Nuovi scenari della comunicazione: parla il giornalismo costruttivo

Intervista a Martina Fragale, Silvio Malvolti e Alessia Marsigalia

Appena uscito il loro libro

 

L'atteggiamento verso la notizia: dal fossilizzarsi nel "non c'è niente da fare" al rilassarsi nel "sembrava insuperabile, invece ce l'abbiamo fatta" all'agire con "c’è sempre qualcosa che si può fare". Questo, in estrema sintesi, il cammino che ha portato al giornalismo costruttivo.

Tre professionisti del settore hanno sviscerato l'argomento nel loro libro, fresco di stampa, Giornalismo costruttivo. Cos'è, come funziona e perché è necessario. E hanno accettato l'invito di Morfoedro a parlarne attraverso un'intervista.

16 febbraio 2020

 

Il libro di Martina Fragale, Silvio Malvolti e Alessia Marsigalia.

Giornalismo positivo, giornalismo costruttivo, giornalismo d'inchiesta… Vogliamo fare un po’ di chiarezza sui diversi generi?

FRAGALE: In realtà non si tratta di tre rami opposti ma distinti. E in stretta relazione fra di loro. Il giornalismo costruttivo è una realtà complessa, che ha nel suo DNA tanto il giornalismo d’inchiesta quanto il giornalismo positivo. Non equivale a nessuno dei due ma ne è, piuttosto la sintesi, con l’aggiunta di altri fattori. Quando parliamo del giornalismo d’inchiesta, viene automatico mettere a fuoco un modo molto oppositivo di affrontare l’informazione: penso al caso Watergate, ovviamente ma anche a tante tipologie più attuali o nostrane. Quello che sta facendo Paolo Borrometi con "La Spia" rispetto al tema delle infiltrazioni mafiose, per esempio. Ecco, rispetto a questa chiave di lettura, il giornalismo costruttivo è giornalismo d’inchiesta (nel senso di scavo, indagine verticale basata sull’uso scrupoloso di dati e di fonti dirette) che orienta il focus dell’indagine in modo diverso e anche su altri aspetti. Su ciò che funziona e non viene raccontato, per esempio. O su ciò che non funziona, ma raccontandolo il modo differente: o meglio, in base ad altre domande.

Questo per quanto riguarda il rapporto tra giornalismo costruttivo e giornalismo d’inchiesta. Qual è, invece, la differenza fra giornalismo positivo e giornalismo costruttivo?

Martina Fragale.

© Foto Denis Vullo.

FRAGALE: La differenza sta sia nei contenuti sia nel modo di trattarli. Per quanto riguarda i contenuti, il giornalismo positivo si concentra solo e soltanto sulle "buone notizie" mentre il giornalismo costruttivo include tanto le buone quanto le cattive notizie che però – in entrambi i casi – vengono trattate secondo modalità diverse sia rispetto a quelle del giornalismo positivo sia rispetto a quelle del giornalismo (diciamo) catastrofista. Rispetto alle buone notizie, per esempio, mentre il giornalismo positivo accende i riflettori sul protagonista della storia, il giornalismo costruttivo si concentra sullo scenario e su tutto il complesso sistema di cause ed effetti che possono rendere quella storia "utile", cioè replicabile in contesti diversi.

Giornalismo costruttivo: di che cosa si tratta quindi?

MALVOLTI: Siamo sempre più bombardati da notizie che ci mettono in un continuo stato d’allarme. Dalle sigle inquietanti dei telegiornali ai titoli strillati come se non ci fosse un domani, dalle notizie gonfiate alle fake news, tutto contribuisce a farci percepire la realtà come peggiore di quello che spesso realmente è. Il giornalismo costruttivo è un approccio che innanzitutto evita di caricare inutilmente le notizie di messaggi ansiogeni, ma, al contrario, cerca di descrivere i fatti allargando lo sguardo per consentire ai lettori di comprendere meglio i problemi, analizzando anche le possibili soluzioni. È un approccio sempre più utilizzato, specialmente nel nord Europa, dove si è sviluppato maggiormente portando grandi benefici sia ai lettori che agli editori, che hanno potuto recuperare l’audience persa in tanti anni di cattiva informazione.

E di che cosa non si tratta?

MALVOLTI: Il giornalismo costruttivo non è né una moda di passaggio, né un giornalismo di serie B. Anzi, se volessimo dargli una definizione, è ciò che dovrebbe essere il giornalismo in generale, quando non contravviene alle più elementari regole deontologiche.

Dove ha avuto i natali?

FRAGALE: In nord Europa. In Danimarca, una delle prime società di media che ha raccolto la sfida è stata la televisione di Stato. Idem per quanto riguarda la Svezia, dove le teste di ponte sono state degli enti pubblici: la compagnia televisiva di Stato e l’emittente radiofonica statale. Notevoli sviluppi, ci sono stati anche in Olanda. L’altro grande polo di diffusione, è rappresentato dagli Stati Uniti dove il Solutions Journalism viene portato avanti nelle rubriche di grandi testate come il New York Times. In tutti questi casi, come vedi, non si tratta di un fenomeno di nicchia propugnato da piccole testate o micro associazioni. A livello europeo, possiamo dire che c’è un vero e proprio spartiacque tra nord e sud. Con l’eccezione della Francia, dove è attiva dal 2004 una realtà sui generis come Reporters d’Espoir, che non è né una testata né una compagnia ma una rete di professionisti dell’informazione che comprende molti giornalisti legati a grandi testate nazionali.

Qual è l’impatto del giornalismo costruttivo sulla società? E sul singolo individuo?

MARSIGALIA: Mi piace sempre usare un esempio. Quando noi diciamo a qualcuno "c’è un problema." la mente si ferma e si spaventa. Quando aggiungiamo "c’è un problema, ma..." la mente si attiva. Se poi proponiamo un’alternativa ("c’è un problema, ma possiamo fare...") non solo la mente si attiva ma si prepara anche all’azione. Questo è ciò a cui tende il giornalismo costruttivo: portare all’azione, smuovere, far vedere le soluzioni e – partendo dal singolo individuo, per poi arrivare alla collettività – agire per innescare un cambiamento. Senza contare che il "costruire" è contagioso e quindi notizie poste in questi termini hanno maggior potenziale di coinvolgere ed essere condivise, con un beneficio naturale anche per chi le pubblica.

In Italia qual è lo stato di salute del giornalismo in generale, a vostro avviso?

Silvio Malvolti.

© Foto Jaime Londono.

MALVOLTI: In Italia l’approccio al giornalismo costruttivo è qualcosa di tendenzialmente molto sottovalutato, sia a causa delle pessime condizioni in cui versa l’intero mondo editoriale, sia a causa di abitudini culturali difficili da sradicare, come la falsa credenza che se una notizia non è cattiva, non è davvero una notizia, o per via della confusione tra buone notizie (fini a se stesse) e giornalismo costruttivo vero e proprio. Purtroppo la tendenza degli editori nostrani è poco orientata all’innovazione e alla sperimentazione. Si preferisce un lento e costante declino piuttosto che rischiare per innovare qualcosa. È un atteggiamento di retroguardia che di certo non premia.

E lo stato di salute del giornalismo costruttivo?

MARSIGALIA: Siamo ancora agli albori, ma questo non deve scoraggiare, anzi. Significa che si sono messi dei semi che però necessitano della collaborazione di tutti per germogliare. A partire dagli editori, che dovrebbero imparare a voler fare la differenza puntando sulla qualità, ai giornalisti che dovrebbero scostarsi dalla massa di voci omologate che gridano e spaventano, fino alle scuole di giornalismo che, proprio pensando al futuro e ai giornalisti che verranno, dovrebbero vedere le tecniche del giornalismo costruttivo come necessarie per tornare a recuperare un rapporto con i lettori. Non saranno moltissimi, certo, ma – ad oggi – ci sono ottimi esempi di giornalismo costruttivo anche in Italia, così come ci sono giornali che lo praticano ( mi riferisco ai valori che hanno alla base). Renderlo uno standard è il vero obiettivo.

Perché in Italia il giornalismo costruttivo fa fatica a prendere piede?

Alessia Marsigalia.

© Foto Alessio Guitti.

MARSIGALIA: Perché non fa parte della nostra cultura che tende all’estrema drammatizzazione. L’abitudine a leggere le notizie costruite in un modo, non ci dà l’alternativa a volerle in un altro. Oltre a questo, la stessa professione giornalistica (sempre più precaria e spesso sottomessa al click) fatica ad evolversi in questa direzione perché "c’è poco tempo, bisogna arrivare per primi, la notizia va data e punto". Ma questo è un ecosistema destinato a morire, perché se non si alimentano le possibilità, i lettori resteranno impassibili e si stancheranno.

Possiamo parlare, con il giornalismo costruttivo, di educazione dei lettori? O è più proficuo parlare di coinvolgimento degli stessi?

MARSIGALIA: Una lezione si impara se viene spiegata e più volte ripetuta. I lettori si educano con la trasparenza, con la costanza, a un modo di scrittura che volga al costruttivo. Il coinvolgimento ne sarà la conseguenza naturale.

Di che tipo di coinvolgimento di tratta?

MARSIGALIA: Si tratta di azione. Pura e semplice. Di condivisione, di solidarietà, di un collettivo "sì possiamo/ sì possiamo fare", perché un’alternativa esiste sempre, anzi ne esistono diverse. Si tratta di una maggior consapevolezza di ciò che ci circonda, dei fatti che accadono, di come le storie si sviluppano e di capire come certi problemi insormontabili hanno nel tempo favorito la nascita di soluzioni. Si tratta di ritrovare fiducia negli attori della comunicazione e di sentirsi coinvolti in ciò che scoprono, indagano, trovano. Si tratta di ampliare la visuale avendo uno sguardo più completo sulla realtà, comprendendo che la realtà non è questo mondo crudele e orribile che pensiamo e che se anche (come in certi casi si mostra) lo fosse, ci sono lo spazio e la volontà di cambiarlo.

Possiamo fare l’esempio di un’unica notizia "lavorata" da tre punti di vista? Ovvero come buona notizia, come cattiva notizia spettacolarizzata, come cattiva notizia comunicata secondo i criteri del giornalismo costruttivo?

FRAGALE: "Super sedentari e bevono troppo alcol: fotografia degli adolescenti di oggi", "Alcol ogni giorno per il 21% degli Italiani. Si comincia a 11 anni". Ti ho citato giusto qualche titolo. Ora, come tratterebbe il tema il giornalismo positivo? Raccontando la storia di una persona che ce l’ha fatta a uscire dall’alcolismo e che magari ha trovato il modo di mettere a frutto la sua esperienza aiutando gli altri. Come affronterebbe il tema, il giornalismo costruttivo? Magari utilizzando la stessa "bella storia", ma solo come spunto. Il nucleo dell’articolo si concentrerebbe invece su altri fattori. Primo: su un’analisi scrupolosa dei dati Istat, che in realtà sono molto meno monolitici e catastrofici. Secondo: l’articolo metterebbe in evidenza le macro risposte che in altri paesi hanno rappresentato una soluzione al problema. In Islanda, per esempio, nel 1998 è stato messo a punto un programma governativo ("Youth in Iceland", poi "Planet Youth") grazie a cui nel corso di 18 anni la percentuale di giovani che abusavano di alcolici è crollata dal 48% al 5%. Il successo ha fatto sì che il modello islandese venisse riproposto e replicato in altri ambiti: in Australia, in Canada, in Cile ecc. Il punto – ed è qui che vediamo l’importanza del tema dell’ "impatto" per il giornalismo costruttivo – sarebbe quindi indagare queste esperienze e diffonderle in modo tale da generare altre domande "utili" sul piano dell’azione concreta. Del tipo: il programma è applicabile o è stato applicato anche in Italia? Se sì, come? Che risultati ha portato? Che criticità ha incontrato, strada facendo?

Che cosa può fare chi vuole studiare il giornalismo costruttivo?

MALVOLTI: In Italia non è ancora oggetto di studio, nemmeno nei master di giornalismo. L’unica offerta formativa si trova all’estero presso le università nord-europee, oppure negli Stati Uniti. Da noi c’è solo un’eccezione: l’Associazione Italiana Giornalismo Costruttivo che organizza, anche in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, corsi specifici sul giornalismo costruttivo. Ad aprile inizierà inoltre un percorso specifico per gli aspiranti pubblicisti, che saranno i giornalisti di domani, per insegnare loro le basi del giornalismo, tra cui il giornalismo costruttivo e tutte le competenze necessarie per svolgere seriamente la professione, comprese le competenze digitali. Il percorso prevede anche uno stage garantito e retribuito, e delle borse di studio per i più meritevoli.

Quali sono gli ostacoli e le prospettive per un giornalista "tradizionale" che vuole diventare costruttivo?

MALVOLTI: Non ci sono ostacoli, se non i limiti che ciascun individuo si pone: la formazione e l’accrescimento delle proprie capacità dovrebbero essere parte essenziale della crescita di ciascun professionista. A volte la pigrizia e la routine prendono il sopravvento, facendo dimenticare ai giornalisti i veri motivi per cui ai loro inizi hanno deciso di intraprendere questa professione. Sono certo che se si dessero l’opportunità di approfondire di cosa tratta il giornalismo costruttivo, tornerebbero, in molti di loro, l’entusiasmo e la voglia di fare che avevano all’inizio della loro carriera. Ai nostri corsi molte persone ci hanno ringraziato per aver fatto riscoprire quei valori e quella missione che avevano sentito così fortemente alle loro prime esperienze da redattori. Oggi, chi desidera approfondire e specializzarsi nel giornalismo costruttivo ha innanzitutto l’opportunità di ritrovare il significato della sua professione. E (considerando che questo modo di fare giornalismo è ancora agli albori nel nostro Paese) di diventare tra i primi punti di riferimento per i lettori, che non aspettano altro che di leggere notizie meno ansiogene di quelle che vengono spacciate oggi senza una vera alternativa.