Intervista a Celeste Chiappani Loda

aprile 2005

Intervistare la propria madre o intervistare la propria madre scrittrice? È certamente interessante fare entrambe le cose.

Diciamo che sono due ruoli ben distinti ma che possono essere agevolmente giustapposti, quindi si riesce a viaggiare su doppio binario.

Tu hai cominciato a scrivere verso i quattordici anni. Che cosa ti ha spinto ad esprimerti attraverso la scrittura?

Più che rifarmi al concetto di "essere spinti" sono del parere che, in questo genere di cose, si parte da un'idea nebulosa dapprima, frammista ad altre, visto che nella maggioranza dei casi l'"essere spinti" accade in età acerba. Se subentra l'elemento scatenante (che so, un incontro, una lettura, qualsiasi altra circostanza particolarissimi) allora l'inclinazione può delinearsi velocemente assumendo una fisionomia ben definita; in caso contrario essa si definisce in modo più lento. Ad ogni maniera l'arrivo è sempre e subito caratterizzato da una passione che cattura, che imprigiona per tutta la vita diventandone ragione, trasformandosi in provvida ancora di salvezza, in scopo.

Trovi più convincente Celeste Chiappani Loda poeta o Celeste Chiappani Loda prosatrice?

Celeste Chiappani Loda prosatrice anche se devo ammettere che certe mie poesie mi soddisfano.

La tua opera omnia poetica consta di circa 1500 componimenti che vanno dal 1940 (anno più anno meno) ad oggi, attraverso i quali è possibile seguire un'evoluzione stilistica e tematica. Naturalmente le prime poesie (che tu vorresti stracciare ma della qual cosa io ti ho diffidato perché sono una testimonianza) risultano acerbe: lo stile ti si fa man mano. Che cosa ci dici in proposito?

Credo che questo sia naturale o almeno, sia l'iter obbligato per moltissimi. È chiaro che la vita ci batosta di brutto. Qualcuno considera il cumulo di esperienze negative il miglior mezzo per maturare. Io, che sono di natura polemica e ipercritica, imposterei tutto un discorso intorno a questo concetto; naturalmente questa non è la sede adatta. Sta di fatto che tutti cambiamo, più o meno profondamente procedendo con l'età. Avanti negli anni ci troviamo con le mani colme di amarezza, di delusioni, tanto più urticanti quanto più uno s'è sentito moralmente obbligato a spiegare in ogni momento la bandiera di un alto ideale, a sacrificare sul suo altare con la pura fede del neofita per lunghissimo tempo. Anche il modo di rapportarci agli altri cambia; diminuiscono, quando non spariscono completamente, le certezze; non esistono più il tutto bianco e il tutto nero, ma il colore predominante sarà il grigio. È chiaro che questa condizione porta allo smarrimento, ad un profondo disagio; è come essere costretti a rimetterci in gioco, una situazione che, oltre non interessarci più, diventa difficile affrontare perché oramai siamo privi della forza necessaria per farlo. Ciò può essere devastante per molti.

Detto ciò, per lo scrittore (e per l'artista in genere) è logico che, durante questo cammino, lo stile cambi, e in meglio quando si tratta di arte vera. Tale stato di cose dura fino a quando l'interessato non si rende conto di incappare nel déjà dit. Questo è un punto senza ritorno, è la paletta severa che porta scritta la parola stop. Chi la disattende cade nel patetico, se non nel ridicolo. Nel mio caso il cambiamento di stile, la cosiddetta maturità artistica, credo sia piuttosto evidente poiché non avendo fiducia in me stessa sono sempre insoddisfatta del mio lavoro, ragione per cui mi obbligo ad una ricerca continua per migliorare. Quindi, durante questi anni, la tensione precipua è stata verso il raggiungimento della perfezione, naturalmente intesa nei limiti entro i quali l'uomo può aspirarvi.

Tu come e quanto leggi?

Leggo moltissimo pur mantenendomi entro un'area dai bordi rigorosamente definiti. Ossia, escludo il romanzo rosa e il romanzo gotico, il genere "orrorico" e fantascientifico, le biografie dichiaratamente romanzate; non senza tuttavia un previo assaggio di ciascuno di tali generi per rendermi edotta del loro tenore. Credo che questo grande amore per la lettura sia dovuto alla mia profonda incapacità di comunicare con gli altri (non per niente ho intitolato Ognuno è solo il mio libro di memorie). Stante ciò considero i libri gli amici più fedeli, sempre disposti a tenerci compagnia; nonostante talvolta mi trovi d'accordo con Socrate che non lasciò nulla di scritto perché, asseriva, il libro, se interrogato, non risponde.

In quanto a come leggo, per il mio temperamento irrequieto, ansioso, sempre teso, direi patologicamente teso, alla ricerca di qualcosa di diverso, qualcosa cioè che mi catapulti al di fuori del mortificante tran tran della quotidianità, devo dire che leggo in maniera piuttosto superficiale. Potrei paragonarmi ad un'ape stolta che, trovandosi in un enorme giardino fiorito, ne voglia visitare tutti i fiori, pur con pochissimo tempo a disposizione. Questo modo di fare mi porta ad accontentarmi del mio intuito; leggo in fretta, poi, magari, se non ho qualcosa di appetitoso che mi tenta immediatamente, medito su quanto ho letto senza confrontarmi con nessuno, traendone conclusioni per mio uso e consumo. Solo se l'argomento di cui ho letto può ispirarmi per qualche nuovo scritto approfondisco con impegno documentandomi.

Quali generi letterari hai trattato?

Ho trattato moltissimi generi (parte del lavoro è pubblicato e parte è inedito), dal romanzo alla barzelletta, dalla massima alla poesia, dall'articolo, al breve saggio, al racconto, alla narrativa per ragazzi, alla poesia dialettale. Non significa che questo faccia di me una grande scrittrice, tuttavia mi preme chiarire che tanto spreco di energie non va a scapito della qualità nel senso che la mia attenzione resta, in primis, a favore della narrativa e della poesia. Quindi, se qualità esiste, essa non è stata depauperata da un comportamento che potrebbe sembrare dispersivo.

Vorrei soffermarmi sul corposo studio A Ghét sa parlàå isé (studio sul dialetto della Bassa bresciana).

Oh, la spina nel fianco!, visto che molti specialisti, e di grande peso anche, vi hanno abbondantemente attinto a man salva, senza cioè chiedermi il permesso, quindi usufruendo delle mie fatiche in modo condannabile, dopo aver carpito la mia fiducia (e purtroppo, aggiungo, non è questo l'unico caso di "ruberie" a mio danno). Su un lavoro di questo genere ci sono molte cose da dire visto che mi ha impegnato per più di due decenni. Un lavoro di scavo nella memoria, di ricerca, di confronto con la nostra lingua, di domande poste ad hoc a coloro che rappresentavano fonte di dati sicuri. Durissima fatica poi è costata la cernita, la distribuzione in argomenti, l'assemblaggio in capitoli di tutto il materiale raccolto. Tutto ciò mi ha fatto per forza rivivere la mia infanzia, su su fino alla prima giovinezza; oltre che farmi toccare con mano che tutti i vernacoli hanno un loro fascino e possono assurgere a dignità di lingua. Un lavoro quindi stimolante, appagante, sotteso ad una notevole carica emotiva. Nonostante ciò mi preme aggiungere che esso è stato assai meno coinvolgente (e sconvolgente) della creazione dei miei numerosissimi personaggi, ognuno con i suoi marcati segni distintivi, tutti scavati, sofferti, architettati con un occhio sempre attento al reale - anzi, moltissimi di essi corrispondono a persone esistite o esistenti, previo i cambiamenti minimi indispensabili nel rispetto della legalità. Personaggi interiorizzati al punto da farmi vivere la loro stessa vita con intensità incredibile. Da Piero a Dibela, dal Grande Vecchio a Zoe, da Sarina a Maffea a Samaritana a decine e decine d'altri.

Ti interessa se ti chiedo quali (ammesso che tu ne abbia) modelli hai avuto?

So che questa è una domanda di prammatica davanti alla quale sinceramente sono presa dallo sconforto. Scegliersi un modello significa avere le idee chiare, saper distinguere, saper prendere decisioni. Io non sono mai stata capace di scegliermi un modello. Posso dire che molti autori mi hanno dato tantissimo, altri invece meno o niente del tutto. Ciononostante penso che da ognuno si possa imparare qualcosa, basta sapere rielaborare, connettere con le informazioni, i concetti già in nostro possesso; in poche parole tener presente che tutto può essere utile per arricchirci, basta saper guardare dall'angolazione giusta.

Perché tu non accetti compromessi?

Penso che ci sia per tutti qualche circostanza nella vita per la quale si è costretti a scendere a compromessi; la vita stessa, del resto, è tutto un compromesso; se però vogliamo mantenerci al livello a cui generalmente si usa mantenere questo concetto diciamo che non accetto compromessi. Non vendo la mia penna e non muto le mie opinioni se non per mia scelta ponderata, ad esempio. Mi fu chiesto l'uno e l'altro, ed ero cosciente che, in entrambi i casi ci avrei guadagnato, ma rifiutai recisamente. Vorrei operare però un distinguo: non ne vado fiera; anzi, mi rammarico di essere "irriducibile", come ebbe a definirmi una persona che, per scopi suoi, a me propizi, avrebbe preferito più duttilità da parte mia. Sono certa che se avessi saputo e sapessi mediare, la mia vita sarebbe stata e sarebbe assai più facile.

Veniamo alla tua figura di madre. Come sai io ti definisco ipermamma.

Lo so e tu sei a conoscenza di quale sia stata la mia situazione nella nostra famiglia. Senza scendere in dettagli dirò soltanto questo: l'amore materno è l'amore più egoistico che esista poiché una madre ama il proprio figlio (o figli) più di se stessa. Bene, voglio azzardare un paradosso: tu, per me, sei più del tutto.

Giochiamo brevemente alle associazioni: colore, suono, strumento, rumore, arte, Leopardi, fiore, sociale, cammino, montagna.

Luce, dolcezza, pianoforte, scoppio, spirito, sofferenza crudele, manifestazione naturale incomprensibile, amore per gli altri, paura, pericolo incombente.

Che cosa mi dici del fatto che, nonostante io, come ebbe a scrivere un critico, "discenda da li rami", i nostri stili e la scelta dei temi da trattare siano tanto diversi?

Può sembrare strano, ma, a pensarci bene, forse strano non è; con ogni probabilità i cervelloni del cervello umano (toh, una definizione estemporanea che mi va a fagiolo!), con il loro abile rimescolare Es, Ego, Super-io a dosi varie in caleidoscopici giochi, sanno spiegare ciò in modo esaustivo. Restando nel semplicistico, comunque, oso tirare in ballo la sconvolgente e onnipresente sigla, diennea. Dico sconvolgente perché davanti all'infinitamente grande, e all'infinitamente piccolo mi smarrisco; dico onnipresente perché ormai tutti ne usiamo e abusiamo senza chiederci, quali meccanismi, quali dinamiche sottintenda. Restando sfacciatamente nel semplicistico, dunque, visto che anche tuo padre ha scritto di suo nel tuo diennea, ecco spiegata la diversità di cui sopra. Diversità non così grande, del resto. Diciamo che ciascuna di noi segue una delle due branche ramificatesi dallo stesso tronco: l'amore per le lettere. A questo punto vorrei sintetizzare prendendo posizione davanti al classico dilemma: tu sei pro arte per l'arte; io sono pro arte per la vita.

Non sono esattamente d'accordo sulla tua ultima affermazione, ma occorrerebbe molto più tempo per discuterne, quindi per ora direi di soprassedere e di orientarci invece verso un'altra domanda. Secondo te è possibile far nascere nelle persone l'amore per la lettura?

No, secondo me non si può cavare sangue da una rapa, come si suol dire. Può darsi che si possa dare a qualcuno la spinta necessaria per fargli scegliere di riempire il suo tempo libero con la lettura; ma ciò presume appunto l'esistenza in nuce di tale inclinazione. Procediamo con ordine: io dividerei gli amanti della lettura (escludendo gli studiosi) in due categorie: coloro che leggono quasi esclusivamente il genere fueilleton e gli altri che affrontano letture più impegnate. Ecco, sono convinta che la prima categoria, con l'avvento della televisione, si sia assottigliata in modo drastico. Si sa che il leggere richiede attenzione, concentrazione, sforzo mentale; quindi le telenovele, ad esempio, (che sono il corrispettivo del romanzo popolare, o d'appendice o fueilleton) offrono di seguire una trama che dilaga a macchia d'olio in vicende più o meno zuccherose, impregnate di romanticume, dove l'inverosimile e i mezzucci la fanno da padrone, con molta minor fatica. Ciò che non può soddisfare la categoria di coloro che leggono per captare il messaggio di cui ogni serio autore è foriero; per "sciacquare i panni" in un buon italiano; per seguire dialoghi saporiti frutto di una pregnante filosofia di vita; nonché godersi lo spessore psicologico atto a supportare, a giustificare azioni e reazioni dei vari personaggi. Le immagini che si avvicendano sul piccolo schermo (e la maggior parte delle volte anche sul grande) non possono dare tutto questo.

Riusciresti a descrivere te stessa in poche battute?

No. Vorrei poterlo fare ma non ne sono capace. Un po' credo che sia per mia imperizia e un po' perché l'essere umano è molto complesso in tutti i sensi. Proverò a sintetizzarmi in cinque punti:

1) non accetto la condizione umana;

2) non solo non riesco a vedere il bicchiere mezzo pieno, ma neanche a capire come si possa arrivare a scorgerlo;

3) non accetto mai nulla a scatola chiusa e vorrei sempre poter approfondire e capire ogni cosa; avere il controllo su tutto quello che mi riguarda, sia nel quotidiano sia negli avvenimenti a lunga gittata;

4) mi fascio immancabilmente la testa prima che si rompa;

5) piango sempre a dirotto sul latte versato.

Avendo ancora una vita da vivere che cosa faresti e che cosa non faresti di quanto hai fatto fino ad ora?

Devo dire che mi rodo al pensiero degli errori commessi, nella mia vita trascorsa, così come rabbrividisco al ricordo dei pericoli scampati per un soffio nei quali si può incorrere per fatalità, per ingenuità o per incoscienza. Ciononostante, sono certa che ricominciando (naturalmente senza il senno di poi, senza cioè quella saggezza che si raggiunge per forza di cose, incompatibile con il "via" dato a ciascun individuo), rifarei esattamente quello che ho fatto fino ad oggi. E questo perché possiamo passare agli altri le malattie infettive, mai le nostre esperienze. Ciascuno di noi deve rompersi le corna per proprio conto; ogni individuo deve percorrere un tracciato inevitabile senza possibilità di deviare perché in ogni istante della nostra vita ci comportiamo secondo il risultato dell'educazione ricevuta, dell'esempio avuto in seno alla nostra famiglia, del segno che hanno lasciato in noi le esperienze soprattutto negative, fatte. Tutto ciò obbliga il nostro comportamento segnando come un marchio azioni e reazioni.

Concludo con la pubblicità del tuo sito, che testimonia la tua attività scritturale: http://celesteloda.chiappani.it/.


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