Gilda Gelati parla della situazione della danza in Italia
15 gennaio 2005
Gilda
Gelati.
© Foto Teatro alla Scala
|
Mi trovo con la compagnia del Teatro alla Scala nelle
sale ballo di via Cozzi, a Milano, per seguire la classe del M° Grigore Vintila
e le prove del Sogno di una notte di
mezza estate e di Giselle,
dirette da Laura Contardi e da Florence Clerc. Dopo classi e prove, mi accomodo
nel camerino della prima ballerina Gilda Gelati per parlare con lei della
situazione in cui versa la danza in Italia.
Gilda, come ti poni nei confronti della tanto deprecata idea
legislativa - di cui molto s'è discusso in questo periodo - di elevare l'età
pensionistica dei ballerini a 60-65 anni?
Meno male che si sono ricreduti e hanno portato l'età
pensionistica a 52 anni per gli uomini e a 47 per le donne!
L'allarme è rientrato, dunque. Lo reputi un segnale positivo?
Se vuoi sì, ma l'età pensionistica resta comunque elevata.
Quando sono entrata io alla Scala, si andava in pensione tra i 42 e i 45 anni,
che è ottima come età. Non poter smettere di danzare che a 60-65 anni significa
necessariamente far morire le compagnie di danza.
A quell'età al più si riesce a interpretare ruoli da mimo!
Esatto.
Più d'una
volta, durante le nostre chiacchierate, abbiamo affrontato il tema della fine
della carriera di un ballerino. Ricordo che mi avevi detto che è assai triste,
per te, vedere che un ballerino, quando è palese che sarebbe opportuno
smettesse di danzare, continua invece a farlo. Un esempio fra tutti è quello di
Nureyev che nell'ultimo periodo barcollava addirittura. Questo atteggiamento lo
definisco un non sapersi fermare a tempo. Mi viene però da dire che il
pensionamento ad un'età elevata rende quasi prassi non il non sapersi, bensì il
non potersi fermare a tempo.
Il rientro dell'allarme pensione hai acconsentito a definirlo
un segnale positivo. La danza in Italia, tuttavia, non versa in una situazione
eccellente. Poco fa, mentre eravamo nella sala ballo "Menchetti" per
le prove di Giselle e stavamo
chiacchierando anche con Mick Zeni, sottolineavi che - al di fuori di pochi
cultori - i protagonisti della danza non sono notissimi alla massa. Come
occorrerebbe procedere per avviare la gente ad una conoscenza seria del balletto
classico?
Effettivamente in Italia esiste poca cultura ballettistica
(mi riferisco al balletto classico). In questo periodo c'è stato un ritorno
grazie a trasmissioni quali "Amici" di Maria De Filippi, il che non
va male, però occorrerebbe far conoscere il vero balletto classico attraverso
trasmissioni televisive oserei dire più serie. Mi spiego: non voglio proprio
affermare che "Amici" non sia seria, però le esigenze sono altre.
Anni fa c'era ad esempio "Maratona d'estate" di Vittoria Ottolenghi,
dove si potevano vedere delle rarità, ma poi è terminata.
In tempi successivi anche su Telepiùtre venivano trasmessi
balletti presentati da Elisa Vaccarino.
Vedi, all'estero c'è maggior cultura. In Francia ad esempio
ogni settimana danno balletti classici sulle reti nazionali.
Un'altra cosa che occorrerebbe fare è sovvenzionare il
balletto. I soldi stanziati per la danza sono sempre pochissimi.
Be', a questo proposito definirei la Scala un'isola felice.
Sì, è vero, noi stiamo ballando molto.
Le vostre tournée
con il Sogno di una notte di mezza estate
per il ventennale della morte e per il centenario della nascita di Balanchine
sono state uno straordinario veicolo: hanno infatti permesso di far conoscere e
di far apprezzare il Corpo di ballo del Teatro alla Scala.
Sì, i debutti europei e mondiali del Sogno sono stati davvero importanti: dall'esperienza stupenda di
San Pietroburgo al Festspielhaus di Baden Baden, dal Brasile (San Paolo e Rio)
al teatro di Erode Attico ad Atene al Festival di Aspendos in Turchia. Queste tournée hanno avuto un grande successo e
la compagnia scaligera è stata apprezzatissima. Pensa solo che in Brasile
abbiamo fatto dieci recite che hanno attratto ventimila spettatori. Come vedi
far avvicinare il grande pubblico al balletto è fondamentale per la
sopravvivenza della danza.
Farlo avvicinare anche attraverso il veicolo televisivo, ma
con proposte di qualità, come dicevi prima. Una ventina d'anni fa, negli
spettacoli del sabato sera, ballava Heather Parisi coreografata da Franco
Miseria: si trattava indubbiamente di danza di qualità. Non mi sto riferendo al
contenuto coreografico (anche se per la televisione i lavori di Miseria erano
adatti e ben confezionati), ma della perizia tecnica della Parisi, la quale ha
una formazione classica.
Sono d'accordo e condivido il tuo giudizio sulla Parisi.
Sintetizzando, le soluzioni che individuo per far conoscere
maggiormente la danza sono l'informazione televisiva e la proposta di
spettacoli di qualità nei teatri non solo dei grandi centri, ma anche delle
città di provincia. In Germania, ad esempio, ogni città ha una compagnia di
ballo, magari fatta solo di sette persone, che fa fatica a sopravvivere, però
esiste. Tanti coreografi sono nati da quelle compagnie. All'estero c'è più
sperimentazione che in Italia. Pensa solo che il nostro Balletto di Toscana è
stato chiuso nel giro di pochissimo tempo!
Le scuole private delle città di provincia: che mondo è?
Un mondo a parte. Organizzano anche concorsi, ma è tutto
fine a se stesso, rimane tutto lì. Non aprono sbocchi per chi vuole entrare nel
teatro come professionista.
Concludendo con un ritorno al discorso dal quale siamo
partite, il rientro dell'allarme pensione è certo un segnale positivo, ma
permangono anche le negatività. Ad esempio ci si adegua ai metodi di lavoro
dell'estero negli aspetti negativi (compagnie che operano solo con contratti
stagionali). Alla Scala stessa, che pure è un'isola felice, l'abbiamo detto,
non vengono indetti concorsi da anni: il Teatro si tiene i propri ballerini
fino alla loro età pensionistica, avvalendosi poi di contratti a tempo
determinato per i componenti del corpo di ballo.