Ascoltando i ricordi di una vita trascorsa nella musica. Intervista al
violinista scaligero Armando Burattin
9 settembre 2004
Il M° Armando Burattin, nato all'antivigilia natalizia del 1920, ha
accettato di rilasciarmi un'intervista, incentrata su alcuni fra i suoi
numerosi ricordi, con l'entusiasmo e la vitalità che lo caratterizzano.
Peculiarità, queste, che hanno reso affascinante e ‑ per vero ‑ un
poco difficile la conduzione dell'intervista: il Maestro è stato infatti così
generoso di particolari d'ogni tipo, che ho necessariamente dovuto operare una
sintesi.
Maestro, comincerei chiedendoLe di
raccontarci la Sua formazione.
Mi sono diplomato sia in violino sia in viola con il M° Eros Pasello al Conservatorio
di Padova, con il massimo dei voti. Ho svolto attività come solista di violino,
viola e viola d'amore e ho tenuto concerti in tutta Italia non solo come
solista ma anche in duo con Antonio Beltrami. Ho inciso con l'Orchestra dell'Angelicum e con i "Solisti veneti" e ho
collaborato con la RAI e la Radio Svizzera. Ho fatto parte di vari complessi
tra cui "I solisti di Milano" e "I solisti della Scala"; ho
anche fatto parte de "Il quartetto della Scala". Prima di andare alla
Scala, ho lavorato per tre anni e mezzo (dal 1946 al 1948) alla Fenice, dove avevo
vinto il concorso per viola; alla Scala sono stato vincitore del concorso
internazionale di prima viola, ruolo che ho occupato fino a circa l'anno 2000
anche nella Filarmonica. Ho inoltre tenuto corsi di perfezionamento di musica
da camera in Italia e all'estero e per anni ho insegnato viola e violino alla
Scuola Civica di Milano.
Attualmente collaboro con Riccardo Muti tenendo corsi di
perfezionamento all'Accademia della Filarmonica della Scala e proprio qualche
giorno fa sono stato in commissione del concorso per viole di fila.
Lei ha suonato con i più grandi direttori d'orchestra. Guardo
sempre con piacere le registrazioni dei concerti storici sulla terza rete
televisiva e devo ammettere che mi lascio prendere da una certa commozione
quando La vedo inquadrata dalla telecamera.
Ho suonato davvero tanto! Come solista ‑ Glielo dicevo
prima ‑, in opere liriche, in concerti sinfonici e in balletti.
Tra i grandi direttori vorrei citare Arturo Toscanini. Fu
nel 1898 che cominciò a collaborare con la Scala. Dopo dieci anni fu chiamato
al Metropolitan. Rientrò in Italia nel 1915 e
riorganizzò l'orchestra scaligera al termine della guerra. Alla fine degli anni
Venti divenne direttore stabile della Filarmonica di New York (direttore
stabile della Scala, invece, era a quel tempo Victor De Sabata).
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale Toscanini venne presso il grande teatro
milanese per il concerto d’inaugurazione.
Maestro, è nota la Sua memoria formidabile. Un Suo collega
scaligero mi dice spesso che Lei non si dimentica facilmente le date (anche
quelle riguardanti fatti importanti accaduti avanti la Sua nascita) e che si
rammenta perfettamente dei cantanti che si sono esibiti nelle opere in cui Lei
suonava con l'orchestra e degli artisti con cui è venuto a contatto.
Sa, cerco di tenere esercitata la memoria.
Dicevo che, alla morte di Toscanini (il quale, anche se era
anziano, faceva progetti per due-tre anni a venire),
fu De Sabata che ci diresse, quando suonammo la Marcia funebre dalla Terza sinfonia di Beethoven: la bara del
Maestro era sotto il portico del teatro. È una cosa indimenticabile.
Ho suonato con De Sabata, dunque,
con lo stesso Toscanini, e poi ‑ tra gli altri ‑ con Karajan,
Walter, Furtwängler, Bernstein, Guarnieri,
Abbado, Muti, Mitropulos. Quest'ultimo morì sul podio
della Scala mentre dirigeva la prova di una sinfonia di Malher.
Cadendo ruppe l'archetto ad un violinista.
Adesso vorrei raccontarLe un
piccolo aneddoto che mi rende caro Toscanini.
Desideravo avere una sua foto con dedica. Gli chiesi: "Maestro,
mi può dare una sua fotografia?" Egli si rivolse alla figlia Wally, che in
quel momento era con lui, per domandarle: "Abbiamo a casa una foto da dare
al professore?" Ella rispose: "Sì, quella di cui abbiamo fatto le
cartoline." Ma io ne volevo un'altra che avevo visto e che mi piaceva
molto: quella dove Toscanini stava con la bacchetta appoggiata alle labbra. Con
un po' di sfrontatezza glielo dissi. Il direttore mi promise la foto ed infatti
me la spedì dall'America con la dedica: "Ad Armando Burattin
la simpatia di Arturo Toscanini". Fu una gioia quando la ricevetti, come
può ben immaginare.
Lei può vantare un vissuto assai ricco, avendo avuto svariate
esperienze ed essendo venuto a contatto con tantissimi artisti, appartenenti
non solo al campo musicale, ma anche a quello delle arti figurative, della
scrittura, della danza. Ebbe ad esempio una volta ad accennarmi dei Suoi
incontri con Soffici e con Papini; e con Nicola Benois,
bozzettista alla Scala. Mi raccontò di Suo cugino pittore, allievo di Carena, e
dei diverbi di quello con De Chirico. Mi parlò anche della Sua conoscenza con
George Balanchine (un coreografo di cui apprezzo i
calibrati geometrismi) e con il geniale Sergej Diaghilev. Mi disse di Rudolof Nureyev che s’era molto chiuso negli ultimi
tempi...
Sì, e se ne stava spesso con la testa quasi nascosta nella
giacca.
Ricordo anche di averLe raccontato
di quando Accardo, ad Edimburgo, mi consegnò lo Stradivari di Paganini, con il
magnifico capotasto in avorio: quel violino sembrava uscito dalle mani di
Paganini stesso un momento prima! Mi emozionai profondamente.
Tra le esperienze maturate in campo non musicale citerò la
guerra cui ho partecipato come infermiere. Ci ho sempre tenuto, sa, ad imparare
il più possibile dai medici e mi ritengo fortunato che essi mi abbiano
accontentato: mi dicevano che mi davano volentieri le spiegazioni che chiedevo,
perché mi definivano "uno che ha le orecchie aperte".
Secondo Lei si può parlare del più grande violinista in
assoluto?
Ognuno ha i suoi punti di forza. E poi i bravi violinisti
fioriscono come le rose. Prenda i russi, ad esempio. Un grandissimo di questa
epoca è David Ojstrach. Anche Kogan
è un grande. E Perlman. Fra gli italiani ci sono
Accardo e Ughi.
Tra i grandi violinisti del passato ricordo anche Stern, Přihoda, Enescu, Polyakin…
Pensi che al pianista di Přihoda,
Otto Gräf, ho girato le pagine in un concerto, quando
avevo quindici anni: studiavo al conservatorio di Padova. A Stern, invece, ho
girato le pagine quando ero alla Scala, così come ad Enescu.
Stern è un grande: è per questo che ci ho tenuto a regalarLe una cassetta con le sue interpretazioni.
Un suo giudizio su Zino Francescatti, violinista dalla cui sensibilità
interpretativa rimasi folgorata in giovanissima età.
Zino Francescatti
lo sentii a Padova: è stato il primo violinista che ascoltai al conservatorio.
È bravissimo ed è un grande paganiniano.
Rimaniamo nell'ambito degli strumenti ad arco: che cosa mi
dice di Mstislav Rostropovič?
Le racconto un episodio. Egli suonava un concerto di Haydn
alla Scala. Al termine gli chiesero il bis, ma aveva suonato con una corda in
meno perché si era rotta, perciò raccolse la corda e la mostrò al pubblico. Non
concesse il bis, naturalmente. Insomma, Rostropovič
aveva rifatto lì per lì il concerto come se fosse stato scritto senza questa
corda in la. (Invece Paganini fingeva che qualche corda si fosse rotta
accidentalmente, poiché la rompeva lui stesso.)
Lei ha suonato anche la viola d'amore. che differenza c'è tra
viola e viola d'amore?
La viola d'amore la suonai alla Scala con Gianandrea Gavazzeni negli Ugonotti di Meyerbeer.
Questo tipo di viola ha dodici corde (mentre quella normale ne ha quattro).
Anche Vivaldi, tra gli autori del passato, ha scritto per viola d'amore. Quella
sera fu un successo e quindi è per me un bel ricordo. Io ero sul palco vestito
in costume: accompagnavo il tenore Corelli nell'aria "Bianca al par di
neve alpina". In quell'opera (non si dava alla Scala da 30-40 anni)
cantavano Simionato, Corelli, Sutherland e il bulgaro
Ghiaurov, il marito della Freni.
Tra i numerosi cantanti che ha conosciuto c'è anche Maria
Callas.
Di lei ricordo il carattere riservato: non legava molto. È
forse la più grande artista.
La Callas, quando la conobbi, era venuta dall'America e
cantava all'Arena diretta da Serafin. Non era ancora
celebre in Italia. La Tebaldi, invece, lo era già (di
lei Toscanini parlò come di una "voce d'angelo").
La Callas venne alla Scala per cantare nell'Aida causa una sostituzione. In tale
occasione si fece conoscere in Italia e da lì la sua carriera si consolidò.
Ricordo, a Vienna, una Lucia
di Lammermoor con la Callas e Di Stefano. Era
Karajan a dirigerci. Fu un successo enorme.
Le cronache del tempo parlano abbondantemente della rivalità Tebaldi-Callas. Nella sua autobiografia, Mario Del Monaco
ricorda il 1953 come data d'inizio di tale rivalità "che fino agli albori
degli anni Sessanta ha diviso il mondo dell'opera in due partiti."
Non voglio aprire il capitolo del rapporto tra quelle due
prime donne. Desidererei invece concludere questo incontro con Lei, Maestro, chiedendoLe di condividere con me e con i lettori
dell'intervista un ultimo ricordo che Le è particolarmente caro.
Le racconterò allora un particolare del funerale di Ermanno Wolf-Ferrari a Venezia (fu sepolto nell'isola di San
Michele nel 1948), avvenuto in una giornata di pioggia forte, una giornata
tanto triste. Una voce intonò "Bondì caro
campiello" (dall'opera di Wolf-Ferrari, Il Campiello, tratta dall'omonima
commedia di Goldoni). Era la voce del soprano Rina Malatrasi.
Il coro della Fenice concluse: "No zè bel quel ch'è bel, ma quel che
piaze." Lo ricordo come se fosse ora.
Indubbiamente suggestivo.
Ma anche quello che Le racconterò adesso è davvero
suggestivo. Nello splendido cortile del Palazzo Ducale di Venezia Nino Sanzogno dirigeva l'Uccello
di fuoco di Stravinski. Nel finale di quest'opera
c'è una serie di accordi. Prima dell'ultimo, Sanzogno
fece un respiro e quando l'orchestra suonò quell'ultimo accordo, anche il moro
della Torre dell'Orologio di piazza San Marco suonò l'ora in perfetta sintonia
con Sanzogno! Erano le ventitré.
Cercando di fermare i ricordi, il tempo trascorre e fra
non molto il Maestro deve prendere il treno. La stazione non è distante, ma gli
propongo di accompagnarlo in automobile. Da ottimo camminatore quale è, mi
propone a sua volta di accompagnarlo pure, ma a piedi.
Nei pressi della ferrovia ci accomodiamo in un bar a
consumare una bibita e a continuare ‑ in attesa del treno ‑, lui il
suo snodare i ricordi e io il mio ascoltare, persa in un mondo così fitto di
personaggi e di situazioni, da durare fatica a staccarmene.
Un personaggio tuttora attivissimo, il M°
Burattin, che ha vissuto intensamente i suoi molti
anni. Rimpiango di non avere il tempo per poter intraprendere la stesura della
sua biografia. Questo eviterebbe che andassero perdute tante e tante cose. E ci
sarebbe da scrivere, da leggere e di cui commuoversi a lungo.