Fotografa con Polaroid al seguito

Un'opera tratta da D'azzurro.

© Foto Cinzia Battagliola.

È Cinzia Battagliola che, grazie al mezzo che ha scelto, la Polaroid, viaggia in senso opposto alla velocità che il nostro vivere ci impone, elogiando così la lentezza.

Non usa la fotografia per la sua capacità documentaria, non fa reportage.

Anzi, sì: documenta. Documenta attimi di dialogo fra il sé e il sé, fra il sé e le cose, fra gli oggetti e il vuoto; oggetti che - perciò - scorporano se stessi fino a divenire Diradamento.

Nel contempo coreografa del sussurro fra contesti d'anime e testimone stupita, Battagliola basa i suoi progetti sulla poetica dell'imperfezione. Perché l'errore non è tale: è opportunità di soluzione artistica. L'indefinito, dunque, la sovrapposizione, la lacerazione casuale della pellicola sono al pari occorrenze e bisogni, cui Battagliola va in soccorso semplicemente assecondandoli e lasciando che la Cosa avvenga.

La fotografa bresciana raccorda le sue pellicole in temi e ne fa libretti a tiratura limitata cuciti a mano. Come D'azzurro, qui sul mio tavolo, che porge autoritratti, in cui volti, mani, capelli qua e là colloquiano con una rarefatta vegetazione per ricordarci quanto l'incerto, l'indeliberato, il casuale siano la via maestra per raggiungere la poesia. E così, nel labirinto di gesti accennati e di silenzi, di meraviglia e d'assopimento, Battagliola fa di se stessa il tramite per un affrettarsi lentamente che induca a trovare spazi di sempre rinnovati privilegi.


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