Intervista al direttore di coro e d'orchestra e compositore Battista Pradal
14 luglio 2018
Insegnare musica va ben oltre l'impartire mere lezioni ed
è un compito oggigiorno non sempre facile
Comporre solo sacro o solo profano sarebbe escludere una
parte della realtà, viverne solo un pezzo
Lei ha alle spalle diplomi di composizione, pianoforte, musica
corale e direzione di coro e ha studiato direzione d'orchestra. Quanto è
importante, per un musicista, essere poliedrico?
Battista
Pradal.
Per
sua gentile concessione.
|
Se guardo alla mia esperienza, penso che sia molto
importante. Viviamo in una realtà estremamente complessa ed in continua
evoluzione, essere attrezzati tecnicamente con competenze ad ampio raggio,
permette di diversificare la propria attività e di vivere la musica in modo più
completo.
Mi piace molto comporre e posso dire che la composizione mi
ha dato e continua a darmi grandi soddisfazioni. Ho avuto riconoscimenti
importanti in molti concorsi internazionali, parecchi brani sono pubblicati ed
eseguiti in Italia e all’estero. Tuttavia, ho sempre evitato di concentrarmi
esclusivamente su questa attività musicale, portando avanti anche l’attività di
esecutore e direttore. Sento il bisogno di “vivere” la musica, di misurarmi con
l’interpretazione e con tutte le emozioni proprie dell’esecuzione dal vivo in
concerto.
Ci può raccontare la sua attività di direttore del coro e
orchestra “In Musica Gaudium” (del quale è fondatore)
e del coro polifonico "Cantate Domino"?
Ho fondato il coro e orchestra “In Musica Gaudium” nel 2001 ad Oderzo in
provincia di Treviso. In realtà il progetto iniziale era di riunire un po’ di
allievi e di appassionati per fare un paio di concerti, ma da allora non ci
siamo più fermati e nell’aprile di quest’anno abbiamo festeggiato i 17 anni di
attività.
È un gruppo che mi ha dato e continua a darmi tantissime
soddisfazioni. In questi anni abbiamo affrontato un repertorio molto vasto che
va dal Barocco ai giorni nostri. Ho cercato di creare le condizioni perché “In
Musica Gaudium” potesse offrire a tutti i componenti
una bella occasione di crescita sia musicale sia umana. Spesso i coristi e gli
orchestrali possono esibirsi anche nelle parti solistiche, in modo da creare
sempre nuovi stimoli; il tutto in un’ottica di collaborazione e di amicizia e
soprattutto mettendo sempre al primo posto il gruppo.
Il coro “Cantate Domino” di Gaiarine,
paese in cui vivo, sempre in provincia di Treviso, è un coro polifonico di
lungo corso che vanta un vasto repertorio corale destinato all’uso liturgico
per l’animazione delle Sante Messe, soprattutto nelle festività più importanti
dell’anno.
Sono molto affezionato ad entrambe le formazioni ed entrambe
rappresentano per me un grande stimolo compositivo. Posso dire che sono davvero
tanti, ormai, i brani che ho composto e dedicato ai due gruppi che dirigo.
Lei è docente di pianoforte, armonia e composizione. Qual è la
responsabilità che si sente di avere nell'insegnare la musica, sapendo che non
si tratta di impartire mere lezioni, ma di educare - attraverso la musica -
all'ascolto del proprio sé più profondo?
Ha perfettamente ragione, questo dovrebbe essere il fine
ultimo, ma non sempre è facile toccare certe corde... I bambini e i ragazzi di
oggi hanno sempre meno tempo e sono sempre più distratti da mille cose, in primis
dallo smartphone. L’approccio allo studio di uno
strumento musicale è cambiato tantissimo negli ultimi anni, complice anche la
pessima riforma dei Conservatori. Prima della riforma i ragazzi che studiavano
musica aspiravano spesso a conseguire il titolo finale in Conservatorio e molte
scuole private, diffuse in tutto il territorio nazionale, facevano a gara nel
presentare allievi molto preparati e davvero in gamba per gli esami statali.
Anch’io ho portato diversi allievi al diploma di pianoforte o anche ad esami di
armonia e di composizione. Il “pungolo” degli esami permetteva di entrare in
modo molto approfondito nella musica, di sviscerare attraverso l’analisi e lo
studio dei brani la bellezza di certi capolavori dei grandi classici, un grande
arricchimento sia culturale sia spirituale. Oggi questo è sempre più difficile
e se consideriamo a livello percentuale le persone che iniziano a studiare uno
strumento musicale, pochi raggiungono un certo livello. Naturalmente ci sono
anche allievi molto meritevoli che spesso, con grandi sacrifici, portano avanti
lo studio della musica e questo è indubbiamente motivo di conforto e di
speranza per il futuro.
In che cosa si differenziano un direttore d'orchestra e un
direttore di coro nel rapporto con le rispettive masse artistiche?
Si differenziano in modo sostanziale in quanto le rispettive
“masse” sono diverse. L’orchestra si compone spesso di professionisti o
comunque di musicisti di un certo livello, con alle spalle studi musicali
importanti. Il direttore si rivolge quindi a dei musicisti ed interagisce
musicalmente con essi. Il gesto deve essere preciso e tutto deve funzionare
bene in tempi stretti.
È noto che gli orchestrali non sono sempre “teneri” nei
confronti del direttore e sono pronti a contestare un levare poco chiaro o
un’indicazione ritmica non molto efficace... L’obiettivo primario iniziale è
dunque far funzionar bene l’orchestra, “non rovinare il lavoro che l’orchestra
fa già bene da sola...”
Per il coro è diverso. Se escludiamo i cori delle Fondazioni
liriche, che sono concentrati nelle città più importanti e sono composti da
cantanti professionisti, la stragrande maggioranza dei cori italiani è formata
da dilettanti. Questo non significa che siano cori di basso livello, anzi!
Molti di loro sono di livello eccellente e spesso non hanno nulla da invidiare
ai cori professionali. L’atteggiamento e la gestualità del direttore di coro
risultano, tuttavia, senza dubbio diversi rispetto al direttore d’orchestra.
In coro è più facile fare gruppo e spesso anche il direttore
è uno della “compagnia”, un amico. L’apprendimento di una parte corale richiede
più tempo rispetto ad una parte strumentale. Il direttore insegna pazientemente
le parti ai coristi e poi concerta i brani. Mi verrebbe da dire che il lavoro
con il coro è più lungo e difficile, ma spesso va più in profondità e permette
di vivere certe esecuzioni molto intensamente.
In Massa e potere
Elias Canetti scrive che i professori d'orchestra
"possono avere funzioni suddivise, come in un’orchestra, ma è importante
che si manifestino come insieme. Chi li vede o li sperimenta deve sentire
innanzitutto che essi non si disgregheranno mai. La loro vita all’esterno […]
[dell'orchestra] non conta. […] non si penserà mai alla vita privata: essi sono
l’orchestra." Quali considerazioni le suggerisce questa affermazione?
Grazie per questa domanda che si collega a quanto detto
nella precedente risposta.
Certamente l’affermazione di Elias Canetti
è utopisticamente perfetta, ma a mio parere difficilmente realizzabile, almeno
nella sua totalità.
Mi rendo conto che c’è anche un mito da difendere, un’idea
molto bella che può essere usata come metafora della società ideale. Guardando
la realtà le cose cambiano; conosco molti orchestrali che suonano nella stessa
orchestra, ma non si amano poi così tanto. Quello che si può e si deve
realizzare è il lavoro di gruppo svolto con la massima dedizione da parte di
ciascuno per arrivare al miglior risultato. In tutto ciò è fondamentale il
lavoro del direttore che, attraverso la sua capacità direttoriale, ma anche
psicologica, con fantasia, competenza ed estro dovrà essere in grado di
coinvolgere tutti i componenti dell’orchestra motivandoli nel migliore dei modi
per arrivare a raggiungere l’obiettivo musicale che egli saprà indicare...
Quando ha iniziato a comporre?
La scintilla è scoccata con lo studio dell’armonia
complementare, corso obbligatorio per gli allievi strumentisti dopo il quinto
anno. Ricordo bene la prima lezione in cui l’insegnante spiegò le regole
fondamentali per il collegamento delle triadi, si aprì un mondo. Fare quei
primi semplici esercizi mi dava una grande gioia e mi faceva desiderare con
impazienza la lezione successiva in cui si sarebbe affrontato un nuovo
argomento. Iniziai quindi a scrivere qualche piccolo pezzo sulla falsariga
degli esercizi che via via si facevano più difficili.
Avvertivo che mi piaceva tantissimo anche solo fantasticare su un possibile
brano, pensare ad un organico strumentale, magari insolito. I primi brani sono
per coro, ma anche cameristici: flauto e pianoforte, quartetto d’archi e
pianoforte.
Lei compone musica sia sacra sia profana. Che cosa significa e
comporta comporre l'uno e l'altro tipo di musica?
Per me non potrebbe essere diversamente. Sarebbe come
escludere una parte della realtà, viverne solo un pezzo. La mia attività corale
nasce in parrocchia e quindi la musica sacra mi ha sempre interessato tantissimo.
Il canto gregoriano, la polifonia medievale e quella classica rappresentano una
fonte inesauribile da cui trarre ispirazione. Mi interessa molto il connubio
fra antico e moderno, l’impiego di scale modali e di armonie contemporanee.
Penso che l’utilizzo di questi materiali di stampo arcaico con altri di matrice
moderna costituisca una via efficace, ancora oggi, per essere originali ed
attrattivi.
Nella musica profana mi piace giocare con i testi, a volte
anche ironici o sarcastici. Pure la lingua in cui sono scritti è importante
perché può suggerire un’ambientazione, giocare con un cliché, per esempio il testo in lingua spagnola mi può richiamare
melodie o armonie spagnoleggianti. Ho composto diversi brani su testi della
poetessa americana Emily Dickinson, che amo tantissimo. Anche in questo caso la
musicalità della lingua inglese, la dolcezza o la passione di certi versi mi
hanno suggerito delle scelte che magari possono richiamare armonie leggere e
complesse tipiche di certe “songs”.
Tra i compositori di musica sacra ce ne sono di appartenenti
alla tradizione cattolica e a quella protestante. Si tratta di due dottrine
religiose molto diverse fra loro: quanto e come questa diversità influisce sul
modo di fare musica?
Questo è un argomento davvero interessante e una valutazione
adeguata potrebbe scaturire da una comparazione e un'analisi di materiali
diversi. È assolutamente innegabile che, sia la tradizione luterana che quella
anglicana, hanno influito notevolmente nelle scelte e negli orientamenti dei
compositori tedeschi ed inglesi, basti pensare al caso emblematico di Bach.
Personalmente, ho avuto modo di misurarmi direttamente con una realtà di questo
tipo ed è stata un’esperienza entusiasmante. Nell’estate dello scorso anno mi
sono recato in Sri Lanka, ex colonia inglese, invitato a dirigere un concerto
per soli, grande coro e orchestra che si è tenuto nella cattedrale anglicana
della capitale, Colombo. Il repertorio era costituito quasi esclusivamente da
inni anglicani elaborati per l’organico protagonista del concerto. Tutti i
brani si caratterizzavano per la bellezza della linea melodica e per la
semplicità e naturalezza dell’armonia. Questo ricordo mi fa venire in mente un
piccolo dialogo avuto con una persona del luogo. Chiesi se ci fosse divisione
fra anglicani e cattolici e la sua risposta fu no, tanto che lei era solita
andare a messa sia nella chiesa anglicana che in quella cattolica; aggiunse
un’ultima frase, quasi una sentenza, che mi colpì molto: “... gli inni della
chiesa anglicana sono però molto più belli!”. Bisogna anche dire che diversi
inni anglicani, insieme a corali della tradizione luterana sono stati
“importati” ed adattati, dopo il Concilio Vaticano II, nelle nostre liturgie,
arricchendole notevolmente. Penso che questo dialogo anche musicale fra le
diverse chiese cristiane sia oltremodo positivo e rientri a pieno titolo nella
via virtuosa dell’ecumenismo.
Da dove trae la sua ispirazione come compositore? Si rifà a
qualche tradizione?
No, nessuna tradizione in particolare. Mi piace sentirmi
libero e spaziare. Penso sia importante giocare con gli stili,
personalizzandoli. Essere ispirati è importante, in tutte le attività umane.
Nella composizione penso che sia importante l’idea, la bellezza e originalità
dell’idea e naturalmente le scelte stilistiche, le modalità di realizzazione
dell’idea stessa e le strade che si intende percorrere per arrivare al brano musicale…
Quali sono i temi che tratta e quali percorsi di ricerca
batte?
Vorrei rispondere a questa domanda esprimendo un desiderio,
ovvero i temi che idealmente mi piacerebbe trattare e che sono realmente
importanti. Un piccolo gioco che mi dà modo di citare un bellissimo brano di un
gigante della composizione, un autore francese del 900 che amo molto, Olivier Messiaen:
"[…] La mia tecnica è interamente sottomessa a ciò che
per me è l'essenziale e che si colloca su un altro piano. Quand'ero giovane ho
scritto corali, sonate, pezzi classici, come tutti. Poi mi sono interessato ad
altre forme, al canto gregoriano, alle triadi greche, a forme inconsuete. Ma mi
sono reso conto, invecchiando, che la più bella di tutte le forme era la vita,
quel che avviene nella Natura; lo scorrere delle ore del giorno e della notte
popolate da tutti quei colori, da tutti quei fremiti, da tutti quegli alberi,
da tutti quegli uccelli. I miei lavori seguono spesso nella loro forma questo
scorrere delle ore, con l'alternarsi dei suoni e dei silenzi, con l'abbondanza
dei contrappunti e, per converso, i momenti di riposo, con il caldo e con il
freddo. E poi, io amo i colori e gli uccelli, il che è raro."
Quali messaggi intende dare attraverso le sue opere?
La musica parte dalla vita e riflette su di essa. Sarei
contento se la mia musica riuscisse a donare qualche emozione, qualcosa che
riguarda la bellezza della vita e della natura. Il bisogno di infinito che c’è
in noi.