M'abbevero a Nord,
silloge di poesia

Zanetto editore

presente in http://www.unilibro.it/

Invito alla lettura. 2

Cantava. 2

Camargue. 2

Partenza. 3

Figlia. 3

Transiberiana. 3

Raccontare. 4

Schiavo negro. 4

Dal suo trono. 4

La ballata del ladro. 4

Tu come me. 5

L'attacchino. 5

Ma ci sei tu. 6

Immagine. 6

Uovo dimenticato. 6

Ritorno alle caverne. 7

Dalla parte del sole. 7

Centauri sapienti 8

Di là dal muro. 8

Tori infuriati 8

Note in fa minore. 8

Ribellione. 9

Ho perso. 9

Regalando una conchiglia. 9

Sant'Egidio (Perugia) 9

 

Invito alla lettura

La saggista Artemisia Botturi Bonini invita alla lettura di M'abbevero a Nord.

"[…] Di fronte alla poesia di Celeste Chiappani Loda il lettore deve lasciarsi affascinare dalle immagini che fluiscono dalla parte più remota e segreta delle sue fantasie, là dove il reale e il mitico si trasformano in parole, in versi, in immagini scritte: lirica che cattura e porta alla luce dal profondo la straordinaria, sconosciuta ricchezza della nostra immaginazione. Il nucleo di questa poesia è l'emozione che nasce dal vivo di un'esperienza interiore fortemente sentita ed intensamente sofferta, in una quotidiana avventura vissuta tragicamente.

Al fondo una tensione ideale che si propone fin dal titolo M'abbevero a Nord, simbolo di una sete morale che anela alla limpida purezza degli astri, guida dei nocchieri fin dall'alba dell'umanità, immagine di un anelito senza fine.

[…]"

Cantava

La udivo spesso cantare
mia madre.
Buttava voce squillante di note
su ferite aperte.
Cantava spesso
mia madre
per chiamare il sole
sul nostro camino spento.

Camargue

Sguardo obliquo
di diffidenza e nostalgia,
viso nero di sole algerino
e voglia di tradire
sotto vecchio cappello
da cowboy.
Sprona il tuo sauro
che sventola magri garretti
per raccogliere mandrie taurine
predestinate alla barbara "fête":
è il tuo pane
e la tua branda
sotto tettoia di lamiera.

Partenza

Andiamo laggiù
verso l'arpa muta.
Ne sfiorerò le corde piano
per sussurri di partenze
e ritorni.
Di partenze.
Di partenze.
Di partenza.

Figlia

C'entri tu
in questo mio corpo
che s'è dilacerato
per te.
C'entri tu
in questa mia anima
che ha sofferto
lacrime aggrovigliate
a soffi lievi
d'ineffabile gioia
su are assurde
per assurdi sacrifici.
Come a manna nel deserto
m'aggrappo ai tuoi fondi occhi
– pozzo d'oasi
sotto perenne minaccia di ghibli
di cui il fondo si perde
in scavate profondità
senza misura –
per capirti
per capirci
nella finitezza inaccettata
che mi esplode
d'intorno.

Transiberiana

Respiro aria di taigà
sui sobbalzi del treno
in lingua sconosciuta.
Non trovo il senso
nel volo greve di corvi
e di cornacchie.
Non trovo il senso
nel fazzoletto bianco
legato stretto
della bàbuska
che vende cetrioli.
Respiro aria di taigà
cercando.
Laggiù, tra dacie colorate
in piccole radure,
la fine del binario.

Raccontare

Ho raccontato di te
all'ombra che precede il mio passo.
Non esiste eco
in questa valle
che porti voci
a chi cammina solo.
Calpesto erba secca senza suono
raccontando di te
ai miei pensieri.

Schiavo negro

Affondò la nave negriera.
Sirene mute di dolore
e carne schiava
a fluttuare libera
tra coralli.

Dal suo trono

Dal suo trono
il re senza scettro
esige il tuo passo di danza.
Non farlo aspettare:
nuda è la sua ira
per chi non esegue.

La ballata del ladro

Ho rubato
tanta luce al sole
e tanto azzurro
a tersi cieli di primavera;
la forza misteriosa
di livido lampeggiare
in brontolìo di tuoni
e la gioia del respiro affannato
sulla vetta raggiunta.

Ho rubato
a te che fosti.

Ho rubato
il velluto d'un petalo di rosa
caduto tra i capelli,
l'effluvio di buona terra
quando aprile irrora
l'effimera fragranza
di pampini fioriti
sul dorso d'aperti colli.

Ho rubato
a te che fosti.

Ho rubato
aghi luccicanti di brina
al sole smorto,
suono di cornamuse
che sanno faticose viottole lontane
e fumo di legna di bivacco.

Ho rubato
a te che fosti.

E ancora note
di dolci melodie
sul vecchio pianoforte

a te che fosti.

Tu come me

Tu
come me.
Ti riconosco
ma non vorrei soffrire
anche le tue pene.
Tu
come me
in tentativi assurdi
di smuovere la morte
che si affonda come sabbia tenace
sotto la pelle
ad ogni respiro.
Voltiamoci le spalle
e proseguiamo in versi opposti
sapendo l'illusione.
Cerchio perfetto il cammino
che si chiude agli estremi.
Tu
come me
ci incontreremo alla saldatura
ridendo
o piangendo
non c'è differenza.

L'attacchino

Non ci saranno più
manifesti colorati
sui muri della città.
Al largo
ho affogato l'attacchino
stanotte.
Sola nell'antro
pagherò il delitto
conversando con la morte.

Ma ci sei tu

Giro la chiave nella toppa.
L'uscio cigola piano
in tiepide litanie
di morti.
Misuro passi e gesti
su pavimenti ammuffiti.
Io
dentro pareti nere
che trasudano crudeli fantasie.
Ma ci sei tu.
Fammi udire le tue mani.
Lascia che tocchi il tuo sguardo
che illumina gli anfratti.

Immagine

Viziata di tempo
era ovale
di mosaico bizantino
il tuo volto.
Oziavi
con le gambe snelle
di gazzella
lungo le prode.
Capivano le tue narici
sussurri di musco
e polline dolciastro
di giaggiolo
mentre
ruscello d'oro fuso
scorreva lento.
Vi galleggiavi ninfèa
tu
viziata di tempo.

Uovo dimenticato

Conchiglie vagabonde
su spiagge di basalto
che non vuole impronte.
Han soffiato i millenni
in una curva rutilante
di ombre lunghe
vaghe
distorte.
Pensiero e carne
spirito e sangue
tornano a immergersi
nel mare nero come l'infinito.
Batter di denti
come picchi himalaiani
discioglieranno in acidi
esseri che non sono.
Forse ancora nel buio totale
da un uovo dimenticato
uscirà l'homo sapiens
pronto ad impugnare
zanna d'elefante
per tracciare intorno alla sua ombra
il solco del potere.

Ritorno alle caverne

Ho letto sfatto.
Rigurgita il lavello
di tegami bisunti
con briciole cadute sotto il desco.
I vetri alle finestre
hanno polverosi festoni
di vecchie piogge acide
e di ragni.
Nulla devo al progresso.
Voglio la mia casa
tana dei primordi.
Bonzo
che non s'appicca il fuoco.

Dalla parte del sole

Dalla parte del sole
non ho più gente da cercare:
rimase appesa
a grappoli fantasmi di speranze
lungo la via.
Mosaico di betulle e fiori di lillà
oltre l'ultima duna
(paziente è fame d'avvoltoio)
e lampade multicolori al neon
con follia di jazz
che percuote i sensi.
Stilita pazzo
caddi in ginocchio
sulla sabbia accesa.
Un raggio killer con forma d'ameba
mi crocifisse nel deserto
viola ametista.

Centauri sapienti

Ho udito calpestare la mia tomba.
Centauri sapienti hanno lasciato
impronte sulla zolla
tenera di rugiada.
Poi han volato alto tra le nubi
lanciandomi silenziosa risa.

Di là dal muro

Tu di là dal muro
non puoi
stendere teorie di mani
e chiedermi
sorpassando vetri in cocci
che piantai
tremando di ferite.
Tu di là dal muro
non puoi gridare ordini
per mettermi in ginocchio
nel fango,
per svuotare i miei occhi.
Mòstrati:
angelo o demone.
Farò una scelta.

Tori infuriati

Danzai tinta di vento
sciogliendo veli
tra corna di tori infuriati,
bevendo nettare
da corimbi silvani.
Attraversai la vita
attenta a non sporcarmi
l'orlo della veste.
Ma troppo alto era il fango
mentre i tori
le corna infuriate
avevano aguzze.

Note in fa minore

Solfeggio note in fa minore
su righi mobili di pioggia.
Stradivari solitario
boccheggia nel mio pianto.

Ribellione

Gézébele
apro le braccia al culto nuovo:
diventerò rosso demonio
come chiuso sipario di velluto.
Suonando trombe
di pelle taurina
scudiscerò l'anima dei sordi.
Color tabacco nero
il cielo
nelle notti compatte
di maledizione
sulla terra sterile.

Grifone di leggenda
rido impazzito.

Ho perso

Ho acceso il falò dell'esistenza
rubando stecchi alle stagioni
curva di fatica.
Ho difeso le sue fiamme
da famelici tornadi
riparandoli con mani nude
curva di fatica.
Ho perso.

Regalando una conchiglia

Ascolta
ti porto il mare.
Levigai il tempo
senza memorie
tra onde e battima.
Ascolta
ti porto il mare fondo d'azzurro
e verde,
rosso d'albe e tramonti.
Musica di silenzi
e grida…
ti porto il mare.

Sant'Egidio (Perugia)

Contorni sfumati.
Acuto fascino di rosmarino
a cespi grandi fiaccati di sole
e calde violacciocche di velluto.
Modellavo vasi
con terra d'orto
che sfaldavano troppo presto
tornando zolla biancastra
all'ombra del mio stupore.
Contorni sfumati ormai
di frutti d'oro e d'alabastro
che non sanno più nutrire
il ricordo lento
dei blandi colli odorosi
di Sant'Egidio.


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