Teatro Massimo di Palermo: la vita artistica dal 1897 ad oggi ‑
seconda parte
Gli anni dal
1946 al 1973. 1
Gli anni dal
1974 al 1977. 3
La
sovrintendenza Mirabelli (1977-1995). 3
Il triennio
1995-1997. 4
L'inizio dei
lavori di restaurazione (1996). 4
La rinascita
(1997) e il 1998. 4
Gli anni dal
1999 al 2002. 5
Gli anni dal
2002 al 2005. 6
La stagione
2005/2006. 6
Prima parte ‑
seconda parte
Nella stagione 1946/1947, per il suo cinquantenario il
teatro ripropose il Falstaff (con protagonista Mariano Stabile), La
Gioconda e La Bohème della stagione inaugurale. Nel 1949 rimase
memorabile la prima volta a Palermo di Maria Callas (Brunhilde nella Walkiria)
e di Mario Del Monaco in Aida. Sotto la gestione Raccuglia, inoltre,
grande spazio venne dato al teatro musicale contemporaneo. Si allestirono, tra
gli altri, Resurrezione di Franco Alfano (1947), L’amore dei tre re
di Italo Montemezzi (1947), La monacella della fontana di Giuseppe Mulè
(1947), Fedra di Ildebrando Pizzetti e I quattro rusteghi
di Ermanno Wolf Ferrari (1948), Giuditta di Arthur Honegger (1951), Lucrezia
di Ottorino Respighi (1952), La medium ed Amelia al ballo di
Giancarlo Menotti (1952) e il Re Ruggero di Karol Szymanowski (su
bozzetti e figurini di Renato Guttuso) nel 1949, anno in cui venne inaugurato a
Palermo il XXIII Festival Internazionale di Musica Contemporanea. Sempre nello
stesso anno, il 5 febbraio, venne rappresentata la prima assoluta dell’opera Millesima
seconda di Giuseppe Savagnone diretta dall’autore. Dal 1949 al 1953 il
Teatro venne retto dal commissario straordinario Gaspare Cusenza fino alla
nomina di Simone Cuccia. Furono quelli gli anni della prima volta al Massimo di
artisti quali: Giacomo Lauri Volpi (Rigoletto 1950), Giuseppe Di Stefano
(Rigoletto 1952) e Renata Tebaldi (Mefistofele 1953).
Durante la gestione di Cuccia (1953-1957) il teatro si
dedicò al recupero di opere del passato cadute nell’oblio: I Capuleti e i
Montecchi di Bellini con Rosanna Carteri e Giulietta Simionato, direttore
Vittorio Gui (1954), prima rappresentazione nel nostro secolo e Il turco in
Italia di Rossini diretto da Gianandrea Gavazzeni (1954). Particolarmente
degni di nota il Parsifal di Richard Wagner diretto da Tullio Serafin e
interpretato da Ramon Vinay (1955) e Giovanna d’arco al rogo di
Honneger con la regia di Renzo Rossellini e protagonista Ingrid Bergman (1955)
oltre a due prime assolute: Il cappello di paglia di Firenze di Nino
Rota (21 aprile 1955) e Pantea di Michele Lizzi (14 aprile 1956).
Nel 1957 si insediò alla guida dell’Ente Leopoldo De Simone
il cui primo atto importante fu l’acquisizione di un nuovo spazio scenico per
l’estate: il Teatro di Verdura di Villa Castelnuovo che venne inaugurato con Otello
(protagonista Mario Del Monaco). La lunga gestione di De Simone - rimase in
carica fino al 1974 - si caratterizzò per le felici riprese di opere poco
rappresentate nel nostro secolo e ingiustamente cadute nell’oblio quali: Il
Pirata di Bellini (direttore Franco Capuana 1958), Beatrice di Tenda
(direttore Vittorio Gui 1959), Alceste di Gluck (direttore Lee Schaenen
con Leyla Gencer 1968), La Straniera di Bellini (direttore Nino Sanzogno
con Renata Scotto 1968), La Vestale di Spontini (direttore Fernando
Previtali e nuovamente protagonista Leyla Gencer), Il Governatore di
Logroscino (1970), L’étoile di Emanuel Chabrier, Elisabetta regina
d’Inghilterra di Rossini (direttore Gianandrea Gavazzeni, regia Mauro
Bolognini e sempre Leyla Gencer protagonista 1971), La muta di Portici
di Auber (1972). Accanto a questi recuperi, di gran rilievo furono la prima
esecuzione in forma scenica della Passione secondo San Matteo di Bach,
spettacolo ideato da Herberth Graf e diretto da Hermann Scherchen (1960), e L’Incoronazione
di Poppea di Monteverdi diretta da Lovro von Matacic (1968) nonché alcune
prime assolute quali Né tempo né luogo di Giuseppe Savagnone (7 marzo
1961 sul podio l’autore), Il diavolo in giardino di Franco Mannino (28
febbraio 1963: dirigeva l’autore con la prestigiosa regia di Luchino Visconti
che ne curò altresì le scene e i costumi insieme con Filippo Sanjust), L’amore
di Galatea di Michele Lizzi (12 marzo 1964 direttore Franco Capuana), Luisella
di Franco Mannino, diretta dall’autore con la regia di Giancarlo Sbragia (28
febbraio 1969), La visita meravigliosa di Nino Rota (6 febbraio 1970) e,
per finire, Il Gattopardo di Angelo Musco, diretto dall’autore che morì
improvvisamente un mese dopo l’andata in scena della sua opera che aveva
inaugurato la stagione 1967/68 il 19 dicembre 1967 con la regia di Luigi
Squarzina, le scene e i costumi di Pierluigi Pizzi e con protagonista Nicola
Rossi Lemeni nel ruolo del Principe di Salina.
Ampio spazio fu anche dedicato ad opere del 900. Ricordiamo
fra queste solo alcune: Oedipus Rex di Strawinsky (1958), Pelleas et
Melisande di Debussy (1960), Mayerling di Barbara Giuranna (1962), Assassinio
nella cattedrale (1962) e Ifigenia (1968) di Ildebrando Pizzetti, I
dialoghi delle carmelitane (1964) e La voix humaine (1969) di
Poulenc, Le campane (1964) e La leggenda del ritorno (1968) di
Renzo Rossellini, Wozzeck di Berg (1965), Volo di notte (1967) e
Il Prigioniero (1974) di Dallapiccola, Il Cordovano di Petrassi
(1969), Les malheurs d’Orphée di Milhaud (1969), La mano felice
di Schoenberg (1969), La sagra del signore della nave di Lizzi (1971), Sette
canzoni (1967) e il trittico Filomena e l’infatuato, Merlino
mastro d’organi, Uno dei dieci di Malipiero (1972).
Un altro filo ricorrente fu quello della presentazione del
repertorio russo: Ivan il terribile di Rimskij Korsakov (1959), Kovancina
di Mussorgskij (1963), Il principe Igor di Borodin (1967) e La sposa
venduta di Smetana (1967) nonché l’esecuzione della Tetralogia di Wagner
diretta da Lovro Von Matacic in due anni 1970 (Oro del Reno e Walchiria)
e 1971 (Sigfrido e Crepuscolo degli dei).
Furono quelli, come del resto in tutta Italia, gli anni
d’oro della lirica: un periodo particolarmente significativo per la grande
qualità degli interpreti. Le principali ugole del momento, infatti, sfilarono
in quegli anni al Teatro Massimo: Rosanna Carteri, Mirella Freni, Ilva Ligabue,
Anna Moffo, Antonietta Stella, Teresa Berganza, Fiorenza Cossotto, Fedora
Barbieri, Giulietta Simionato, Carlo Bergonzi, Franco Corelli, Giuseppe Di
Stefano, Mario Del Monaco, Sesto Bruscantini, Renato Bruson, Piero Cappuccilli,
Cesare Siepi, Ruggero Raimondi. Il Massimo fu anche luogo di scoperte di
artisti allora quasi esordienti come: Joan Sutherland, indimenticabile
interprete di Lucia di Lammermoor (1960) e I Puritani (1961),
Alfredo Kraus chiamato a sostituire dal secondo atto Mario Filippeschi nel Rigoletto
del 1957, Luciano Pavarotti nel Rigoletto del 1962.
Il Teatro Massimo scoprì, inoltre, in quegli anni la propria
vocazione internazionale partecipando a numerose tournées. Per tre anni di
seguito fu invitato al Festival di Wiesbaden (1960 Turandot e Falstaff
con Giuseppe Taddei e la regia di Franco Zeffirelli; 1961 Puritani e
Bohème rappresentate anche a Stoccarda; 1962 Otello (con Ilva
Ligabue, James Mc Cracker e Tito Gobbi, regia di Herberth Graf, direttore
Oliviero De Fabritiis) e Don Pasquale) e per due anni (1963 Don
Pasquale e 1965 Il matrimonio segreto 1965) a Schwetzingen. Nel 1962
fu a Parigi (Théatre des Champs Elysées) con Don Pasquale, Turandot
e Otello). Nel 1969 si recò a Dubrovnik (Simon Boccanegra, Don
Pasquale, Il barbiere di Siviglia) e nel 1972 al Festival di
Edimburgo con tre splendide produzioni: Attila (con, tra gli altri,
Ruggero Raimondi e Renato Bruson, direttore Giuseppe Patanè), La Straniera
(con Renata Scotto, direttore Nino Sanzogno, regia di Mauro Bolognini, scene e
costumi di Marcel Escoffier) ed Elisabetta regina d’Inghilterra (con
Leyla Gencer, direttore Nino Sanzogno, regia di Mauro Bolognini, scene e
costumi di Gaetano Pompa). Il Massimo ebbe anche l’onore di essere invitato a
Torre del Lago per il Festival pucciniano nel 1958 (Tosca con Giuseppe
Di Stefano, Antonietta Stella, Anselmo Colzani direttore Nino Sanzogno e Turandot
con Lucille Udovick, Flaviano Labò, Rosanna Carteri, Agostino Ferrin, direttore
De Fabritiis) e nel 1962 (Fanciulla del West con Antonietta Stella,
Giuseppe Di Stefano Anselmo Colzani, direttore sempre De Fabritiis, regia di
Enrico Frigerio e Bohème con Ilva Ligabue, Gianni Raimondi, Mariella
Adani, Rolando Panerai, direttore Luciano Rosada) nonché a Busseto (1963) dove
presentò Otello e Il Trovatore, entrambe dirette da Nino
Sanzogno.
Tra il 1974 e il 1977, il Teatro fu retto da Commissari
straordinari di nomina ministeriale (Pietro Cardia 1974-1976 e Alberto Mancini
1976-1977) fino alla ricostruzione degli organi amministrativi nell’agosto
1977, anno della nomina a sovrintendente di Ubaldo Mirabelli (direttore
artistico Girolamo Arrigo).
Nel frattempo, il 15 gennaio 1974, con l’esecuzione del Nabucco
in forma oratoriale veniva decretata la chiusura del teatro per inagibilità
legata alla normativa di sicurezza e la produzione degli spettacoli veniva
trasferita al Politeama Garibaldi. Questa chiusura, che doveva essere
momentanea, diventò invece definitiva poiché dovette passare oltre un ventennio
prima che il Massimo potesse tornare a vivere.
I primi anni di esilio al Politeama Garibaldi furono
comunque caratterizzati da alcune interessanti produzioni: Il Guarany di
Gomez e Armida di Gluck (1974), Cecchina o la buona figliola di
Piccini, Il prigioniero di Dalla piccola e Pubblicità ninfa gentile
di Negri e Ifigenia in Tauride di Gluck (1975), Il mulatto di
Meyerovitz e Lo zar si fa fotografare di Weill (1976), La carriera di
un libertino di Britten, Le docteur Miracle di Bizet e Monsieur
Choufleuri di Offenbach (1977).
Scena da La Rondine di Puccini (1986).
Foto Allotta Palermo
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La sovrintendenza Mirabelli (1977-1995)
La sovrintendenza Mirabelli (1977-1995), la più lunga nella
storia del Teatro Massimo, dovette affrontare anzitutto il problema del “teatro
senza teatro”. Da qui nacque una nuova linea di gestire l’attività che vide
l’Ente moltiplicare le iniziative nel territorio, proponendosi il teatro quale
soggetto attivo della diffusione del patrimonio musicale in centri tagliati
fuori dai normali circuiti e andando dalla gente per portare la gente in teatro.
Il pur glorioso Politeama non era, infatti, il Massimo ed il pubblico che
frequentava il teatro cominciò a cambiare. Il teatro si aprì alle scuole di
ogni ordine e grado, all’università, ai lavoratori, ai circoli culturali, ai
giovani ed agli anziani fino a puntare su 14 turni di abbonamento, di cui oltre
la metà a prezzi ridottissimi. Da fruitore del star-system, inoltre, il teatro
si trasformò in un vero e proprio talent-scout. Furono quelli, infatti, gli
anni del lancio di cantanti allora poco conosciuti ed oggi affermati in
carriera: da Leo Nucci a Luciana Serra, a Mariella Devia. Anche le stagioni
artistiche, che venivano accompagnate da un capillare lavoro di presentazione
delle produzioni nelle scuole, continuarono a proporre, oltre al repertorio
tradizionale, direttrici innovative e recuperi di opere desuete: Il turco in
Italia (1977), Otello con la regia di Sylvano Bussotti (1980), Tancredi
(1987) e L’occasione fa il ladro (1991) di Rossini, Les mamelles de
Tirésias di Poulenc e Porgy and Bess di Gershwin (1978), la novità
assoluta Hosanna di Barbara Giuranna (30 maggio 1978), Arlecchino
di Busoni e Il giro di vite (1979), L’opera del mendicante
(1980), Il sacrificio di Lucrezia (1983), L’arca di Noè (1994) e Peter
Grimes (1995) di Britten, Don Perlimplin di Rieti (1979) in prima
esecuzione in Italia, La favola del figlio cambiato di Malipiero (1980),
La Clemenza di Tito (1981) ed Idomeneo (1983) di Mozart, L’idiota
(1981) e Il mantello, Era proibito e Proceduta penale di
Chailly (1994), La donna serpente di Casella (1982), Il ritratto di
Dorian Gray di Mannino (1983), Il console di Menotti (1984), Alcina
di Haendel (1985), La Rondine di Puccini e La grande-duchesse de
Gérolstein di Offenbach (1986), Semirama di Respighi e Jonny
spielt auf di Krenek (1987), Die schhweigsame Frau di Strauss, Fedra
di Pizzetti, Le donne curiose di Wolf Ferrari, La belle Hèlène di
Offenbach (1988), La Wally di Catalani e Fra Diavolo di Auber
(1989), Le allegre comari di Windsor di Nicolai e Risurrezione di
Alfano (1990), Dafni di Mulè, Das Liebsverbot di Wagner e Il
Mikado di Sullivan (1991), La reginetta delle rose di Leoncavallo e Re
Ruggero Szymanowski (1992), Esclarmonde di Massenet, Oedipus Rex
di Strawinsky, Antigone di Honneger ed Eva di Lehar (1993) nonché
la prima assoluta di Alice di Giampaolo Testoni (30 aprile 1993), Roberto
Devereux di Donizetti, Didone ed Enea di Purcell, Il ballo delle
ingrate di Monteverdi (1994), Zaza di Leoncavallo e Der
Traumgörge di Zemlinsky (1995).
Nel solco degli anni precedenti ampio spazio ebbero ancora
le rappresentazioni di opere russe: L’Angelo di fuoco (1978) e Guerra
e Pace (1986) di Prokofiev, La dama di picche di Ciaikowsky (1984), Boris
Godunov di Mussorgsky (1987), Il Naso di Shostakovich (1989), Il
Gallo d’oro (1990) e Sadko (1993) di Rimskij Korsakov, Il
principe Igor di Borodin (1992), Russlan e Ludmilla di Glinka
(1994).
Interessanti novità della sovrintendenza Mirabelli furono,
infine, a partire dal 1980 il Festival dell’Opera Giocosa, che trovò
spazio nella pittoresca cornice del Baglio di Scopello, al Castello di S.Nicola
a Trabia ed a Castellammare del Golfo e che portò in giro per il territorio
della Sicilia Occidentali operine del Seicento e Settecento tra le quali: Lesbina
e Adolfo inedito di Alessandro Scarlatti (1986), ed il ciclo Orizzonti
barocchi dedicato alla conoscenza di opere del periodo barocco.
Dopo le dimissioni di Mirabelli, nel marzo del 1995 venne
nominato Commissario Straordinario dell’Ente Attilio Orlando (direttore artistico
Marco Betta) che nel 1996, a seguito della trasformazione degli enti lirici in
fondazioni, venne poi nominato Sovrintendente.
Durante la gestione Attilio Orlando si potè assistere a
spettacoli come Angelique di Ibert, Il castello del principe Barbablù
di Bartok, Orfeo ed Euridice di Gluck e Pollicino di Henze
(1996), Agrippina di Haendel, Orfeo all’inferno di Offenbach e Romeo
et Juliette di Gounod (1997), La lupa di Tutino (1998).
Intanto, chiusi i contenziosi che negli anni era sorti, nel
1996 iniziarono, finalmente, i lavori di ristrutturazione del Teatro Massimo,
ai quali parteciparono con grande entusiasmo e passione imprese e persone
lavorando incessantemente con l’obiettivo di riaprire il prima possibile il
teatro.
Il 12 maggio 1997, un secolo dopo la sua inaugurazione, il
Massimo riuscì, grazie allo sforzo di tutti, a celebrare la sua rinascita.
Anche se i lavori erano ancora in corso (erano fruibili solo la platea e i
primi due ordini di palchi), il teatro venne riaperto con un concerto
dell’Orchestra e del Coro della Fondazione diretto da Franco Mannino e dai
Berliner Philarmoniker diretti da Claudio Abbado. Il centenario (16 maggio) fu
festeggiato con l’esecuzione della Seconda sinfonia di Malher diretta da
John Neschling. Fino alla fine dell’anno il Massimo fu fruibile per una
stagione di concerti, mentre l’inizio della stagione 1998 si svolse
regolarmente al Politeama Garibaldi. Nel teatro principale intanto fervevano i
lavori per vincere la scommessa con il tempo ma anche stavolta la mobilitazione
fu incredibile. Molte imprese e associazioni di artigiani si offrirono,
infatti, praticamente a titolo gratuito per ultimare i lavori di restauro ed il
22 aprile 1998 la lirica ritornò al Massimo per la gioia dei palermitani e dei
lavoratori del teatro che si riappropriavano della propria “casa”. In quella
mini stagione che durò fino ai primi di giugno furono rappresentate: Aida,
Rosenkavalier e Tannhauser. Da quell’anno in poi tutta la
produzione della Fondazione ricominciò ad effettuarsi nel teatro ritrovato.
Nella stagione 1999 furono eseguite alcune rarità come Le
Martyre de Saint Sebastian di Debussy e Alahor in Granata di
Donizetti, opera questa che ebbe la sua prima rappresentazione al Teatro
Carolino di Palermo nel 1826, e sempre in quell’anno venivano
istituzionalizzati il Coro di Voci Bianche e i Piccoli Danzatori, due organismi
di giovanissimi sui quali la Fondazione aveva scelto di investire già da alcuni
anni. Nel frattempo si chiudeva l’esperienza della sovrintendenza di Attilio
Orlando, che si dimetteva nell’aprile 1999, ed iniziava la gestione Francesco
Giambrone (direttore artistico sempre Marco Betta).
Con Giambrone il teatro intensificava gli sforzi per il
proprio riposizionamento nel panorama internazionale attraverso la
predisposizione di nuovi allestimenti e progetti di coproduzione di alto
livello tra i quali quello triennale con il Teatro del Maggio Musicale
Fiorentino dedicato alle celebrazioni verdiane (Rigoletto nel 2001 con
la regia di Graham Vick, scene e costumi di Paul Brown, Trovatore rappresentato
nel 2002 con regia, scene e costumi di Pierluigi Pizzi e l’ulteriore
coproduzione con il Teatro Real di Madrid e il Gran Teatre del Liceu di Barcellona;
Macbeth con la regia di Eimountas Nekrosius 2003: queste ultime due
opere rappresentate successivamente ma programmate durante la sua gestione). Il
teatro, inoltre, propose nel 2001 una bella edizione dei Masnadieri con
la regia, scene e costumi di Pier’Alli. Altre interessanti coproduzioni furono
quelle con il Teatro dell’Opera di Roma per Lady in the Dark di Weill
(2001) e con il Festival Les Chorégie d’Orange, il Teatro Colon di Buenos Aires
e l’Opéra de Marseille per Les comtes d’Hoffmann del 2002 per la regia
di Jérôme Savary. In quel magico periodo il pubblico potè assistere a: Erwartung
di Schoenberg (2000), Lulu di Berg (regia Mario Martone, scene di Sergio
Tramonti e costumi di Guido Crepax) nel 2001, Die Zauberflôte di Mozart
(uno splendido allestimento del teatro con la regia di Roberto Andò, scene di
Giovanni Carluccio e costumi di Nina Cecchi) sempre nel 2001. Nel 2002 fu la
volta di Don Giovanni di Mozart con la regia di Maurizio Scaparro, scene
di Emanuele Luzzati e costumi di Santuzza Calì, Moses und Aron di
Schoeberg (regia, scene e costumi di Denis Krief, La memoria dell’offesa:
un trittico con Der Kaiser von Atlantis di Viktor Ullmann, Kindertotenlieder
di Gustav Mahler e A survivor from Warsaw di Arnold Schoeberg, dedicato
alle vittime dell’Olocausto. Infine, programmate da Giambrone furono le opere: Ellis
Island di Giovanni Sollima con Elisa protagonista, rappresentata in prima
assoluta con grande successo nell’ottobre 2002 e Jeanne d’Arc aux bûcher
di Honneger (2003) entrambe messe in scena quando già era terminata la sua
sovrintendenza.
Fu comunque quello un periodo di grande fermento che vide la
Fondazione moltiplicare le sue iniziative culturali e aprire le porte ai
giovani e ai visitatori di tutto il mondo in un teatro definitivamente
restituito alla Città. Seppur breve il periodo Giambrone fu un periodo
bellissimo ed emozionante che vide, inoltre, un aumento significativo della
produzione e del pubblico, la rivalutazione e riqualificazione delle risorse
interne (laboratori, complessi artistici e tecnici e riorganizzazione dello
staff), la valorizzazione del Coro di Voci Bianche e dei Piccoli Danzatori
particolarmente attivi e impegnati negli spettacoli della Fondazione, la lotta
per la riapertura di tutti i teatri chiusi, la nuova strutturazione degli
spettacoli all’aperto con l’ideazione del Festival di Verdura aperto a
diversificati eventi artistici di grande livello, un’attenzione rinnovata verso
la danza, il ripensamento dell’attività promozionale delle masse artistiche, la
creazione del polo scientifico-museale e la pubblicazione della rivista di
culture musicali Avidi Lumi in tre lingue, una delle quali in arabo, la
prima trasferta all’estero dell’Orchestra, dopo 28 anni, ad Hannover nel 2000 e
sempre dell’Orchestra e del Coro diretti da Zubin Mehta nel 2001 all’Accademia
di Santa Cecilia, il potenziamento del progetto dedicato a Scarlatti, del
progetto sul barocco e di Opera-Laboratorio, le miriadi di iniziative dedicate
alla danza tra seminari, pubblicazioni e videorassegne, il potenziamento del
marketing culturale attraverso iniziative e l’utilizzo di nuovi e più
efficienti canali di comunicazione con il pubblico. Tutto questo servì a
rinsaldare ancora di più il rapporto tra i cittadini ed il proprio teatro ed ad
attirare l’attenzione di stampa e di addetti ai lavori consentendo al Massimo
di riappropriarsi del suo ruolo culturale ma anche di riconquistare il posto
lasciato vacante tra i più importanti teatri nazionali ed internazionali.
Terminata l’esperienza Giambrone, iniziava, nel luglio 2002,
un nuovo periodo legato alla nomina di Claudio Desderi sovrintendente
(direttore artistico Roberto Pagano). Ma qui siamo quasi già al presente. Dopo
alcune belle produzioni, Ellis Island e Jeanne d’Arc au bûcher, Trovatore
e Macbeth già citate, troviamo, tra le altre proposte, anche una
preziosa Lakmè di Delibes con Desirée Rancatore, La pulzelle
d’Orleans di Ciakowsky con Mirella Freni, Hansel e Grethel di
Humperdinck nel 2003. Dopo le dimissioni di Desderi, avvenute nell’ottobre
2003, venne nominato, nel mese di dicembre 1003, sovrintendente Pietro
Carriglio, già direttore del Teatro Stabile Biondo di Palermo. Anche questa
sovrintendenza (direttore artistico Piero Bellugi) durava pochi mesi: il tempo
di assistere, tra gli altri, ad una pregevole Luisa Miller con un nuovo
allestimento firmato Puggelli-Spinatelli, Der Fliegende Holländer di
Wagner (nuovo allestimento di Giovanni Carluccio e Nanà Cecchi con la regia di
Roberto Andò), una deliziosa Serva padrona di Pergolesi e a Dannata
epicurea, opera in prima esecuzione assoluta, di Matteo D’Amico che
riapriva dopo tantissimi anni l’antico Teatro Bellini di Palermo alla lirica.
Dal mese di dicembre 2004 è sovrintendente del Massimo
Antonio Cognata. Del 2005, stagione già programmata dal precedente
sovrintendente, ricordiamo Pelleas et Melisande di Debussy e Salomè
diretta da Gabriele Ferro, con un nuovo allestimento di Paolo Tommasi e regia
di Antonio Calenda. Fanno, invece, parte della nuova gestione: Persée e
Adromède di Ibert insieme con il Castello del principe Barbablù di
Bartok e l’operetta estiva Al Cavallino bianco di Benatzki.
Intanto, il pubblico di Palermo guarda già con grande
interesse alla nuova stagione 2005/2006, firmata Antonio Cognata-Lorenzo
Mariani (direttore artistico), dedicata ai “Nuovi mondi”, che si inaugura il 12
novembre 2005 con il Re Ruggero di Szymanowki.
La vita artistica del Massimo, dunque, prosegue. Sono
passati cento e più anni di splendore e di sconforto, di vittoria e di
sconfitta, come nella comune esistenza di ciascuno di noi. Per certi versi, il
Massimo per il cittadino palermitano, ha il volto della Città dove
alternativamente si incrociano periodi di decadenza e di crescita ma è anche
una casa accogliente ed è soprattutto il simbolo tangibile della crescita
culturale della collettività cittadina. È bello pensare quante cose siano
mutate in tutti questi anni, quante persone si siano prodigate perché il Teatro
sia oggi vivo e produttivo ed è forte da parte di tutti (lavoratori e
cittadini) l’impegno di vigilare e di non permettere più che possa abbattersi
ancora l’affronto di una chiusura vergognosa durata oltre vent'anni.
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