza averne
contezza, comunicando (malamente) il banale, credendo che per fare poesia sia
sufficiente andare a capo ogni tanto.
In questo fortunato periodo ho incontrato molti che scrivono
davvero. Fra i poeti Alessandro Assiri.
La chiave del suo Abitarmi
stanca, sta nell'epigrafe-dichiarazione che apre il volumetto:
"Abuso di tutto (ogni
giorno la
sua pena una nuova edizione, un
esercizio qualcosa che non met-
to)
Ho un mare alle spalle una do-
menica da terminare un assaggio
vietato, un indirizzo ignoto.
Ma è nell'invisibile che ho fallito
meglio"
Vivere è infatti ciascun giorno perdere – volendolo - un
comodo mezzo di trasporto per poter abusare scomodamente d'una pena. È
constatare "ogni minuto […] / i piani studiati a tavolino come strategie
per il male / sicuro". È
mimare "la mia evoluzione / che si accontenta di quello che ha / che mi
racconta cosa c'è tra questo nulla e me". E
che cosa ci sia, è il poeta stesso a chiarirlo: sono "le grandi / cose che
lascio fare agli altri", così
da sottrarsi alla vista e – dimorando in questa invisibilità – esplicitare il
proprio fallimento migliore.
Vivere, quindi, per Alessandro Assiri è un esercizio
reiterato di apatia ("il trascorrere / di giornate oziose, strascicare i
piedi i movimenti / base");
d'affermazione ("è dire sono io il / male di cui soffro allo specchio che
annuisce");
d'abbandono ("ogni parola è un pezzo d'abbandono"); di
paura ("Adesso sorge il giorno lo aspettavo / o forse l'aspettava la paura
di esser solo // Il punto cieco l'incapacità del volo").
Ma questi reiterati esercizi, queste azioni-non azioni non
sono fini a se stessi: il filo rosso che li lega è da ricercare nei ritorni
ciclici di alcune parole. Il lemma stesso "parola" è una
significativa ricorrenza: lo vedremo.
In tal senso la silloge di Assiri è talmente ricca che
sarebbe di estremo interesse un'analisi di tutte le ricorrenze per seguire il
percorso delle loro sfumature, conferme e mutazioni. Qui ci limiteremo ad
alcuni esempi.
Colpisce subito la relazione fra opposti, come l'adesso e
l'allora, il nuovo e il vecchio, il movimento e la stasi.
"Una volta mi bastava poco […] // Adesso che sono così
esausto […]".
"impasto / la terra vecchia con la nuova".
"ci vediamo al bina- / ario […], quello vecchio […] /
vino nuovo nel secchio".
"il / posto prenotato nella fila del marmo / se mi
verrai a trovare e sarò lì fermo".
"essere già fermi ancora prima di partire / […] nessuna
voglia che ci basti che poi è lo stesso se / restiamo nascosti da circa una
vita".
"Sono i naufragi che contano / muoversi non serve a
nulla"
Colpisce non tanto perché Assiri, così procedendo, si mette
a nudo, rivelandosi in un presente in cui ricordare è doloroso ("un
indirizzo dove non ti trovi è il ricordo che ho delle cose che restano") e
ricrearsi è faticoso allenamento del dovere ("Ho fatto un bel po' di
niente / e non ho nessuna voglia di smettere // Il frutto della mia conoscenza
che marcisce nella / tempesta // Il mio anno capovolto passo a prenderlo domani
// Abitarmi stanca").
Colpisce, piuttosto, perché – a ben guardare – gli opposti non sempre sono tali
e la temporalità si fa gioco in cui il presente è già pensato come passato nel
futuro:
"Ho una camicia nuova per quando questa non an- / drà più bene / se sarò più magro,
se uscirò più spesso quanti mi / dispiace mancano / all'adesso".
È un mettere le mani davanti, un dichiararsi pronto al cambiamento,
quasi a volerlo metabolizzare in anticipo, perché l'impermanenza
dell'è non si metamorfizzi nella
crudezza del sarà.
E, affinché tutto questo possa avere luogo, è necessaria una
stasi che abbia il sapore accogliente e agro insieme del
"nonostante", che Assiri descrive come "una parola che non finisce
mai",
dato che - nonostante tutto - gli opposti tentano una riconciliazione
attraverso la testimonianza che, della propria storia personale, è affidata a
oggetti, fotografie, polvere e all'azione del ricercare:
"spolvero la foto dove / ridi // Amo i fiori secchi e
le cornici".
"Il bene trovato in un posto dove non avevo pen- / sato è il rumore che la
vita ha lasciato per me […] // E allora frugo continuo a cercare negli angoli
re- / moti della casa, smuovo polvere e paure / gratto forte finché non torna
il bianco".
"con le dita tolgo / la polvere alla foto soffio la
paura che non so".
"Dimmi se posso cercarti in un oggetto sbiadito".
alla vecchiaia e alla malattia (fisica e psichica) si dà
cittadinanza:
"la badante che ti spinge i passi / corti deambulare
nel giorno smemorato del nostro / anniversario hai visto amore dentiere a
ottimi / prezzi // stampelle comodini acque e colluttorio il colore / azzurro
del mare / lo iodosan il sapore del sale.
"Sono la scatola del pronto soccorso".
e la morte passa attraverso un'analisi di realtà che le
restituisce un senso:
"In fondo il sollievo, sapere di morire i cocci / sul
tavolo le briciole / il finire".
"E poi c'è quel che resta / che fa del normale una
tragedia i falliti gesti del / commiato / le cure rinunciate per masticare più
dolore / […] // Padre prodigio, perduto in odore di bestemmia / che finalmente
riposa".
Ho affermato che la chiave per decodificare Abitarmi stanca sta
nell'epigrafe-dichiarazione in apertura. Giunti al termine della silloge,
scopriamo che un'altra chiave si trova nell'ultima poesia:
"Sei / una parola copiata da un libro una scritta
rubata dal muro / l'ultima luce nei titoli di coda".
Ciascuna emozione di cui è imbevuto Abitarmi stanca è sofferta, analizzata, scotomizzata attraverso la
parola che ora fa secca la bocca ed è "pianto che non spurga", ora
è intento di smaterializzazione ("non lascerò parola / tempo sprecato, anche
uno scritto vola"); qui
è consapevolezza di non essere così persuasiva ("Quanto è facile essere
più forti / di tutte le parole"), là
è rilevata discrepanza fra autore e contenuto ("Una volta sostenevo
l'uguaglianza / fra la parola e chi la scrive, adesso mi interessa / solo / il
testo la sua consistenza").
Forse perché la parola non definisce: preme sulle differenze, destabilizzando e
stimolando nel contempo, poiché - "copiata da un libro" o
"rubata dal muro" che sia - sempre ci accompagna dal nascere al
morire attraversando l'umana danza del patimento.
Alessandro Assiri (Bologna 1962) vive tra Trento, Bologna e
Parigi. Si occupa a vario titolo di letteratura e progetti culturali per
editori italiani e francesi. Collabora con riviste letterarie cartacee e
telematiche. Per musei e fondazioni private cura acquisizioni di libri antichi
e opere d’arte. In poesia ha pubblicato: Morgana
e le nuvole (2004); Il giardino dei
pensieri recisi (2006); Modulazione
dell’empietà (2007); Quaderni
dell’impostura (2008); La stanza
delle poche righe (2010); Cronache
della città parallela (2011); In
tempi ormai vicini (2012); Appunti di
un falegname senza amici (2013); Lo
sciancato e Caterina (2014); Lettere
a D. (2016); Ontologia della
Maddalena (2018); L’anno in cui finì
Carosello (2019); Come (Lietocolle/Ronzani Editore,
2022). Per la saggistica: Come salvare la
poesia dai poeti (Serse Cardellini Thauma, 2015).