Il segreto di Cosima

Cosima amava il teatro con tutta l'anima. Vi era nata, del resto, nel senso che i suoi genitori erano i custodi del Teatro Magnum, il più importante della regione, dove si davano rappresentazioni che andavano dalla prosa al melodramma, dal balletto ai concerti, il tutto ad alto livello.

Il padre di Cosima sapeva di questo grande amore della figlia e ben presto, quando era libera da impegni di scuola e non doveva aiutare la mamma, iniziò a portarla con sé nel disbrigo delle sue svariate incombenze, sì che a dieci anni, la bambina conosceva ogni angolo dell'edificio, anche il più remoto.

Raramente aveva potuto assistere a qualche spettacolo dal loggione e ne era stata totalmente presa. Tuttavia amava moltissimo il teatro vuoto: sentore vago di cose vecchie e polverose, penombra che sfumava gli oggetti, vuoti il palcoscenico, i palchi, la platea, i camerini, lo spazio dietro le quinte; spenti il grande lampadario che pareva un piccolo sole splendente dal centro dell'alto soffitto, le lampade dislocate lungo i palchi, i fari e i faretti che dovevano illuminare il palcoscenico e gli attori che recitavano.

In queste condizioni la fantasia aveva tutta la possibilità di spaziare e creare storie da vivere con emozione intensa.

Cosima non avrebbe mai saputo tradurre in parole tutto ciò, quindi non ne parlava mai con nessuno, nemmeno con i genitori, anche se una grande confidenza la legava a loro.

Però esisteva una forma di spettacolo che eguagliava questo grande amore per il teatro vuoto, ed erano i grandi balletti narrativi, nella coreografia originale; ed il suo sogno proibito era di poter frequentare corsi di danza accademica.

Di ciò babbo e mamma erano a conoscenza e si dolevano molto di non poterla accontentare. La mamma, cagionevole di salute, poteva a malapena badare alla casa, quindi la bambina doveva aiutarla; inoltre aveva bisogno spesso di medicine assai costose, e lo stipendio del babbo purtroppo non si poteva definire chissà che buono.

Cosima, oltre essere molto alta per la sua età, era anche assai giudiziosa, perciò capiva la situazione e non si lagnava mai.

Era il mese di gennaio e la ragazzina avrebbe compiuto gli undici anni il giorno ventotto. La sera del ventisette, durante la cena, il babbo annunciò:

– Cosima, domani è il tuo compleanno; purtroppo sai che non abbiamo soldi né per feste né per regali, tuttavia ti ho riservato una sorpresa che, sono certo, ti farà contenta. –

– Oh, babbo, dimmi di che cosa si tratta, – pregò assai incuriosita. – Dopotutto mancano poche ore al mio compleanno. –

– Appunto. Per questo ho atteso fino ad ora per dirtelo; per non farti stare in ansia troppo tempo. Difatti sono già tre o quattro mesi che ho pensato di farti questa specie di regalo. –

– Non essere cattivo, babbo. Sai che i miei compagni di scuola hanno sempre bellissimi regali per il loro compleanno, mentre io non ho mai niente. –

 I genitori si guardarono addolorati e la mamma strizzò l'occhio al marito che annunciò:

– Va bene, mi hai convinto. Per ora ti racconterò una storia vera che fa parte della sorpresa; domani mattina per tempo avrai il resto, che è la parte migliore. –

– Così mi piace, anche se mi accontenti solo a metà! – esclamò Cosima.

Il babbo raccontò.

– Devi sapere che, poco prima che tu nascessi, danzava in questo teatro una grandissima ballerina, un'étoile, come le chiamano, che corrisponde al grado massimo di quest'arte. Il suo nome era Irella Dian. Danzava in tutti i maggiori teatri del mondo, ma questa era la città dove era nata e dove viveva quando non era in tournée, perciò il Magnum era il teatro più vicino al suo cuore perché qui aveva studiato e si era esibita per la prima volta. Purtroppo un brutto giorno la Dian fu investita da un automobilista ubriaco che passò con il rosso. Ella guarì, ma non potè più danzare. Aveva da poco compiuto trent'anni. La danza era stata la sua ragione di vita, quindi puoi ben immaginare la sua disperazione. Vendette l'appartamento che aveva qui in città per stabilirsi all'estero, dove non so, e di lei non ho più udito parlare. Prima di andarsene per sempre fece un dono in denaro al Magnum a patto che, nell'ufficio del direttore, venissero esposti in una teca il suo primo tutù e le sue prime scarpette. –

– Ma io quella roba non l'ho mai vista, – saltò su a dire Cosima in tono di rimprovero.

– Esatto. Ho la chiave dell'ufficio, ma tu capisci che è una grossa responsabilità per me. Per questo ti ho mostrato tutto il teatro meno quella stanza; ma ora che ti reputo sufficientemente matura lo farò domani mattina per tempo, come ti ho già detto. –

– Grazie, babbo, non potevi farmi regalo migliore. Sei contenta anche tu, mamma? –

– Lo sai benissimo, cara, che la mia gioia più grande è di vederti soddisfatta. –

– Allora siamo intesi: se domani mattina dormissi ancora, svegliatemi, mi raccomando, anche alle quattro, anche alle tre se è necessario. –

Finalmente il mattino dopo, assai presto, Cosima, con il cuore in gola, potè entrare, assieme al babbo, nell'ufficio del direttore. La bambina vide subito, appesa alla parete di fronte alla porta, la teca con il tutù e le scarpette di cui aveva parlato il babbo. Trattenendo il fiato si avvicinò in punta di piedi a quei preziosi cimeli. Quando fu a pochi centimetri di distanza essi le apparvero vibranti di vita, di musica. Poi si accorse che sul fondo della teca era fissato un catoncino bianco sul quale potè leggere, scritto in una grafia un po' contorta: Irella Dian lascia a questo Teatro parte della sua vita. Non dimenticatemi, per favore.

– Santo cielo, che disgrazia, – mormorò la bambina sentendo una grande pena stringerle il cuore.

Intanto il babbo, dalla soglia della porta, la sollecitava ad uscire.

– Allora, sei contenta? – le chiese dopo aver chiuso la porta a chiave con un grande senso di sollievo.

Cosima rispose con un'altra domanda:

– Tu, l'hai conosciuta la Dian? –

– Certamente. Non in modo profondo, si capisce; ma la vedevo spesso. Assistetti anche ad un paio di suoi spettacoli infilandomi nel loggione. Se ricordo bene uno era Giselle e l'altro era Coppelia. –

– Com'era? La Dian, intendo. –

– Non si può dire che fosse bella né che fosse alla mano; ma aveva un corpo perfetto per essere un'étoile, come poi è stata, oltre a possedere talento e passione, si capisce. –

– Che cosa vuol dire? –

– Schiena dritta, senza la benché minima imperfezione alla spina dorsale, collo del piede molto accentuato, bacino fatto in un certo modo… Be', io non sono un esperto e più di così non ti saprei dire. Mi dispiace sapendo quanto sono importanti per te queste cose. –

– Mi sarebbe piaciuto tanto conoscerla e vederla danzare, – sospirò la bambina trasognata.

E l'argomento fu chiuso, ma non per lei. Oramai la visione di quel tutù e di quelle scarpette chiuse nella teca non le lasciarono più pace. Avrebbe desiderato tanto rivederli, ma non osava chiedere al babbo di riportarla nell'ufficio. Purtroppo il desiderio diventava sempre più acuto ogni giorno che passava, così che ella decise di commettere un'azione molto scorretta; una scorrettezza di cui non avrebbe mai creduto di essere capace.

Naturalmente conosceva il posto dove il babbo teneva le chiavi che riguardavano il teatro; così una notte, silenziosa come un gatto, le prese e si recò all'ufficio del direttore. Conosceva talmente bene l'edificio che poteva muoversi anche al buio senza smarrirsi.

Ogni chiave era munita di un cartellino che la distingueva dalle altre; ma Cosima, dovendo fare tutto al buio, non aveva potuto cercare quella giusta; inoltre si accorse che al momento di aprire la porta dell'ufficio le mani le tremavano e per questo trafficò piuttosto a lungo prima di poter riuscire ad entrare. Quando alla fine ci riuscì entrò velocemente, richiuse adagio per non far rumore, accese la luce sicura che nessuno avrebbe potuto vedere poiché le ante intere dell'unica finestra erano ben chiuse, alla fine si portò davanti alla teca per contemplarla estatica.

Tutù, scarpette, cartoncino scritto di pugno da Irella… Irella…

Tutto si anima nella mente di Cosima. Irella ora danza leggera come un soffio, si eleva dal suolo, vi ritorna, il tutto in un movimento di braccia e di gambe che non hanno più nulla di materiale. È come che il corpo della danzatrice sia solo un involucro che contiene ed esprime armonia di movimento e musica.

Oh, Irella! mormora la bambina fissando lo sportello della teca… che si sta muovendo. Cosima scuote la testa e si frega gli occhi un poco spaventata.

– Irella, sei tu? – La domanda le esce da sola su un filo di voce.

– No, io sono lo Spirito della Danza che può entrare nel corpo di pochi eletti, ma in cambio chiedo tutto. –

Mentre la voce dal tono non proprio dolce, parla, tutù e scarpette escono dalla teca per andare a posarsi ai piedi della bambina che ormai, tutta presa dalla straordinaria avventura, non prova più alcun timore.

– E ora ascolta, – prosegue lo Spirito. – Indossa questi indumenti. So che hai un talento eccezionale per la danza, ma so anche che non siamo nelle condizioni di spendere troppo tempo per impartirti le lezioni necessarie. Ti darò solo gli elementi fondamentali, quindi. Può darsi che in futuro ti si presenti l'occasione di compiere studi più approfonditi; di completare ciò che adesso iniziamo. Non si può mai sapere. Hai capito bene? –

– Sì, certamente. –

– E allora fai quanto ti ho detto. –

Cosima ubbidisce come un automa e subito si sente leggerissima.

Lo Spirito riprende:

– Immagino tu sappia che esiste una tecnica complicata che regola la danza; e quella si impara con ore e ore e ore di faticoso esercizio. Per questa prima volta ti spiegherò la posizione corretta, le cinque posizioni delle braccia e le cinque posizioni dei piedi. Se starai molto attenta potrai imprimertele bene in testa ed esercitarti poi da sola. Purtroppo qui non possiamo disporre di una sbarra, ma se ti impegni, potrai trovarne il surrogato. Ecco dunque la posizione corretta: la colonna vertebrale non deve avere nessuna inclinazione né inarcamento. Prova. –

Cosima si mette in posizione e lo Spirito interviene:

– No, la testa non deve essere troppo inclinata all'indietro. Ecco, così, brava.

Dopo un paio di correzioni l'allieva è perfettamente in grado di mantenere il corpo in posizione corretta, tanto che lo Spirito può passare a spiegare e a controllare la posizione delle mani e quella dei piedi.

La ragazzina esegue, si corregge senza troppo sforzo seguendo i consigli di quello straordinario insegnante. Alla fine quest'ultimo dichiara:

– Per stavolta è più che sufficiente. Se ti eserciti a casa e troverò dei buoni risultati la volta prossima passeremo a qualcosa di molto più impegnativo. Rimetti a posto tutù e scarpette e vieni quando vuoi; mi troverai sempre qua. –

Cosima, presa da una specie di intontimento, ubbidisce, ringrazia, saluta. Infine, tornando lucida come sempre, spense la luce, chiuse diligentemente la porta senza fatica, avendo preparato, prima di spegnere, la chiave giusta e tornò a casa, si può dire, a passo di danza.

I suoi genitori non s'accorsero di nulla; infatti la bambina aveva la fortuna di poter usufruire di un piccolo vano, poco più grande di uno sgabuzzino, che era stato adibito a sua camera da letto, il quale aveva anche un'entrata indipendente dalle due stanze con servizi che costituivano l'intero appartamento della famigliola. Inoltre era abitudine dei suoi genitori di disturbarla solo in casi importanti quando ella vi si chiudeva. Per questo Cosima aveva già deciso che lì poteva fare tranquillamente i suoi esercizi usando le verghe del suo letto di ferro come sbarra.

Togliendosi il cappotto che s'era infilata sul pigiama per andare all'ufficio del direttore, guardò la sveglietta a numeri fosforescenti posata su una seggiola accanto al letto. Incredibile: da quando era uscita era trascorsa appena un'ora e mezza.

S'infilò sotto le coperte pensando che non avrebbe potuto dormire, elettrizzata com'era. Questo la preoccupava perché all'indomani avrebbe dovuto andare a scuola, fare i compiti, aiutare la mamma; insomma, comportarsi come nulla fosse accaduto.

Invece si addormentò di colpo e al mattino seguente si alzò alla solita ora, un poco assonnata come ogni mattina ma per nulla stanca. Bene, pensò, se continuo così riuscirò a mantenere il mio segreto, anche se mi rimorde un poco la coscienza nei confronti di mamma e papà.

Cosima andò avanti così per sei mesi. Ogni notte passava due orette nell'ufficio del direttore, mentre durante il giorno, appena possibile, si chiudeva nel suo stanzino per esercitarsi nei nuovi elementi appresi.

Per poter fare questo però evitava spesso di aiutare la mamma, inventando sempre nuove scuse; inoltre eseguiva tanto male i compiti di scuola e studiava così poco le lezioni che il suo profitto ebbe un calo pauroso.

Naturalmente i genitori se ne preoccuparono. D'altra parte vedendola felice come non era mai stata e constatando che mangiava sempre di gran lena senza accusare mai il più piccolo malessere, si convinsero che la loro figliola stava soltanto attraversando un periodo un po' strano e che ben presto sarebbe tornata ad essere la saggia bambina di sempre.

Quello che non potevano sapere e che non potevano neanche immaginare era che i suoi progressi nella danza avevano dell'incredibile.

Ogni notte lo Spirito la esaminava su quello che le aveva insegnato la volta precedente passando a qualcosa di nuovo, sempre più impegnativo. Si arrivò così al "galoppo", al "salto del cavallo", alla "piroetta".

 A questo punto lo Spirito spiegò a quell'allieva straordinaria:

– Non ti ho ancora detto che io uso il nome delle varie figure tradotti in italiano, ma essi sono sempre scritti e pronunciati in francese. Questo per tua informazione. Ecco, – proseguì – ora abbiamo superato il cosiddetto grado primario, perciò affronteremo il grado secondario. –

Così, di grado in grado, arrivarono al quarto. Naturalmente con molte imperfezioni tecniche; ma il talento e la passione di Cosima erano talmente eccezionali che lo Spirito era tentato di continuare. Tuttavia, per il suo bene, sarebbe stato giusto che, a questo punto, ella frequentasse una vera scuola attrezzata; perciò le tenne un discorso molto serio:

– Per me è un dolore dirti addio, ma per il tuo bene è arrivato il momento di lasciarci, per il semplice fatto che se, un domani, tu dovessi continuare su questa strada, non vorrei che certe imperfezioni si radicassero in te e tu dovessi poi perdere molto tempo per rimediarvi: ammesso che riuscissi a farlo. Addio, piccola, ti auguro ogni bene. –

Cosima, con il cuore in subbuglio e le lacrime che le offuscavano la vista, rimise tutù e scarpette nella teca, però né spense la luce né chiuse la porta dell'ufficio, correndo a casa senza preoccuparsi di non far rumore.

Una volta in camera sua si gettò sul letto e scoppiò in un pianto disperato. Naturalmente i genitori si svegliarono e accorsero spaventatissimi.

Ci volle del bello e del buono ma alla fine riuscirono a far parlare la bambina la quale raccontò ogni cosa.

Il loro sbalordimento, la loro incredulità furono enormi e, pur volendo contenersi per non addolorare maggiormente Cosima, essi trapelarono dai loro sguardi sì che la figliola se n'avvide. Indispettita, saltò dal letto decisa a dare loro una dimostrazione di quanto sapeva fare.

– Ed ora state a guardare, – ordinò – tenendo conto che non ho le scarpette, le quali sono molto importanti. –

In quattro e quattr'otto eseguì un paio di battement, un'arabesque e una piroetta, poi fece l'inchino proprio delle danzatrici, alla fine, sempre imbronciata, chiese:

– Come vi sembra? –

– Sacripanti! – esclamò il babbo incapace di aggiungere altro.

– Signoriddio, – mormorò la mamma congiungendo le mani presa da grande emozione nonché da notevole timore al quale nemmeno lei avrebbe saputo che nome dare.

Cosima interruppe quello stato di sbalordimento: le era venuta un'idea improvvisa che le parve meravigliosa, risolutiva:

– Babbo, – esclamò – tu conoscerai senz'altro qualcuno del ramo che si presti ad esaminarmi. Sono sicura di sì. Potresti parlargliene. –

Il povero uomo, preso alla sprovvista, cercò di tergiversare:

– Be', sai, non… –

– Che cosa non? – Cosima non lo lasciò nemmeno finire inchiodandogli gli occhi in faccia come volesse fulminarlo. I due coniugi si guardarono sbalorditi; ma era veramente la loro brava figliola, quella? sembravano chiedersi a vicenda.

– Sta' calma, vivaddio. – Il babbo stava cercando altre scappatoie, ma decise che era meglio impegnarsi con una mezza promessa. – Forse c'è il coreografo Bilroit che s'è ritirato da tempo ormai, ma di tanto in tanto, qui al Magnum, lo chiamano per richiedere un suo parere. Potrei tentare di contattarlo. Lo ricordo come una persona disponibile; ma in fin dei conti chi siamo noi? Nessuno, figlia mia. Questo non scordartelo mai. Inoltre, sei pronta anche ad ascoltare un giudizio negativo? –

Cosima non aveva pensato a questa possibilità e rimase in silenzio per qualche secondo a rigirarsi dentro la domanda crudele e a cercare di capire che cosa veramente pensava al riguardo. Alla fine mormorò ingoiando le lacrime:

– Va bene, ti prometto che sarò coraggiosa… Certo che senza scarpette non potrò rendere molto, – aggiunse a mezza voce come una giustificazione anticipata.

– Questo è vero, – ammisero in coro i genitori.

– Ma ora è meglio che tu dorma, – aggiunse il babbo sempre attento alle cose pratiche, – altrimenti non vedo come farai domani a rimanere sveglia durante le ore di scuola. Io andrò a chiudere la porta dell'ufficio e a spegnere la luce. Ti rendi conto, vero, del rischio che mi hai fatto correre? –

– Certo che se ne rende conto, – saltò su la mamma, – ma non è successo niente, no? – E diede un'occhiataccia al marito.

– Va bene, va bene, non parliamone più. – Ma in cuor suo imprecava contro la stramaledetta idea che aveva avuto di mostrare la teca a quella pazzerella.

Dopo di che, babbo e mamma le rimboccarono le coperte, le diedero il bacio della buona notte e uscirono spegnendo la luce.

Cosima si girò un paio di volte, ora su un fianco ora sull'altro e, nonostante il dolore di quel sogno che sembrava quasi avverato, mentre, con ogni probabilità, stava naufragando per sempre, si addormentò.

I genitori invece non riuscirono a chiudere occhio. Tra silenzi più o meno lunghi borbottavano commenti, buttavano là ipotesi, sospiravano senza sapere raccapezzarsi in una situazione tanto fuori dall'ordinario.

Ad un tratto la moglie dichiarò:

– Cosima ha ragione; senza scarpette è quasi impossibile fare bella figura. Io avrei un'idea. Te la ricordi, vero, la portinaia del ventinove? Quella… –

– Certo che la ricordo: tenne con sé qualche volta Cosima quando tu dovevi ricoverarti in ospedale. –

– Sì, proprio lei, la signora Carolina, gran buona donna. Ecco, la sua figliola, che è di quattro o cinque anni maggiore della nostra, frequentò dei corsi di danza. Aveva le scarpette e magari se le è tenute, così, per ricordo, anche se smise di frequentare. Se è così sono sicura che ce le presterebbe. Dovrebbero andare bene a Cosima come lunghezza. Che ne pensi? –

– Mi sembra un'ottima idea; però non dire nulla alla bambina altrimenti arrischia di illudersi per niente. –

– Bene, domani telefono alla signora Carolina. Speriamo, signoriddio! Guarda un po' che cosa ci deve capitare. –

Senza più una parola i due si girarono su di un fianco voltandosi la schiena, ma entrambi rimasero svegli.

Le scarpette furono trovate e il vecchio coreografo acconsentì ad esaminare la ragazzina di lì a tre giorni. Oh, se potesse avere anche il tutù, pensava la mamma… Ma certo, l'abitino azzurro di organza che aveva deciso di non farle più indossare perché troppo corto. Come no!, corpetto attillato e gonna arricciata, vaporosa; poi le avrebbe legato i capelli a coda di cavallo con il nastro che già aveva dello stesso colore dell'abito. Una meraviglia sarebbe stata. E già la vedeva sul palcoscenico del Magnum sommersa dagli applausi.

Il mattino seguente la donna mise mano all'abitino. Dopo averlo stirato con ogni cura lo tenne steso davanti a sé prendendolo per le spalle. Purtroppo, dovette ammettere delusa, si era aspettata di meglio. Comunque si consolò dicendosi che era sempre più adatto che non i jeans, anche se assomigliava piuttosto pochino ad un tutù.

Tre giorni, aveva detto il coreografo: per la famiglia furono i tre giorni più lunghi che ricordasse d'aver trascorso. Alla fine giunse l'ora sospirata. Cosima uscì con il babbo, mentre la mamma stette sul marciapiede a seguirli con gli occhi fino a che svoltarono al primo angolo della via.

Il signor Bilroit li accolse con gentilezza, ma ovviamente, senza quel calore che la bambina s'era aspettata. Questo, unito alla figura dell'uomo alto, magro, dai lineamenti aguzzi, con gli occhiali dalla pesante montatura nera, sbilanciò molto la poveretta che vinse a malapena l'impulso di fuggire.

Il coreografo li fece accomodare in una grande sala dalle pareti ricoperte di scaffali colmi di libri dall'aspetto severo. Il centro del locale era occupato da un nudo pianoforte a coda. Cosima, naturalmente, aveva già visto questi strumenti, ma lì, in quella speciale circostanza, le parve un mostro pronto a divorarla. La testa incominciò a girarle e dovette aggrapparsi al braccio del babbo per non cadere.

Nel frattempo la voce del padrone di casa le giunse come se le parlasse da chissà quale lontananza.

– Ecco, purtroppo non ho molto tempo a disposizione, ma ho accumulato tanta di quella esperienza che me ne basta assai poco per poter formulare un giudizio. Ed ora, piccola, il babbo ed io ci sediamo qui e tu mi fai vedere quello che sai fare. Ti do piena libertà di scelta. –

Cosima si riprese come per incanto; chiese il permesso di calzare le scarpette che aveva portato in un sacchetto di carta e subito si lanciò nei passi che sapeva le riuscivano meglio.

Oramai lei è senza peso e intorno esiste soltanto un grande spazio vuoto, pieno solo di profumo e di note armoniose che la prendono per mano, sollevandola da terra per accompagnarla in movimenti traboccanti grazia e per riportarla poi al suolo come fosse il petalo d'un fiore esotico…

– Basta così, piccola. –

L'incanto si ruppe di colpo e l'impatto con la realtà fu per la danzatrice assai sgradevole.

Ritta ora guardava quell'uomo il cui aspetto le sembrava ancora più scostante, addirittura ostile.

Bilroit intanto la fissava con i suoi piccoli occhi protetti dalle lenti che, per un gioco di luce, parevano due capocchie di spillo arroventate. La bambina abbassò lo sguardo sperando che suo padre le venisse in aiuto in qualche modo; ma anche lui se ne stava in silenzio con le mani strette tra le ginocchia e le mascelle serrate.

Finalmente l'uomo parlò:

– Non si può negare che questa ragazzina… A proposito, come ti chiami? –

– Cosima, signore, – risposero padre e figlia all'unisono con un filo di voce.

– Cosima, bel nome, – borbottò il coreografo. – Non si può negare, dicevo, che Cosima abbia un talento eccezionale, oltre che un corpo adatto alla danza. Da chi hai preso lezione? –

La domanda non era stata prevista, purtroppo e la bambina balbettò:

– Be', sa… –

Mentre il padre, dal canto suo, mormorava:

– Ma… è… –

Fortunatamente l'esaminatore dimenticò subito d'averla formulata e riprese:

– È chiaro che sei solo agli inizi, ma un buon giorno si vede dal mattino, come si suol dire. Avrei una proposta da fare, ma potrò essere più preciso fra un paio di giorni. Un mio amico sta allestendo Il lago dei cigni al Magnum; anzi, lo saprà senz'altro, no? – chiese guardando il custode senza attendere risposta nemmeno stavolta. – Purtroppo, uno dei "cigni" è a letto con la polmonite e il mio amico si trova in difficoltà. Potrei parlargliene. Cosima è molto giovane: a proposito, quanti anni hai? –

– Undici e mezzo, signore. –

– Sei proprio una bambina, ma sei molto alta per la tua età. Credo che il mio amico ti accetterà come "cigno"; però durante i quindici giorni che mancano alla "prima" dovrai mettercela tutta per imparare i passi. Ti va? Sempre che il mio amico accetti, s'intende. –

– Oh, sì, sì, certo, signore. Prometto che chiederò il permesso alla direttrice della mia scuola e mi darò tutta alla danza durante questo tempo. –

Il babbo non era chissà che entusiasta della proposta. Troppi intralci si frapponevano fra la sua posizione sociale ed economica e quella pista ghiacciata, come la definiva lui. La figlia gliel'aveva letto in faccia, per questo s'era affrettata a dare conferma con tanto calore, dopo di che lui non avrebbe più avuto il coraggio di contraddirla, anche per non fare brutta figura con il coreografo.

Belroit li congedò ed essi ringraziarono ed uscirono.

Appena in strada Cosima disse al padre:

– Non dire nulla, per favore, tanto non possiamo ancora sapere come finirà la cosa, ti pare? –

– Certo; secondo me è meglio che non ti faccia illusioni. –

Lungo tutto il tragitto la bambina non vide altro che "cigni", tutù, teatro illuminato e pieno zeppo di spettatori.

Dopo due giorni, gentile e puntuale, il signor Belroit telefonò per dire che il suo amico accettava Cosima. Non c'era nemmeno bisogno che la vedesse: si fidava ciecamente del suo giudizio. L'importante era che garantisse un'assoluta puntuale presenza durante i quindici giorni che mancavano all'andata in scena.

Cosima fu sempre puntualissima e assai diligente e, alla fine, arrivò la sera tanto sospirata. Genitori e figlia non riuscivano a capire se erano nervosi, esaltati, illusi, ansiosi… Erano tutto questo, soltanto che ciascuno di tali sentimenti arrivava da solo, scacciando il precedente e scacciando il successivo, in un carosello insostenibile.

– Credo che sia ora che m'incammini, – annunciò Cosima dopo aver guardato la grossa sveglia, la quale non era mai stata consultata a ritmo tanto serrato come in quelle ultime ore.

– D'accordo. Vuoi che il babbo t'accompagni? –

– Ma no. Mi vedrete dal loggione, come stabilito. –

E corse fuori dalla cucina per infilare il lungo corridoio, che a metà svoltava ad angolo retto proseguendo fino ad una scala buia e stretta, salendo la quale si accedeva ai camerini.

Ad un tratto, qualcuno o qualcosa la urtò violentemente gettandola a terra. Fece per rialzarsi in fretta ma s'accorse di non poter muovere la gamba destra. Subito il viso sconosciuto di un giovane in tuta le fu sopra sollecito.

– Dio mio, ti sei fatta male? – andava chiedendo spaventato. – Aspetta, ti aiuto ad alzarti. –

– Non ce la faccio, non ce la faccio! – gridò Cosima al colmo della disperazione. – Accidenti a te, non puoi guardare dove metti i piedi? –

– Scusami, ti prego, scusami. È che il capotecnico delle luci mi ha chiamato da sopra le scale, ed io ho girato la testa per sentire che cosa doveva dirmi, ma senza fermarmi. Sai quale confusione c'è quando deve iniziare uno spettacolo. Stasera poi è una "prima", figuriamoci! Un inferno da uscirne matti. –

Mentre l'autolettiga portava Cosima all'ospedale, nel cervello della poverina, che quasi non sentiva il dolore della gamba fratturata, per la disperazione, ronzava una sola frase: Guarì ma non potè più danzare.

Tratto da Dall'altra parte (favole e fiabe forse solo per adulti) (Torino, 2003), di Celeste Chiappani Loda