Il giro del globo in quattordici opere
Da MARCOROSSI artecontemporanea, a Milano, quattordici artisti
interpretano in quattordici opere il simbolo ‑ antico e attuale al tempo
stesso ‑ del globo. E nasce la mostra "MappeMondi"
La
mostra. 1
"Mettere
al mondo il mondo" di Luca Beatrice. 1
Dove
e quando. 3
Info. 3
Medhat Shafik, Lunamondo.
©
Cristina Ghisolfi.
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Mappamondi, “globi”, mappe del mondo: miniature terrestri
che ci accompagnano dall’infanzia, lungo la sottile linea rossa che separa la
leggerezza ludica del giocattolo dall’inesauribile mistero di un simbolo che
solo la sensibilità artistica è in grado di declinare. Con “MappeMondi”
– una mostra a cura di Luca Beatrice – Marcorossi artecontemporanea traduce il tema del globo terrestre in un
percorso antologico ricco di sfumature. Arcangelo, Mirko Baricchi,
Sergi Barnils, Vanni Cuoghi, Chris Gilmour, Franco
Guerzoni, Riccardo Gusmaroli, Emilio Isgrò, Luigi Mainolfi, Mirco Marchelli, Davide Nido, Pino Pinelli,
Medhat Shafik, The Bounty KillArt: 14 opere di 14
artisti, accompagneranno il pubblico attraverso le mille sfaccettature di un
simbolo antico e attuale.
Chiave di volta del mondo moderno, il 1492 non è stato solo
l’anno che ha scandito la scoperta dell’America: mentre le caravelle di Colombo
si imbattevano nel Nuovo Mondo, chilometri più a Est – nel Vecchio Continente –
il cartografo tedesco Martin Behaim creava la prima
rappresentazione sferica della Terra a noi pervenuta. La chiamarono Erdapfel (mela terrestre) o “globo terrestre di
Norimberga”, ma poco importa: era nato il mappamondo. A distanza di cinque
secoli, anziché scadere al rango di oggetto obsoleto e inflazionato, il
mappamondo continua a sgranare un’infinita rosa di significati. È invito al
viaggio, ma anche simbolo ambivalente che sintetizza una rassicurante miniatura
del mondo e al tempo stesso allude al misterioso Vuoto che lo circonda: al Dio
che “sospende la Terra sopra il Nulla” di biblica memoria.
Tanto apparentemente concreto quanto intimamente
inafferrabile, il mappamondo è un caleidoscopico prisma di significati: una
tematica che ha fatto sporadicamente capolino nella poesia - come nelle
paradossali rime del Burchiello – e che incontra nelle arti figurative un campo
in cui è sempre possibile sperimentare nuove vie. Le “MappeMondi”
proposte da Marcorossi artecontemporanea
non saranno quindi solo opere pittoriche, ma anche oggetti d’arte
tridimensionali: vere e proprie sculture che reinterpreteranno il volto – anzi,
i volti - dell’antica “mela terrestre”. Un percorso di respiro internazionale
in cui gli artisti intrecceranno un dialogo a più voci.
L’idea di MappeMondi mi è venuta andando dietro col pensiero ad alcune
suggestioni. Ho sempre pensato che i confini disegnati dentro una carta
geografica, un planisfero o un mappamondo, potessero restituire solo in parte
quell’idea di spazio infinito, eppure misurabile, in cui ci troviamo a vivere.
E che difficilmente riusciremo ad attraversare tutto, pur se attratti dal
viaggio e respinti dall’orrore del domicilio.
L’esperienza del mondo va dunque catalogata e definita,
perché scrivere India o dire America ci proietta in qualche modo verso quei
luoghi anche se siamo davanti allo schermo di un computer. Persino la forma, lo
stivale dell’Italia, l’immensa distesa rettangolare dell’Africa, rimandano
automaticamente a ciò che noi abbiamo in testa, un giardino o un deserto.
Se, parafrasando Georges Perec,
pensare è uguale a classificare, ogni carta si propone come un insieme di segni
e convenzioni che noi riusciamo a leggere proprio perché abituati ad avere a
che fare con questi codici. Cos’è l’arte, peraltro, se non un analogo sistema
di segni? Noi li accettiamo come tali senza chiederci troppo il perché, in
quanto è il contesto che li definisce come tali.
Unire le mappe con i mondi significa trovare il punto di
contatto tra una superficie piatta, misurabile con una squadra e un righello
per farci un’idea delle distanze precise tra un punto e l’altro, e una forma
sferica, tonda, che rappresenta all’incirca ciò che la terra è. E come la si
vede da lontano, per esempio dalla luna. Entrambe appartengono al nostro
immaginario fin da quando eravamo bambini: la carta geografica appesa sulle
pareti di scuola, straordinaria occasione di distrazione durante gli esercizi
di matematica a sognare a occhi aperti fughe lontane dalle pareti verdi della
classe. In quanto al mondo, la trama dei ricordi si sposta un po’ più avanti:
tenere quella sfera in mano significava dominarla, poterne decidere i destini,
come il Grande Dittatore di Charlie Chaplin o il gangster di Scarface che aveva scelto questo
motto, il mondo è tuo.
Gli artisti scelti per questa mostra hanno scelto chi mappe
e chi mondi per raccontare la propria personale idea di geografia.
Vanni Cuoghi in Maledette
piantine ci intrattiene con una consueta scena galante in puro stile
settecentesco, dove i sogni di evasione di tre giovani donne si trasfigurano
immediatamente in paradisi esotici e terre selvagge.
Carta di viaggio è
un lavoro di Franco Guerzoni del
1984, molto lirico e liquido, dove il pianeta ci viene presentato al contrario
di come siamo abituati a conoscerlo; i continenti sono macchie blu e il mare
una superficie grigia e indefinita. Quest’opera storica ne ispira un’altra,
recente, molto più grande.
Emilio Isgrò è il grande artista della cancellatura, che da
quasi mezzo secolo lavora sulla perdita d’orientamento e sulla disidentità del luogo, che non potendo più contare sulle
convenzioni, è costretto a trovare un diverso linguaggio per rimettersi in
cammino.
In quanto a Luigi Mainolfi, la sua terracotta presenta una planimetria
strana formata da pianeti e stelle, un sistema solare alternativo formatosi dal
caos, precedente il big bang, che ci fa intravedere mondi possibili, chissà
dove ubicati.
Il bronzo di Arcangelo,
Pianeta del 1993, ha una forma strana
e bitorzoluta, piena di ganci e appigli. E’ qualcosa che ricorda la terra ma
non dovrebbe essere lei, una strana creatura partorita dalla fantasia e dalle
(nostre) paure.
Franco Guerzoni, Carta di Viaggio.
© Cristina Ghisolfi.
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Mirko Baricchi ha lavorato sulle regole, la sfera inclinata
sull’asse e divisa come un’arancia; ma al posto dei continenti e dei mari ha
segni misteriosi e ambigui che vengono direttamente dal repertorio dell’artista.
Insomma il mondo come autoritratto.
Sergi Barnils tra
le sue numerose tecniche utilizzate ha scelto la ceramica. Ha realizzato tre
sfere su cui dipinge in blu una forma di scrittura umana che precede il
linguaggio, basata su forme elementari, intuitive e improvvisate.
Per Pino Pinelli il mondo non è un’immagine, non soltanto una
forma tondeggiante, ma piuttosto un’idea di cosmogonia, di conoscenza delle
cose. È l’opera più astratta della mostra, quella meno legata alla realtà, ma
che ugualmente suggerisce il clima che abbiamo cercato di restituire.
Atlante tiene il mondo come nella mitologia classica, ma non
ce la fa più, è schiacciato dal suo stesso peso e non riesce a sostenere le
rovine del nostro tempo, i problemi e i guai. Questa la visione della cosmogonia
secondo l’ironico gruppo torinese The Bounty Killart.
Chris Gilmour come di consueto usa il suo materiale
d’elezione, il cartone, per rifare un oggetto in scala e proporci così la copia
della realtà. Un mappamondo da antiquariato, da museo, che appartiene alla
storia, al passato.
Mirco Marchelli, trovaroba
dell’arte di oggi, sul suo mappamondo appoggiato su uno sgabello ha scritto in
alfabeto morse il nome di tutti i mari e gli oceani, in modo da suggerire che
anche nell’arte il limite della vista può essere superato da altri linguaggi.
Davide Nido è
degli anni ’60 e come tutti noi appartiene a quella generazione che ha visto la
terra dalla luna. Nel pianeta e nel suo satellite ha trasferito il suo modo di
fare pittura attraverso il meccanismo del gesto ripetuto.
Infine Medhat Shafik immagina il mondo dominato (o abitato) da un
solo uomo che non esercita alcun tipo di potere ma sta lì con la dignità
verticale della scultura. Probabilmente
pensa qualcosa sui nostri destini.
Perché Mettere al
mondo il mondo dunque? È il titolo di un’opera di Alighiero Boetti che lui
raccontava così:
«Riguardo a Mettere al
mondo il mondo ti posso raccontare come è venuta al mondo la frase. In
Italia, tra parentesi, si mettono al mondo i figli. Dunque, anno 1971. Arrivo
all’aeroporto di Kabul, Afghanistan. Taxi per One
Hotel, il mio albergo messo su in città l’anno prima. Arrivo all’hotel e mi
dicono che il mio socio afghano è a Istolif, un
paesino a circa 40km da Kabul. Prendo di nuovo un taxi e parto. Mi fermo a
comprare un piccolo tamburo di ceramica mentre un giovane cameriere dell’hotel
che mi accompagna nei difficili sentieri di campagna mi prepara una sigaretta
di super-hashish. Sono fuori città, il paesaggio è deserto e incontriamo una
carovana Kuci, nomadi afghani, con cavalli, asini e
tanti cammelli. Sono seduto sul taxi, le dita percuotono il tamburo, il fumo
amplifica tutto e lì mi arriva in testa quella frase “mettere al mondo il
mondo”. Io che ore prima sono stato in una casa a Torino, ora mi vedo passare
una carovana, anno Mille, e sono io l’artefice di questa visione, sono io che
ho creato quella immagine. Cerco un pezzo di carta, piccolo piccolo,
e scrivo sopra “mettere al mondo il mondo”.»
MARCOROSSI artecontemporanea
C.so Venezia 29, Milano
tel. 02795483
milano@marcorossiartecontemporanea.com
www.marcorossiartecontemporanea.com
Inaugurazione: 13 novembre 2014 ore 18.30
Apertura a pubblico: 13 novembre – 23 dicembre 2014, da
martedì a sabato ore 11-19; domeniche di dicembre ore 15-19.
Cristina Ghisolfi, T. +39
0289408401, cristinaghisolfi@marcorossiartecontemporanea.com
Martina Fragale T. +39 02795483 ,
martina.fragale@marcorossiartecontemporanea.com
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programma è la Galleria MARCOROSSI artecontemporanea.
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