Autore sotto mentite spoglie. Vita e opere di una ghostwriter

11 luglio 2018

Be', opere no, visto che di ghostwriting si tratta, ma vita sì. Perché e come si arriva a questa professione? Ha ragione chi ritiene avvilente il non poter esporre la propria firma? E via domandando a Martina Fragale.

Vogliamo fare chiarezza iniziando dalla definizione di ghostwriter?

Martina Fragale.

Per sua gentile concessione.

Il ghostwriter (chiamato anche "negro") è uno scrittore che presta le sue competenze professionali a un committente che nella maggior parte dei casi non è uno scrittore. Il rapporto di lavoro instaurato tra ghostwriter e committente viene regolato in prima battuta da quello che in termini legali si chiama accordo di riservatezza. L'accordo impone al ghostwriter di non condividere con nessuno le informazioni confidenziali ricevute dal committente e soprattutto implica la cessione totale non solo dei diritti d'autore ma anche della paternità dell'opera, previo pagamento. Al di là di questa – che è la definizione nuda e cruda – mi piace pensare al ghostwriter come a un terzista della scrittura. E qui, volendo, si apre un mondo… il lavoro del ghost, infatti, viene quasi sempre compatito o deprecato per via di alcuni pregiudizi culturali molto radicati che ci impediscono di leggere la realtà per quello che è. Al di là della scrittura, i ghost sono sempre esistiti e sempre esisteranno, nella maggior parte degli ambiti produttivi e lavorativi. E questo non è affatto un male. È il Romanticismo, che ci ha inculcato il concetto individualista del "genio creatore": spesso un’opera (parlo anche di mobili o di borse, non solo di libri) è  frutto del lavoro di anonimi produttori o di una squadra. Ho detto terzista, ma mi riferisco anche all’antica logica della bottega (pensa ai dipinti della "bottega di Leonardo" e simili).

Come sei arrivata a questa professione?

Ti darò due risposte: una umoristica (ma non troppo) e una seria. Dunque. Quando avevo 15 anni ero molto attiva, politicamente parlando. Una campagna che seguivo molto come attivista riguardava un condannato a morte americano: Mumia Abu Jamal, giornalista e attivista delle Pantere Nere, che era conosciuto dai più come "la voce dei senza voce". Visto che durante la campagna mi capitava spesso di leggere in pubblico le parole di Mumia, qualcuno mi aveva battezzata "la voce della voce dei senza voce". Ecco: diciamo che forse, la mia prima soddisfazione da ghost l’ho provata allora. Chiaro che questo, con la scrittura, non c’entra nulla ma guardando all’episodio da un altro punto di vista quella è stata la prima volta in cui mi sono resa conto che rinunciare al mio naturale istinto di protagonismo per dar voce a qualcun altro, poteva riservarmi grandi soddisfazioni. Se invece vuoi sapere come ho cominciato a fare la ghostwriter sul serio, ti dirò che ho iniziato per puro caso: scrivendo un libro per un giovane imprenditore che conoscevo e che poi mi ha portato altri clienti. Poi si sa, da cosa nasce cosa. Attualmente ho un mio personale giro di clienti e collaboro come freelance con un’agenzia di comunicazione che ha un reparto di ghostwriter.

Quali sono le soddisfazioni che dà il ghostwriting?

So che suona strano, ma quella del ghostwriter è una bellissima professione: un lavoro che dà le sue soddisfazioni e che inoltre consente allo scrittore di ampliare le sue capacità e le sue competenze. Quanto alle soddisfazioni, è importante chiarire che si tratta di soddisfazioni molto diverse rispetto a quelle di uno scrittore "in carne ed ossa" (buttiamola sul ridere, dai!). Nel caso del ghostwriting la soddisfazione è infatti senza dubbio meno narcisistica. Più maieutica. L’obiettivo del ghostwriter, infatti, è aiutare il committente a "partorire se stesso". Un giorno, un cliente a cui avevo appena consegnato un libro, mi ha telefonato. Era profondamente commosso. "È pazzesco – mi ha detto – È esattamente come l’avrei scritto io se fossi capace di scrivere." Sembra una battuta, ma in effetti il senso del ghostwriting è questo: dare forma e voce ai pensieri di un’altra persona. Come? Diventando quella persona durante tutta la durata della scrittura del libro. Si tratta di una professione molto simile al lavoro dell’attore o all'attività del medium.

E le mancanze di soddisfazione?

Ci sono anche quelle. Quella tra il ghostwriter e il committente è una relazione molto più paritetica di quanto sembri. Il ghost rinuncia alla paternità dell’opera e alla sua proiezione narcisistica – è vero – ma anche il committente deve rinunciare a una buona fetta di narcisismo e alla propria "mania di controllo", fidandosi della capacità interpretativa del ghost e lasciandogli le briglie sufficientemente sciolte. Quando il committente è troppo intrusivo, quando non lascia al libro il suo spazio per crescere e costruirsi, allora il risultato finisce per essere molto poco soddisfacente. In francese ghostwriter si dice "nègre" e anche in italiano qualcuno parla del ghostwriter come di un "negro" (inteso nel senso di schiavo) ma la verità è piuttosto il contrario: la creatività non funziona se viene messa in gabbia e quello del ghostwriter rimane a tutti gli effetti un lavoro creativo. Tutto insomma, sta nella capacità del ghost e del committente di trovare un equilibrio e nella capacità di entrambi di sacrificare le proprie manie di protagonismo al risultato finale. Idealmente, dovrebbe essere un po’ come ballare il tango, dove l’uomo non trascina la donna ma le imprime un impulso e le lascia lo spazio per svilupparlo.

Quale tipologia di clientela si rivolge a te e perché?

In linea di massima si tratta di imprenditori. Perché un imprenditore dovrebbe aver bisogno di uno scrittore?, ti chiederai tu. La risposta sta tutta in come è cambiato il mondo della pubblicità negli ultimi anni. Pare che oggi molti utenti abbiano rinunciato al telefono fisso, un po’ per via della diffusione dei cellulari ma molto – anche – perché gli utenti sono stufi di ricevere tante chiamate dai call center. Il dato è sintomatico. Non ne possiamo più di essere sollecitati.  Siamo saturi: la pubblicità tradizionale – il metodo push – ha esaurito le sue capacità di penetrazione, il che ovviamente non significa che la pubblicità sia morta. Quello a cui assistiamo è semplicemente un cambiamento strutturale di linguaggio. Oggi non si tratta di spingere, ma di "attirare". Come? Per quanto riguarda un imprenditore, il punto è rendersi visibile accreditandosi come il principale referente di una determinata nicchia. E qui entra in gioco il ghostwriter che – giusto per intenderci – non scrive solo libri, ma tiene anche i blog, scrive i contenuti del sito del cliente ecc.

Che tipo di rapporto è opportuno instaurare con la propria clientela?

Domanda da un milione di dollari! Anche in questo senso si tratta di trovare un equilibrio tra l’esigenza di stabilire con il committente un contatto profondo (che consenta al ghost di "indossare i panni" di chi gli sta davanti) e la necessità di mantenere il dovuto distacco. Le difficoltà in questo frangente vengono di solito dal committente. È facile, infatti, che in fase di intervista il racconto si trasformi in anamnesi e che il committente scambi il ghostwriter per una figura a metà tra lo psicologo e l’amico del cuore. Soprattutto quando – come nel mio caso – il ghostwriter utilizza metodologie di intervista mediate dalla Psicologia Positiva, che (dal punto di vista del committente) finiscono per conferire al racconto una forte portata catartica.

Quali sono state le richieste più strane che hai ricevuto?

Oddio… più di una volta mi è capitato che il committente mi chiedesse di non usare il congiuntivo e di utilizzare una terminologia elementare in modo che il lettore non si sentisse tenuto a distanza. Intendiamoci: non mi si chiedeva propriamente di infarcire la prosa di errori, ma di trovare delle perifrasi che rendessero superfluo l’uso del congiuntivo. In certi casi ho spiegato al cliente che il punto non sta nell’ "abbassare il registro" ma nel creare un ritmo quasi cinematografico (in buona parte con l’uso di dialoghi) e che scrittura di qualità non equivale a stile accademico o altisonante… in altri casi ho dovuto cedere. Questo, però, mi capitava solo agli inizi. Oggi, su questo punto, non cedo mai.

Nella cassetta degli attrezzi di un ghostwriter quali strumenti ci sono in più, rispetto a uno scrittore che non rinuncia alla paternità dei propri scritti

Rispetto alla scrittura autoriale, il ghostwriting è il dark side of the moon, non nel senso "losco" del termine però. Si dice che quella del ghostwriter sia una professione oscura e su questo sono pienamente d’accordo… a patto, però, che si chiarisca cosa si intende per oscurità. Nella nostra società, dove tutto è pornograficamente alla luce del sole, si dà per scontato che ciò che è oscuro sia necessariamente poco pulito. O pericoloso. Nel caso del ghostwriting, poi, Polanski ci ha dato pesantemente dentro con il suo film che (mi permetto di spoilerare) finisce nientedimeno che con un ghostwriter asfaltato. Ecco, tutto questo per dire che in realtà la cosiddetta oscurità della professione comporta parecchi vantaggi. Innanzitutto, per uno scrittore, il fatto di non metterci la faccia rende questo tipo di scrittura un campo di sperimentazione molto più libero rispetto alla scrittura autoriale. Giusto per capirci, sai il tipico blocco dello scrittore, il famigerato effetto della "pagina bianca"? Ecco, in linea di massima questo è un problema che il ghostwriter non ha perché il suo è un lavoro molto meno performativo. O meglio: la performance ce l’hai, ma è circoscritta al cliente e ti libera dal fardello dell’identificazione. Ti faccio un esempio: non proporrei mai a un editore un romanzo rosa, perché mi darebbe fastidio se i miei lettori mi identificassero in autrice di romanzi rosa… come ghost, però, mi è capitato di scrivere per un cliente un romanzo rosa: mi sono divertita un sacco e ho scoperto di essere pure brava. Questo per dirti che l’oscurità può davvero rivelarsi un campo di sperimentazione infinito e un’utilissima palestra creativa. Per usufruirne, però, è necessario avere nella propria cassetta degli attrezzi alcuni strumenti fondamentali. E qui torno alla tua domanda. Personalmente mi piace parlare del ghostwriting come di scrittura "concava", in contrapposizione alla scrittura "convessa" di tipo autoriale. Il ghost dovrà cioè sviluppare (nel caso non le abbia) caratteristiche psicologiche molto femminili: la capacità di accogliere, la permeabilità ai pensieri e alle emozioni dell’altro, l’intuizione, la disponibilità a portare in grembo un figlio ma anche a recidere subito il cordone ombelicale. Sviluppare questo lato della propria creatività implica un notevole lavoro su se stessi che può essere condotto solo nell’ombra. Con il vantaggio che il risultato, alla fine, torna utile anche alla nostra parte "diurna": allo scrittore, cioè, che vive alla luce del sole.