Edizioni Eleuthera, 1987
Stile elegante, snello, bene
snodato. Situazioni interessanti presentate con proprietà e coerenza rispetto
all'avvio del romanzo. Doti che riconosco volentieri anche se, personalmente,
non sono molto incline ad accettare il fantascientifico come oggetto di
scrittura; forse perché troppo se n'è abusato. Per coloro che amano il genere,
tuttavia, dirò che le problematiche, in quest'opera si presentano subito
promettenti. Si ha l'impressione di trovarsi di fronte un progetto di
architettura ambiziosa ma solida. Ciononostante, di mano in mano che si procede
nella lettura aumenta la perplessità. È come che le maestranze addette alla
realizzazione di tale progetto si siano rivelate incompetenti e non abbiano
saputo entrare nello spirito dei progettista lasciando qua e là delle pecche,
delle parti non adeguatamente funzionali, che facciano temere per la stabilità
di tutto l'edificio. Ciò appare nelle reazioni di certi personaggi, tra
l'altro.
Ad esempio l'impassibilità – non
giustificata da uno schema mentale generale – con cui la giovane moglie di
Timmo – che si presenta fluttuante. fugace e scarna come un'ombra – accoglie la
notizia della morte del marito, che pure amava. Si rimane sbilanciati davanti a
questa figura di donna, sempre appena abbozzata anche durante gli incontri
seguenti. È come se l'autrice l'avesse defraudata di quel pathos sottinteso e
dovuto alle circostanze, che può fare, di una piccola figura, un gigante
sbalzato da poche righe di buona scrittura.
Anche la morte di Timmo. del resto,
deve essere colta al volo, e rimane un fatto posticcio, appiccicato lì, giusto
perché ogni impresa pionieristica che si rispetti deve offrire le sue vittime
per guadagnare quella credibilità di cui abbisogna. Altra figura
"stroncata" per comodo, secondo me, è Falco, uomo duro e combattivo
che, di fronte alla defezione della figlia oppone una resistenza relativa e poi
impazzisce, uscendo dalla scena in modo poco accettabile, lui, coprotagonista.
E poi disturbano le descrizioni affrettate, "corse via", di episodi
chiave, come lo scontro armato che provoca più di venti morti, la cui
sepoltura, si può dire, porta con sè ogni strascico che il lettore si
aspetterebbe di trovare come logica conseguenza incidente sugli ulteriori
sviluppi della vicenda.
Tutto ciò rende zoppicante
l'economia del romanzo, ne scompagina la compattezza. Godibile invece la
descrizione degli ambienti e la creazione di nuovi termini per presentarci la
vita sul pianeta Victoria. Ma anche qui c'è qualcosa che guasta, ed è il fatto
che troppi fatti vengono proposti come scontati. Soprattutto quella tecnologia
così avanzata, solo in certi campi, senza adeguati apporti dalla Terra, dopo
solo un secolo di insediamento degli umani. Questo fa scivolare nella favola,
nel magico, più che nel fantascientifico.
Per tutto quanto detto sopra non si
riesce ad avvertire quella meravigliosa adesione (non così diffusa del resto)
che si auspica debba verificarsi quando ci accingiamo ad accostarci ad un'opera
di narrativa. Adesione tra opera e lettore, dove l'autore-demiurgo resta entità
trascendente di cui, solo a fatica, si sente l'esistenza perché è riuscito
felicemente a sdoppiarsi al punto di restare totalmente distaccato dalla sua
creazione, anche se dobbiamo riconoscere che nessuno scrittore è immune
dall'autobiografismo.
Per parlare del messaggio di questo
libro direi che esso è improntato a calmo pessimismo, a rassegnazione senza
sussulti: i non-violenti saranno sempre un gruppo sparuto di fronte ai prepotenti
e agli "accontentabili", cioè, a coloro che, pur sempre senza
compiere il male, scendono a compromessi accettando una realtà compatta,
tremenda, inattaccabile come la vita stessa. "La lunga marcia
continua", dirà Luz riferendosi alla Grande Marcia della Pace avvenuta
molto tempo prima sulla Terra, che è proprio la causa di questa vicenda e di
questo nuovo modo di vivere.
È un incitamento che la ragazza dà
a se e ai suoi compagni al fine di cercare altrove nuovi insediamenti che
garantiranno loro la libertà, anche se sanno che possono pagarla con la vita.
Questo ci autorizza a credere che,
secondo la Le Guin, la Pace sulla Terra non potrà mai essere un bene
universale.
Tirando le somme direi che è
un'opera positiva sotto vari aspetti, anche se, dopo aver letto la parola fine,
non ci sentiremo più ricchi per la sua lettura.
Lettura non sempre avvincente, pure
se piana, efficace e redenta da figure meglio riuscite come quelle di Lev e di
Vera, per fare due esempi.
Mi è piaciuto assai di più il
racconto in appendice.
Questo breve scritto tratta il vivo
e riuscito ritratto di Odo; di questa donna-robot della rivoluzione (mi si
passi il termine assolutamente scevro di qualsiasi connotazione dispregiativa).
La donna viene avanti, si definisce sempre più nitidamente
di mano in mano che procediamo nella lettura, fino a ridimensionarsi in un
essere umano sopraffatto dalla sua stessa natura che non può sfuggire alle
leggi inesorabili che la governano; la sua natura mortale che lo coinvolgerà
nell'incommensurabile fiumana dove la Morte ha il suo tetro regno.