Una Turandot diversa ma
affascinante
Uno
spettacolo da ricordare. 1
I cast 1
L'apparizione della luna.
Foto Studio Camera Palermo
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Uno spettacolo da
ricordare, questa Turandot andata in
scena il 28 febbraio 2006 al Teatro Massimo di Palermo… da ricordare perché, a
differenza di tante altre Turandot
viste, questa è tutta basata sull’autentica tradizione culturale cinese e segue
filologicamente lo stile del gesto e del cerimoniale tipici dell’opera
tradizionale di quel Paese. Ne esce fuori uno spettacolo sfavillante e ricco di
meraviglia che ha la godibilità un kolossal piuttosto che di un’opera
lirica.
Già presentata con
grande successo nel 1997 al Maggio Musicale Fiorentino, è proprio bella per gli
occhi la Turandot del regista cinese
Zhang Yimou, autore del celebre film Lanterne rosse. Non bisogna cercare
in quest’edizione di ritrovare qualcosa che somigli anche vagamente al
sentimento, alla passione, alla nostalgia, alla dolcezza che, nel ricordo di
tante edizioni, ci ha ispirato l’ultima opera di Giacomo Puccini, tratta dalla
fiaba settecentesca di Carlo Gozzi e da sempre ambientata in una Cina fiabesca
e senza tempo. Qui la fiaba diventa rito e ogni tassello della storia che si
dipana segue una simbologia definita e rigorosa, raccontata con amore dal cuore
cinese del suo regista: una Cina, dunque, con i suoi forti contrasti a volte
magica e delicata ma anche variopinta, luminosa, sfarzosa. In questo modo Zhang
Yimou riesce a coinvolgere il pubblico che si trova improvvisamente catapultato
in una civiltà così lontana ed è tale la meraviglia e la novità della visione
che ne rimane affascinato.
Georgina Lukas
nel ruolo di Turandot.
Foto Studio
Camera Palermo
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Dietro un grande
paravento di lacca che fa da sipario, il popolo assiste, senza poter influire
sugli accadimenti, al rituale magico che porterà il principe tartaro Calaf a
sciogliere il cuore di ghiaccio di Turandot, figlia dell’imperatore della Cina.
Ed ha così inizio questo spettacolo coinvolgente e ricco di momenti
straordinari: dall’invocazione alla luna dolcemente introdotta dalle ballerine
tutte in bianco, al rituale del boia o della tortura raccontato dal libro con
ideogrammi sfogliato dai dignitari di corte, all’arrivo in portantina dei tre
ministri, all’apparizione di Turandot circondata dalle braccia delle ancelle
che la trasformano in una sorta di dea Kalì, alle donne con gli ombrellini che
esaltano in controluce il ricordo nostalgico e il desiderio del ritorno alla
normalità di Ping, Pong, Pang, alle soffuse lanterne notturne della notte
insonne, al poetico e struggente rituale che accompagna la morte di Liù quando
il popolo omaggia la giovane sacrificatasi per amore deponendo intorno al suo
corpo i ventagli fino allo sfarzo luminoso, in un tripudio di colori accesi e
brillanti come pietre preziose, che rievoca tutta la magnificenza della corte
del Figlio del Cielo. È comunque la danza, che accompagna tutto il rito
dell’opera con belle coreografie di Chen Weja riprese da Chen Shen, spiccando
nella descrizione della fiaba con delizia di perfezione e di aggraziate e
flessuose movenze del Jilin City Song and Dance Ensemble e arricchita dalla
professionale presenza del Corpo di Ballo del Teatro Massimo. Stupefacenti e
coloratissimi i costumi di Wan Jing e belle le scene di Huang Haiwei, Gao
Guangian e Zeng Li, esaltate in particolar modo nella scena del trionfo in un
quadro grandioso e luminoso. Il sapiente e coinvolgente lavoro dedicato alle
luci da Bruno Ciulli e l’amorevole e perfetta ripresa della regia di Yimou da
parte di Alberto Cavallotti hanno infine reso splendida questa edizione.
Georgina Lukas (Turandot) e Francesco Hong
(Calaf).
Foto Studio Camera Palermo
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Se vogliamo trovare
un difetto in questa operazione di ricostruzione tipicamente cinese per
un’opera che da sempre ha affascinato il pubblico, la sensazione finale è che
forse ci ha più conquistato la parte visiva rispetto alla bellezza della
partitura tanto che la musica non è sembrata emergere quale protagonista
assoluta come dovrebbe invece avvenire in un’opera lirica. C’è da dire in ogni
caso che l’Orchestra del Massimo, guidata con grande maestria e tensione da
Nello Santi, ed il Coro, diretto da Paolo Vero, hanno partecipato al successo
di quest’edizione dimostrando ancora una volta il loro valore e che il Calaf di
Francesco Hong, tenore dai bei mezzi vocali e dalla chiara dizione, è risultato
il protagonista assoluto dell’opera insieme con la simpatica e apprezzabile
interpretazione delle maschere di Marco Camastra, Iorio Zennaro e Gianluca
Floris. Gli altri interpreti erano Georgina Lukas (Turandot), Adriana Marfisi
(Liù), Bonaldo Giaiotti (Timur), Antonio Conte (Altoum), Paolo Orecchia (Il
Mandarino).
Teatro Massimo, 28 febbraio, 1, 2, 4, 5, 7, 8, 11, 12, 14
marzo 2006
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri
Libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni da Carlo Gozzi
Musica di Giacomo Puccini
(L’ultimo duetto e il finale dell’opera sono stati
completati da Franco Alfano)
Orchestra, coro, coro di voci bianche e corpo di ballo della
Fondazione Teatro Massimo
Con la partecipazione del Jilin City Song and Dance Ensemble
Scena finale.
Foto Studio Camera Palermo
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Allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Turandot
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Georgina Lukas
(28 febbraio, 2, 5, 8, 11 marzo)
Giovanna Casolla
(1, 4, 7, 12, 14 marzo)
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Calaf
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Francesco Hong
(28 febbraio, 2, 5, 8, 12 marzo)
Badri Maisuradze
(4, 14 marzo)
Ignacio Encinas
(1, 7, 11 marzo)
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Timur
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Bonaldo Giaiotti
(28 febbraio, 2, 5, 8, 12 marzo)
Francesco
Palmieri (1, 4, 7, 11, 14 marzo)
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Liù
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Adriana Marfisi
(28 febbraio, 2, 5, 8, 12 marzo)
Annalisa
Raspagliosi (1, 4, 7, 11, 14 marzo)
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Altoum
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Antonio Conte
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Ping
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Marco Camastra
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Pang
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Gianluca Floris
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Pong
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Iorio Zennaro
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Un Mandarino
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Paolo Orecchia
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Il Principe di Persia
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Antonio Li Vigni
Pietro Luppina
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Direttore
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Nello Santi
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Regia
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Zhang Yimou
ripresa da Alberto Cavallotti
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Scene
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Huang Haiwei, Gao
Guangian, Zeng Li
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Costumi
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Wang Ying
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Coreografia
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Chen Weyia
ripresa da Chen Shen
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Maestro del Coro
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Paolo Vero
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Luci
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Bruno Ciulli
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