Un balletto-concerto dove la danza e la musica sfumano parole: Lettere d'amore
Un
balletto-concerto. 1
Lo
spettacolo. 1
Prima
parte. 1
Seconda
parte. 1
La sera del 18 febbraio 2010, è andata in scena al Teatro Comunale
Città di Vicenza la prima nazionale di Lettere d'amore, una coproduzione della Compagnia di danza European
Thersicore Company – Balletto di Vicenza e del
Conservatorio di musica di Vicenza "Arrigo Pedrollo".
Un balletto-concerto, insomma, dove l'Ensemble cameristico del Conservatorio e la European Thersicore
Company si sono esibiti fianco a fianco in palcoscenico.
Il pomeriggio del 19 sono stata ospite,
presso la sede della Compagnia vicentina, della direttrice artistica e
coreografa Monique Pepi, che mi ha accolto assieme al
presidente Giacomo Contrafatto e alla prima ballerina ‑
protagonista femminile di Lettere d'amore
– Yuki Imaizumi.
Abbiamo parlato dello spettacolo, naturalmente, ma la
conversazione ha poi toccato svariati temi: dall'interazione dei linguaggi
artistici (soggetto, questo, attualmente al centro
della mia attenzione intellettuale e creativa), ai diversi modi di concepire il
lavoro coreografico, alle qualità fisiche e caratteriali dei differenti
danzatori.
Lettere d'amore è diviso in due parti: la scelta musicale per la prima parte
si è rivolta al Quartetto in mi bemolle
maggiore op. 47 di Robert Schumann, mentre la seconda ha visto susseguirsi l'Intermezzo dal Quintetto per pianoforte e archi di Dmitrij
ostakovič, Crisantemi di Giacomo Puccini, Sonatina
da Actus tragicus BWV 106 di Györghy Kurtag-J. S. Bach, Lied dal Trio op. 11 di Fanny Mendelssohn, Es sang vor langen Jahren di Arvo Pärt ed
Elegia in do minore op. 24 di Gabriel
Fauré.
Sono le sensazioni nate dalle parole dette e non dette e dai
ricordi, che costituiscono il filo rosso dello spettacolo.
Si parte da un ricordo, uno qualsiasi che, improvviso
incipit, induce a cercare altro: un ricordo che evoca vissuti, richiama
emozioni, frammenta il pensiero. E il pensiero si fa in cerca delle parole ascoltate
e di quelle sottaciute; l'udito va alla questua delle parole mai pronunciate,
come amori non vissuti e persi o ancora tutti da vivere; il gesto decodifica
metafore scostando la penombra.
Il pensiero, si sa, corre veloce, ma basta un frammento
ricco d'inaspettato perché si fermi in ascolto. È seguendo questo modo d'essere
che i ballerini entrano in scena, vivono il loro assolo oppure interagiscono
fondando l'emozione ed escono da una quinta ‑ ora via di fuga, ora
interiorità accomodante come alveo o inquieta come terra smossa. E rientrano ed
escono e si soffermano e fuggono e si sfiorano.
I ballerini ‑ in questo sollevare veli e parole,
lettere e pensieri, in questo lasciarsi vergare dalle trame frammentate
dell'emozione ‑ sono forieri di una certezza:
tutto ciò che stanno portando sulla scena ha il senso della proroga e del
respiro, perché prorogare e respirare sono certezza di vita. Nello spettacolo
ciò è simboleggiato dai costumi blu: colore della profondità, della solidità,
dell'affermare.
Gli elementi che l'inconscio ha portato in superficie, adesso
hanno perso il sapore della frammentazione e della ricerca. Ora
tutto appare ordinato, come un risultato finalmente raggiunto.
Non più costumi blu, ma chiari; e
non di un bianco abbacinante, ma color panna, con venature d'oro, per dire
quanto sia prezioso il raccolto che la memoria ha permesso di mietere.
La seconda parte del balletto-concerto si adagia nella conca
d'una scelta musicale coesiva, con una pastosità e un lirismo che ‑ grazie
soprattutto all'interpretazione di Yuki Imaizumi ‑ sfumano nella
nostalgia, si tingono del ricordo d'una felicità, lasciano spazio ad un sorriso
melanconico e velato. E si conclude con una figura
femminile protesa obliquamente in una piccola attitude,
che indica come ognuno, in elegiaco equilibrio tra il detto e il non detto, possa
continuare a ricercare nello spazio dei vissuti.