Passion dei Momix

Di Passion, lo spettacolo della compagnia di danza Momix, è stato scritto che si tratta del primo la­voro pensato come un’unità. Dunque la "passion" del titolo risulterebbe più che un fil rouge, rappresentando l’unità stessa.

Gli spettacoli dei Momix (e di Pilobolus, il gruppo fondatore) sono infatti costituiti da frammenti, da tessere di un mosaico mai concepito (così come frammenti ed impressioni erano quelli di Crowsnest, l’altro gruppo derivato da Pilobolus).

Occorre però dire che, purtroppo, la pro­messa d’unità non è stata mantenuta perché ai Momix, tutti ex atleti, non si confà la forma narrativa, ma l’astrazione, lo slegato.

Solo fino ad un certo punto dello spetta­colo è possibile seguirne il Leitmotiv, indi­viduare cioè le diverse passioni.

Il balletto inizia con la prima "passione" del mondo: il ciclo vegetativo.

Una sorta di sagra della primavera dell’u­manità in quella foresta primordiale in cui pulsano i ritmi del concepimento, della nascita, della crescita. La foresta è proiettata su un velo teso verticalmente, per tutta la durata dello spettacolo, sul pro­scenio: sottigliezza di velo (verginità) e nel contempo cortina protettiva (pla­centa).

I cinque danzatori stanno dietro il dia­framma, immersi nel folto della foresta. Il grigio di quest’ultima contrasta con l’a­rancione saettante dei corpi (colore sim­bolo forse troppo educato, troppo poco primordiale — cioè — per il messaggio da trasmettere). Interessante il saluto finale dei danzatori al pubblico, giocato sul sim­bolo del velo: corsa verso il velo-dia­framma per lasciare la propria immagine in corsa proiettata sul velo stesso; buio in sala; luce; uscita "allo scoperto" dei balle­rini (il velo-placenta scompare: nascita). Subito dopo questa passione primeva vengono dette le piccole passioni quoti­diane, insignificanti, scialbe.

Segue poi una passione fortemente im­prontata di sensualità‑sessualità: il co­stume rosso vivo della danzatrice, un na­stro (di quelli usati nella ginnastica rit­mica) rosso vivo.

La donna srotola quest’ultimo giocan­doci; esso passa quindi ad una figura maschile che riconsegna dopo poco il nastro fremente alla figura femminile la quale vi si avvolge.

Ma il punto culminante dello spettacolo è rappresentato dalla passione di Cristo. Esso è fuor di dubbio il brano meglio riuscito dell’intero balletto per la solennità dell’atmo­sfera; per la tensione e per l’intensità con cui Gesù costringe la propria forza fisico-morale nel dolore; per il simbolo delle due Marie incappucciate di magenta che oscillano presso il Cristo, appese a corde, sempre più rattrappendosi nella soppor­tazione passiva di un dolore: simbolo cui se ne sovrappone un altro, quello dei due ladroni.

Da un certo punto in poi, si diceva, il Leitmotiv si perde: lo spettacolo principia a snodarsi su frammenti giustapposti che nulla o quasi hanno a che spartire con il tema della passione.

I Momix hanno voluto economizzare la loro creatività proponendo infatti tasselli appartenenti alle loro creazioni prece­denti (Pictures at an Exhibition e i brani ospitati negli spettacoli-contenitore Le Divine, Festa a corte, Festa, Gli specchi di Trieste, Los Divinos) o mutuati da Pilobo­lus (Pilobolus a Broadway).

I Momix: più atleti che artisti, dunque? più virtuosi economi che creatori?

In effetti non si può definire i Momix arti­sti a pieno titolo.

Tuttavia non concordo con chi afferma che essi sono rimasti esclusivamente at­leti senza riuscire a proiettarsi al di là del confine che li separa dall’arte.

Occorre quindi accettare il fenomeno Momix così come ci viene ad ogni spetta­colo consegnato dal suo creatore, Moses Pendleton, e comprenderlo all’insegna di una triade di concetti che Rossella Minotti propone e che troviamo assai cal­zante: virtuosismo, ginnastica, astrazione.


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