Intervista a Maria Vittoria Morokovski, traduttrice

Partiamo dalla Sua geografia. Lei è nativa di Roma, la sua origine è russa. Mi può parlare di quelle Sue origini e del Suo rapporto con la Russia? In quale percentuale si sente italiana e in quale russa?

Il mio bisnonno, generale in pensione, fu fucilato nel suo cortile, con tutti i figli maschi durante le rivoluzione del 1917, la bisnonna e le sue tre figlie, una medico, un’altra laureata in lettere, entrambe crocerossine durante la prima guerra mondiale, e la terza liceale, furono risparmiate dalla deportazione; mi raccontarono che fu grazie al miracolo di un'icona che ancora possiedo.

Dopo una fuga rocambolesca, mio nonno, marito della laureata in lettere, avvocato e giudice eletto, le trasse in salvo. Arrivarono a Parigi, lì nacque mia madre, medaglia d’oro del Conservatoire National de Paris, a soli 15 anni.

Vissero di stenti e privazioni; quando stavano per farsi una posizione, mio nonno morì a soli 40 anni, mia madre, a 16 anni, più per aiutare la famiglia che per amore, sposò un russo che sperava di poter tornare in patria, il poveretto pensava di poter essere un diplomatico, ma rientrato in Russia, non se ne ebbero più notizie e il matrimonio fu annullato.

Mamma si sposò di nuovo, con un altro russo, reduce dalle carceri comuniste, che tuttavia riuscì a farsi una buona posizione a Parigi, finché la seconda guerra non gli fece rischiare la deportazione in Germania.

Lui fuggì in sud America, mamma invece venne in Italia, divenne cantante della Scala, dove debuttò con la Carriera di un libertino di Stravinskji, divenne amica di Toscanini, Gigli e Schipa, conobbe anche il segretario del primo presidente De Nicola, l’avvocato Collamarini, che le promise di darmi la nazionalità italiana e fu mio padrino (i miei erano apolidi, cioè privi di nazionalità) perciò la mia nascita in Italia fu scelta, voluta e benedetta.

Mio padre si allontanò, ma mia madre e mia nonna mi fecero crescere insegnandomi ad amare l’Italia che doveva essere la mia Patria, e insegnandomi tutto quello che potevano sulla cultura russa, dalla lingua, alla letteratura, alla storia, alla musica, ecc.

Mamma mi trasmise anche l’amore per il francese, in casa si parlavano tre lingue abitualmente.

Così mi sento italiana, ma piango quando sento una romanza russa, mi emoziono quando un atleta russo vince alle olimpiadi e, per molto tempo, ho festeggiato due Pasque e due Natali.

La Russia l’ho visitata come turista e purtroppo non ho mai avuto amicizie russe.

Veniamo ora alla Sua attività di traduttrice: me ne vuole parlare?

Tradurre mi piace perché mi sembra bellissimo trasmettere il pensiero di qualcuno ad altri; purtroppo in Italia non è facile, c’è poco interesse… ed è un vero peccato…

Ho tradotto Puskin, per correggere un noto professore italiano che, a mio avviso, aveva stravolto il messaggio del poeta, forse per rispettare la metrica o perché non lo aveva capito bene.

Non mi reputo una traduttrice di poesie, ma certo conosco le sfumature della lingua e posso tentare di tradurre le emozioni.

In quale misura, secondo Lei, la traduzione di un classico può o deve essere libera?

La traduzione, a mio avviso, deve essere il più fedele possibile, almeno per i classici; per testi più leggeri come le fiabe per bambini, vada per la traduzione libera e ben venga l’adattamento, se le rende più moderne.

Un grande autore ha già dato il massimo, un traduttore deve solo fare da interprete e non deve permettersi troppe licenze.

Quando voglio esprimermi scrivo un romanzo mio, quando traduco riferisco il pensiero dell’autore.

È luogo comune che sia più difficile tradurre la poesia della prosa. Che cosa ha da dire in proposito?

Sicuramente è più facile tradurre la prosa, che del resto amo di più della poesia.

Questo mio prediligere la prosa è dovuto anche alla difficoltà di mandare i versi a memoria, ad un infelice incontro con Montale (che mi confessò candidamente di non sapere lui stesso cosa voleva dire in alcuni suoi versi, che mi sembravano particolarmente difficili) e con un esame universitario che mi ha rovinato la media.

Ciò non toglie che dei bei versi mi possano commuovere fino alle lacrime.

Comunque sono convinta anch’io che sia molto più difficile tradurre poesie, anche perché spesso è complicato capirle nella lingua originale, figuriamoci nelle traduzioni.

Il Suo rapporto con il cinema.

Mi chiede quale sia il mio rapporto con il cinema; purtroppo il cinema è solo un’aspirazione; tranne qualche consenso di qualche addetto ai lavori e qualche promessa, non ho conseguito ancora nessun traguardo significativo.

In che cosa si differenzia la scrittura per il cinema da quella di un romanziere?

Scrivere per il cinema darebbe la possibilità di far conoscere le tue storie e trasmettere emozioni a più gente significa far esprimere le immagini più delle parole. A differenza di un romanzo che instaura un rapporto a due tra sé e il lettore, scrivere una sceneggiatura significa essere preparati ad un lavoro di gruppo, lavorare con persone che credono nella tua storia, ma anche subire le interpretazioni del regista, degli attori ecc.

L’ideale sarebbe scrivere e dirigere la propria storia, altrimenti si rischia che sullo schermo il tuo pensiero venga stravolto, come spesso avviene per i romanzi che diventano film.

La mia strada è tutta in salita, ho ricominciato a scrivere tardi, anche se avrò il piacere di vedere pubblicato un mio romanzo scritto a vent’anni, tra pochi mesi.

Non ho ancora un editore, tanto è vero che pubblico con diversi editori, la qual cosa mi gratifica, ma non mi assicura la visibilità, che potrei avere con un solo editore che creda in quello che scrivo e investa su di me.

Avrei molto da dire sugli editori di piccolo calibro, ma questa è un’altra storia.

Lei come costruisce una storia? Parte con una trama in mente oppure la costruisce strada facendo?

Le storie che racconto, di solito, sono prese dalla realtà, quindi la trama è preesistente, io mi limito ad immedesimarmi e, mentre scrivo, divento il protagonista e immagino il suo sentire nelle varie situazioni, a contatto con personaggi reali o immaginari.

Il mio scopo è trasmettere emozioni e far riflettere.

Ritengo che un buon scrittore debba riuscire a far sì che il lettore si scavi dentro l’anima e scopra qualcosa di sé, che non conosceva prima o che conosceva già, ma non gli era evidente.

Come lettrice, devo ammettere, che pochi contemporanei riescono a toccarmi l’anima, anzi, molti mi allontanano dalla lettura per un po’ di tempo, cosa che non mi è mai accaduta dopo Shakespeare, dopo Tolstoj, dopo V. Hugo e potrei andare avanti a lungo. Mi piacciono anche alcuni americani.

In questo periodo so che sta lavorando ad un romanzo storico sulla figura di Caterina II. Quali sono le problematiche della stesura di un romanzo storico?

Le problematiche di un romanzo storico non sono molte, tranne che si deve leggere molto prima e studiare la Storia di quel periodo.

Forse non è neppure esatto definire storico il mio romanzo, infatti mi attengo scrupolosamente a ciò che riferiscono i veri storici, ma, prendendo spunto dalle memorie autografe e da quelle di chi l’ha conosciuta, leggendole sue lettere, mi sono fatta un’idea di quella donna straordinariamente moderna, che raccontava tranquillamente le sue problematiche sentimentali, affettive e sessuali,con una disinvoltura, a volte impensabile, anche in una nostra contemporanea.

Diventando io stessa Caterina, tento di spiegare quelli che, a mio parere, erano i motivi che la facevano agire in un modo piuttosto che in un altro.

Le problematiche del suo Governo non erano dissimili a quelle dell’attuale campagna elettorale: bilancio disastrato, burocrazia inefficiente, tasse ingiuste, ceti privilegiati, corruzione, concussione, maneggi per la poltrona, opere importanti da costruire o no; problemi di opinione pubblica, ecc.

Anche per la politica estera non aveva problemi dissimili dai nostri, ad esempio il rapporto con i mussulmani, le alleanze commerciali, ecc.

Qualche sua decisione sarebbe valida ancora oggi e potrebbe risolvere qualche nostro problema.

La difficoltà sta nell’immedesimarsi senza stravolgere il personaggio storico, farlo amare senza idealizzarlo troppo, ma è davvero entusiasmante, credetemi.

E poi, guarda caso, ho l’occasione di far conoscere un po’ di Russia, di quella che conosco io e che ben pochi conoscono, purtroppo per la maggior parte degli italiani, i russi o sono ex comunisti o mafiosi o poveracci in cerca di lavoro.

Pochi hanno studiato la Storia russa, troppo pochi la letteratura, quasi nessuno conosce le storie e le tragedie dei profughi del 1917 e dei loro figli, nipoti e pronipoti.

Eppure era gente colta,interessante sotto molti profili…

Quali sono gli scrittori che predilige? Se dovesse fare un ritratto dello scrittore tipo, quali tratti individuerebbe?

Credo sia chiaro che prediligo i classici e non ho idea di come debba essere uno scrittore, tranne che per una cosa: scrivere deve dargli uno scopo per vivere, ma perché ciò avvenga credo debba avere l’amore dei suoi lettori, non è vero che si scrive solo per se stessi e chi lo dice, credo menta spudoratamente.

Grazie per la pazienza e per avermi dato tanto spazio.