Mai avrei immaginato che questo moderno mezzo di
comunicazione mi avrebbe riservato due piacevoli sorprese.
Nel mio sito, tra le altre cose, appare la fotografia di una
scolaresca (a cui appartenni), scattata a Petrignano d'Assisi. Ero una bambina
trasferitami colà causa il lavoro di mio padre. E sempre nel sito sopraddetto è
riportata una poesia (tratta dalla silloge edita M'abbevero a nord) dal titolo Sant'Egidio
(Perugia), altro paesino in cui vivemmo per un paio di mesi prima di trasferirci
appunto a Petrignano, ove rimanemmo più a lungo.
Bene, nel giro di poche settimane ricevetti due e-mail, la
prima del signor C. di Petrignano, nella quale mi chiedeva se avessi altre
fotografie riguardanti quell'epoca, riferibili al suo paese dove, precisò,
nacque e vive tuttora. Purtroppo non ho altro materiale del genere e glielo
comunicai aggiungendo alcuni insignificanti particolari del tipo di tre o
quattro cognomi che ricorrevano al tempo – due , mi confermò, esistono ancora –
e riandando al Chiascio. Questo è un ricordo assai poco piacevole. Con
l'incoscienza dell'infanzia ed ignorando le raccomandazioni di mia madre, ero
entrata nell'acqua proprio durante una piena micidiale, tra il ribollire delle
sue onde color fango e il transito, rammento bene, di un albero abbastanza
grosso divelto nella furia del fiume. Solo la voce autorevole e palesemente
allarmata di un signore che passava sulla riva mi salvò imponendomi di uscire
immediatamente ed allungando le braccia per aiutarmi a risalire la sponda.
Di lì a un paio di giorni il signor C. mi rispose inviandomi
due vedute: una panoramica di Petrignano e quella di un'ampia zona dei
dintorni, aggiungendo con orgoglio che ora il paese conta tremila abitanti e si
è industrializzato in modo piuttosto soddisfacente.
La seconda sorpresa invece riguarda la mia poesia di cui
sopra.
Il signor G., che si dichiara "uno dei pochi abitanti
di Sant'Egidio", e si premura di dirmi che la poesia gli è piaciuta, mi
chiede se veramente io abitai laggiù. Lo assicuro della veridicità della mia
asserzione, ricordando vagamente il paesino su una collina, contornato dal
placido paesaggio umbro che, forse non a torto, molti definiscono mistico.
Mentre rispondevo a questi due signori sconosciuti provai la
strana sensazione che basta molto poco, un filo sottile come questo, per far
sentire che un uomo ha sempre qualcosa in comune con un altro; che nessuno
dovrebbe considerare "nemico" un proprio simile.
Poi ebbi la sensazione netta del Tempo, della Memoria, del
Ricordo: terna molto importante nella vita di ciascuno di noi e strettamente
legata nei suoi elementi. Se non avessimo chiara detta sensazione saremmo dei
disancorati, degli sradicati. Purtroppo però i ricordi che ho di quel periodo
sono molto confusi, immersi in una foschia che lascia vedere solo a tratti
brevi squarci come medaglioni slegati tra di loro; e questo non tanto per i
lunghi anni trascorsi ma per l'età acerba che avevo quando vissi
quell'esperienza.
Lunghi filari di viti, le torte salate e il vin santo per la
Pasqua, le donne che portavano al forno, ritte sulla testa, le grandi teglie
con le cipolle bene allineate e che poi tornavano con le cipolle cotte che
mandavano un gradevolissimo profumo, la saporitissima bruschetta e l'abbacchio
in umido, la fontanina comunale che lasciava cadere un sottile cordone di acqua
potabile, davanti alla quale una lunga fila di donne con orci e brocche,
attente con occhi di lince a non lasciarsi scavalcare dalle più sfacciate, i
ceci abbrustoliti sulla brace, i campi di fave che si potevano mangiare crude e
tenere con le fette di pagnotta senza sale, ma soprattutto il paesaggio
ondulato, con cipressi e pini marittimi, così diverso dalla mia pianura padana.
Questo soprattutto m'incantava perché ricco di un mistero
che non riuscivo a penetrare. Inquietudine e gioia contemporaneamente davanti a
ciò che non sapevo fare mio come una realtà che in quel momento mi apparteneva.
A questo proposito mi sembra coerente accennare a due fatti.
Il primo si riferisce a una domanda che mi fu posta durante l'intervista che
rilasciai a codesto sito, ossia mi si chiese quale delle mie poesie vorrei non avere mai scritto. La mia
risposta fu che ne avrei scartate parecchie della mia ricca produzione, cioè
non ritenevo più valide quelle scritte nella mia prima giovinezza; tuttavia le
tenevo tutte nella mia raccolta perché erano la testimonianza di come si cambia
durante la vita. Il secondo fatto invece si riferisce ad un valente biblista
che mi confessò come alla sua esegesi del Cantico
dei Cantici, scritta anni prima, se avesse dovuto riscriverla, avrebbe dato
tutt'altro taglio.
Ecco, questi due fatti giustificano un'altra poesia che qui
riporterò, assieme a quella dedicata a Sant'Egidio.
Poesie scritte in due tempi, l'uno assai distante
dall'altro: ciò spiega la differenza di "maturità" tra di esse, anche
se composte entrambe sulla scorta di ricordi sfocati.
Per quanto riguarda la prima si tratta di rammentare una
passeggiata compiuta nella campagna solitaria, lontana da ogni centro abitato,
immersa in un silenzio primordiale, rotto solo da uno stormire lievissimo di
fronde di meriggio estivo e sonnolento. Qui stava una grande villa disabitata,
villa Favelluta (forse conservata dai proprietari per passarvi qualche giorno
all'anno), che sembrava acuire il senso di estraniamento dal mondo civile, sì
da incutermi un timore reverenziale.
Per quanto riguarda la seconda, invece, il ricordo fu
rinverdito, acuendo l'emozione, da una brevissima visita all'Umbria, anche se
si trattò di tutt'altra parte del luogo cantato.
Oh, quante volte ho sentito il desiderio di rivedere quelle
zone! Ma subito è come uno sgonfiarsi dentro di me. Per i cambiamenti
subentrati in ogni angolo della nostra bellissima e delittuosamente bistrattata
penisola, oramai più nulla sarà come allora; ma anche se ciò, per magia, non
fosse accaduto, che cosa vedrebbero ora i miei occhi appesantiti, offuscati da
tanto vissuto?
Come uccello stanco
fermo in riposo
sorgi a sommità del colle
creatura strana e senza tempo
folta di mistero.
Pingui verzieri
pompa d'ulivi e fiori
dagli arabescati archi
delle tue logge silenziose e caste
vedo dinanzi.
Tutto è silenzio:
non il ramarro che di tra i rovi guizzi,
non l'usignol
che corra lieto a piluccar la vigna
e canti,
non l'audace passeretta
che becchi il grano.
Solo i cipressi neri
come ceri d'un luttuoso voto
ascoltano l'afa
del tremulo meriggio.
Ed io mi fuggo
per non morire
nel tuo vortice oscuro
di silenzio.
Sant'Egidio (Perugia)
Contorni sfumati.
Acuto fascino di rosmarino
a cespi grandi fiaccati di sole
e calde violacciocche di velluto.
Modellavo vasi
con terra d'orto
che sfaldavano troppo presto
tornando zolla biancastra
all'ombra del mio stupore.
Contorni sfumati ormai
di frutti d'oro e d'alabastro
che non sanno più nutrire
il ricordo lento
dei blandi colli odorosi
di Sant'Egidio.