Intervista a Frédéric Olivieri, direttore della Compagnia di Ballo della Scala

22 febbraio 2005

Frédéric Olivieri.

© Teatro alla Scala

Frédéric Olivieri, direttore della Compagnia di Ballo della Scala, mi ha concesso quest'intervista incentrata soprattutto, ma non solo, sul trittico Europa che verrà dato a marzo al Teatro degli Arcimboldi.

La compagnia scaligera è stata recentemente definita: "La nostra principale compagnia di balletto di ascendenze accademiche, quella che per mezzi economici e per numero di artisti può azzardare un paragone con analoghe realtà internazionali." Collegando queste parole alla constatazione che la danza in Italia non versa in una situazione brillantissima (tagli sui fondi, spauracchio dell'innalzamento dell'età di quiescenza per i tersicorei, eccetera), Le chiedo: Lei che proviene da realtà estere come (ne cito solo un paio) l'Opéra e i Ballets de Monte Carlo, quali mete si prefigge attraverso la programmazione della stagione scaligera?

Devo dire che attualmente un po' ovunque esiste una situazione negativa per quanto riguarda arte e cultura in generale. Questo anche in Francia, dove però ci sono molte compagnie di danza…

Eppure da più parti e continuamente si afferma che la situazione estera sia nettamente migliore di quella italiana.

Sono frasi fatte! Diciamo però che in Italia le istituzioni che riguardano la danza sono mal strutturate. Pensi solo al fatto che a marzo andrà in vigore la legge che impone il possesso di un diploma a chi vuole insegnare danza. All'estero già da tempo occorre un diploma statale per aprire una scuola privata, mentre per insegnare al conservatorio occorre anche il riconoscimento di un'apposita commissione. Insomma, a chi apre in Italia una scuola di danza fino al sei marzo non viene imposto il possesso di alcun diploma.

Comunque in Italia c'è un profondo senso artistico e un gusto per la danza. Il pubblico italiano è portato per il balletto, lo ama: occorrerebbe perciò incentivare una cultura in questa direzione per educare meglio alla comprensione della danza. Certi spettacoli di danza sia classica sia contemporanea vale la pena di proporli e di spiegarli. Lo stesso trittico Europa che ho inserito in questa stagione scaligera riveste una grande importanza ed è un'opportunità per il pubblico milanese, che non ha tantissime occasioni di vedere balletti di Preljocaj, di Godani e di Wheeldon.

Non dimentichiamo poi che delle più grandi ballerine e dei più grandi ballerini, una buona metà è italiana: c'è un'italiana all'inizio della danza, Maria Taglioni; poi cito Fracci, Ferri, Bolle, Murru… Be', ogni paese ha grandi nomi: in Francia ci sono Chauviré e Guillem. Quello che però intendo sottolineare è che l'Italia ha una tradizione. Purtroppo l'atteggiamento dei critici o dei politici è stato quello di mescolare tutto: danza classica e hip-hop, non sono la stessa cosa! Nelle conferenze stampa spesso evidenzio in modo chiaro che il balletto è un'arte esattamente come lo sono la musica e il cinema.

Lei prima mi ha chiesto quali mete mi prefiggo attraverso la programmazione della stagione scaligera. Innanzitutto va detto che sono legato ad un budget e ad un numero di recite, però quest'anno sono riuscito a forzare un po' le cose. Quando programmo desidero sopperire alle mancanze che - necessariamente - ci sono in ogni stagione, cercando di mantenere un importante equilibrio d'insieme. Per mancanze intendo le assenze di coreografi che, per il linguaggio che usano, educano il pubblico, portandolo a comprendere particolari aspetti della danza. Insomma: cerco di proporre uno stile coreografico che manca da anni, ma pure capolavori del Novecento assenti da parecchio tempo: lo scorso anno è stata la volta di The Cage di Robbins, poi si sono avvicendati Neumeier, Béjart, Petit, Kylián (Symphony of Psalms, che daremo a giugno, non veniva rappresentato da dieci anni) e anche autori dell'ultima generazione come Preljocaj, Godani e Wheeldon. Prendiamo Kylián: il suo stile coreografico rappresenta un legame tra la danza classica e quella contemporanea nel senso che permette di comprendere perché oggi si danza come si danza. Kylián parte da una base classica e vi imposta tutto un lavoro sul peso del corpo.

Kylián è infatti il geniale studioso dello "stamping ground" che gli permette di analizzare l'origine e la dinamica del movimento, senza mai, naturalmente, perdere di vista quei contenuti introspettivi e di ricerca sulla condizione umana che caratterizzano i suoi lavori.

Sì. L'aver inserito nella programmazione scaligera un lavoro di coreografo come Kylián mi permette di portare avanti il discorso di "educazione" degli appassionati di balletto nel senso illustrato prima.

Qual è il contributo che Lei ritiene di aver dato alla danza italiana, grazie al Suo ruolo di direttore artistico sia di MaggioDanza, il Balletto del Teatro Comunale di Firenze, sia del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala?

Penso, nel mio piccolo, di aver ridato credibilità al balletto italiano e a quello della Scala in particolare, dal punto di vista del riconoscimento. È infatti in quest'ottica che ho programmato moltissime tournée: la Scala è stata riconosciuta al pari di teatri stranieri come il Bolshoj. Inoltre ho puntato sulle promozioni dei ballerini: ho dato cinque nomine come primi ballerini e otto come solisti. Ho inteso queste promozioni sia come riconoscimento dei meriti sia come stimolo ed incentivo a rimanere in Italia: ho visto infatti tanti bravissimi ballerini andare all'estero! E i risultati degli stimoli e degli incentivi che ho voluto dare li misuro in termini numerici: coloro che si presentavano alle audizioni per entrare alla Scala prima erano una trentina, adesso siamo giunti a 250 aspiranti!

Ed ora veniamo al goloso trittico Europa, che dal 4 al 17 marzo sarà rappresentato al Teatro degli Arcimboldi: due prime nazionali, La Stravaganza di Angelin Preljocaj e Polyphonia di Christopher Wheeldon, e una prima assoluta, Contropotere di Jacopo Godani. Quanto è vitale, per una compagnia di balletto accademica, imparare nuovi linguaggi coreografici, soprattutto linguaggi di coreografi contemporanei?

È vitale nel senso che almeno un titolo contemporaneo in una stagione deve esserci poiché occorre aprire altre porte ai nostri ballerini facendo cambiare le loro abitudini di lavoro. Ci tengo che essi affrontino coreografi differenti non solo per il tipo di linguaggio usato o per le tematiche ma anche per l'atteggiamento caratteriale: c'è il creatore passionale che trasmette questa passione giungendo magari a spintonare il danzatore perché questi dia il meglio di sé; e c'è invece il coreografo intellettuale che si propone con grande calma al gruppo con cui lavora ottenendo, in maniera opposta, gli stessi ottimi risultati. Insomma, cambiare le abitudini dei ballerini significa farli crescere umanamente oltre che artisticamente. Quello che, però, non va mai perso di vista è il destinatario di tutto questo lavoro: il pubblico, che deve poter apprezzare ciò a cui assiste. È inutile avvalersi di un nome famoso se poi esso delude le aspettative: la sincerità del coreografo viene al primo posto.

"Velocità di esecuzione e una particolare dinamica risaltano e sono richieste per [la] produzione [di Preljocaj]", è stato detto. Un balletto virtuosistico, dunque, La Stravaganza? È possibile affermare che il virtuosismo - se di ciò si tratta - in Preljocaj è uso forzato o sforzato del corpo, per poter mettere a nudo l'essenza dell'essere umano violentato, sofferente, che cerca perennemente la sua metà nel tentativo di vincere la solitudine, insopprimibile presenza che lo accompagna per tutta la vita?

Questa domanda sarebbe certo interessante rivolgerla direttamente a Preljocaj. Le descrivo la sensazione che ho quando guardo le prove. In certi pezzi esiste la rabbia, la forza, la volontà di rompere le barriere. Io questo lo sento solo guardando. Ci sono due o tre pezzi velocissimi del gruppo Vermeer in cui l'occhio è legatissimo al movimento. È una specie di rabbia positiva…

Costruttiva?

Voilà! Costruttiva.

Senta, che posto occupa La Stravaganza nell'universo di violenza e di disincantamento di Preljocaj?

Sa, io non ho mai avvertito una sensazione di violenza. In Stravaganza c'è forza ma non violenza. In Casanova, in Médée forse sì, c'è violenza. Stravaganza è invece molto musicale e serena, soprattutto la parte Vivaldi: la parte Vermeer è molto forte e fa da contrapposizione alla parte Vivaldi.

Quale fil rouge programmatico leghi La Stravaganza a Contropotere, lo intuisco: in Preljocaj è il confronto di due epoche attraverso un atteggiamento non di osservatore ma di attore; in Godani, similmente, la non rassegnazione (quindi l'attivismo) porta al reinvestimento di un'energia capace di sostenere la lotta fino in fondo. Le chiedo: attraverso quale percorso il filo rosso giunge a Wheeldon? Forse è una volontà di, in certo qual modo, alleggerimento dei temi e degli stili coreografici che coinvolgono tanto intensamente lo spettatore, nei primi due pezzi del trittico?

Questi tre titoli li ho scelti per un motivo: voglio presentare al pubblico milanese una serata a base classica e mostrare come, da questa base, si diramano tre stili. Wheeldon lavora sulle punte, stile Balanchine, con rotture che ricordano Mats Ek ma anche Kylián. Preljocaj, invece, lavora molto sulla meccanica del corpo, sulla visione del movimento, presentando una serie di fotografie vere e proprie. Godani… non si ferma mai! È tutto movimento! Ogni parte del corpo è in movimento, nessuna esclusa. Più che il fil rouge programmatico, con le sue tematiche e i suoi contenuti, a me interessa evidenziare il fil rouge stilistico: si tratta di tre stili completamente diversi che, come ho detto, si diramano dallo stesso tronco.

Vorrei ricollegarmi alla domanda precedente per un approfondimento. Preljocaj, in un'intervista rilasciata un mese e mezzo prima della rappresentazione del suo Songe de Médée all'Opéra, disse: "L'enjeu est de mettre son corps dans un certain état, pour devenir soi-même ce que l'on interprète, pour en trouver le sens profond. Le danseur ne doit pas jouer. Il doit être la danse." E ancora: "Aujourd'hui, il y a deux planètes séparées: celle qui aborde la violence d'une manière virtuelle, et celle qui la vit au quotidien dans sa chair. Ceux qui regardent, et ceux qui subissent. J'ai voulu estomper la frontière." Quanto di questo non passivismo derivante dalla Weltanschauung preljocajiana possiamo ritrovare in Contropotere di Godani?

Be', lo stile di Godani è quello del movimento, quindi ritroviamo anche in lui uno sfumare i confini tra un atteggiamento passivo e uno attivo. E la musica stravinskiana, Les noces, si stende come due ali sulla coreografia di Godani: è una copertura fortissima, una cupola sul suo balletto.

Anche Kyliàn ha coreografato splendidamente Les noces.

Certo. Anche Preljocaj.

Oltre a Les noces, quali altre musiche stravinskiane sono state usate per il balletto di Godani?

Solo Les noces.

In un momento storico come quello che stiamo vivendo, dove la società si involve sempre più, nonostante le innegabili positività che il progresso ha portato, qual è il sapore profondo di un balletto come Contropotere? Ovvero: nella nostra società, che sembra sempre più spesso percorrere un cammino opposto a quello del buonsenso, fino a che grado possiamo considerare Contropotere come lo specchio in cui si riflettono le perplessità, le paure, le angosce, le speranze dell'uomo contemporaneo?

Devo dire che nelle prove ho percepito fortemente il movimento più che le tematiche.

Creare lavori calzanti allo stile dei danzatori scaligeri significa per Jacopo Godani un lanciarsi un'interessante sfida e per gli scaligeri un "giocare in casa"? Oppure la ratio è un'altra?

Jacopo è venuto e ha detto: "Io sono qua. Chi ha voglia di lavorare con me, resti." È un atteggiamento schietto, il suo, e anche da atteggiamenti come questi si rileva la sincerità del coreografo, di cui parlavamo prima. Ora venticinque persone sono impegnate nelle prove di Contropotere e Godani è contento di lavorare con un gruppo che contiene ballerine che giudica eccezionali. Venticinque è un numero consistente: si tratta di una piccola compagnia, e questa compagnia si è stretta intorno al coreografo e tutti sono molto affiatati. Come direttore artistico sono soddisfatto perché i ballerini rispondono molto bene al modo di lavorare di Jacopo, il quale non trattiene nulla per sé: i ballerini capiscono attraverso quale cammino il coreografo è giunto alla creazione del suo movimento, e se hanno capito il cammino, hanno capito il movimento stesso.

Godani ha studiato e lavorato con Béjart e con Forsythe. Quanto del loro stile possiamo ritrovare in Contropotere?

In Godani ritroviamo un po' di tutti e due...

Il tipo di "rotture" che crea Forsythe penso si possa ritrovare in Godani.

Be', sì. All'inizio (cinque anni fa) Godani era sicuramente più legato a Forsythe, mentre ora ha maturato uno stile che ha peculiarità proprie. Egli, l'ho sottolineato più volte, mira al movimento e lo analizza fino in fondo, cioè fino a giungere alla caduta. Il corpo è forte e, per contro, il movimento è lineare o tondo. Voglio dire che occorre forza e morbidezza per saper interpretare Godani, mentre per danzare Forsythe il corpo deve essere compatto.

Christopher Wheeldon, a cui fu chiesto di fare il punto sul balletto contemporaneo, rispose: "I guess modern dance and a lot of contemporary ballet feels a little soulless, a little cold. It's been stripped down so much to this angry physicality that it almost feels as if the poetry is being drained out of dance." Specificò poi, riferendosi a Polyphonia: "My aim with Polyphonia was to […] accentuate the strong physical presence in dance today, but then infuse it with a little bit of poetry, a little bit of tenderness, a little bit of human connection." Come si pone di fronte a queste affermazioni Frédéric Olivieri, che ritengo personalità illuminata nel dare il giusto rilievo alla danza contemporanea nella programmazione della stagione scaligera?

Polyphonia è difficile: è un balletto sulle punte, quindi sicuramente molto classico, ma ogni due tempi si passa dallo stile classico a quello contemporaneo. In questo senso Polyphonia è assai diverso dagli altri due del trittico ed è proprio dello stile di Wheeldon. Inoltre la musica di Ligeti obbliga le ballerine a contare.

È una serata eccezionale quella che viene proposta al pubblico milanese, sia per tutto ciò che ho spiegato fino ad ora sia perché gli spettatori si troveranno di fronte a tre personaggi non commerciali, ma veri, sinceri. La loro sincerità consiste nel dire: "Nel 2005 la nostra ricerca stilistica è giunta a questi risultati che vi proponiamo. Continuando il nostro cammino ci evolveremo, ma ora sono questi balletti a rappresentarci e questi vi proponiamo." Come direttore artistico ho avuto la chance di riunire i tre coreografi che hanno dato vita al trittico: si tratta di una grossa opportunità, ma anche di fare uno sforzo organizzativo perché ognuno di loro vuole lavorare con le ballerine migliori e fare prove in più per dare e far dare il meglio. Spero davvero di poter continuare su questa strada, nella programmazione dei cartelloni futuri, e di avere la possibilità di aprire le porte ad altri coreografi che meritano di ottenere un proprio spazio.