Ulderico il filosofo

Chi deve percorrere molto per tempo, la mattina, le vie centrali della metropoli, è assai probabile che lo incontri, con l’immancabile borsina di plastica cincischiata, contenente del pane.

Costui è Ulderico, un ometto tondo, completamente calvo, che forse non supera il metro e mezzo di statura, d'un'età che potrebbe stare - al vederlo - tra i quaranta e sessant’anni. Sempre egli fissa il suo sguardo azzurro, un poco annacquato, su tutti e su nessuno: vien fatto di chiederci se veda quanto lo circonda nella sua volumetria reale, nella sua corposità materiale e oggettiva. Forse dall’angolazione dell’uomo l’ottica diventa sfocata, personalissima e gli crea attorno un mondo dalle soglie invalicabili. Un disancorato, dunque. Io, se mi è permesso servirmi del termine con una certa libertà, lo direi un filosofo.

Per me, di fatto, filosofo non è solo il pensatore sistematico, che trova categorie, che dimostra la fondatezza e la logica dei suoi pensieri con argomenti che non fanno una grinza. Filosofo è anche colui che analizza la realtà circostante con varie chiavi di lettura, che la ritiene invivibile eppure trova la forza di affrontarla scoprendo appigli a cui aggrapparsi per sostenere una dura e continua lotta al fine di restare uomo-essere e non lasciarsi sopraffare dall’uomo-avere.

Ulderico non ama molto stare con i propri simili, parlare con loro. Preferisce "spendere il fiato" - per usare una sua espressione - con piccioni, passeri, merli a cui porta il pane ogni mattina, a turno, nei luoghi del loro ritrovo, cioè in quel poco verde che si può incontrare in un’enorme città piuttosto povera in tal senso. Per i piccioni valgono soprattutto le piazze.

Tuttavia Ulderico non fa solo questo; fa assai di più: prende cura delle piccole aiuole sperdute, abbandonate tra l’asfalto incombente, basandosi su una mappa da lui ingrandita e continuamente aggiornata. Oggetto delle sue cure, ad esempio, potrebbe essere la striscia di terreno tra gli alberi di un viale; o l'area di un’aiuola spartitraffico ormai ridotta a terra battuta. Ne prende cura nel senso che, a stagione propizia, coglie i semi di erbe e fiori selvatici che a primavera andrà ad interrare e ad annaffiare accuratamente, in ogni luogo ove sia possibile.

Quando mi raccontarono di questa creatura speciale subito mi venne una gran voglia di conoscerla.

Cosa che si dimostrò assai facile.

Mi apposto di fronte all'abitazione di Ulderico: una scomoda, dignitosa, affascinante casa di ringhiera del secolo scorso. Quasi subito l'ometto esce, non può essere che lui: la sua evidente atipicità corrisponde in tutto alla descrizione che me ne fecero.

La via è deserta se si eccettua una vecchia signora con un cane che si sente felice della libertà concessagli e ne approfitta; Ulderico si ferma un poco sul marciapiede guardandosi attorno; posa per qualche secondo il suo sguardo - che indovino azzurro e svagato - su di me, ma sono certa che non mi vede. Ora abbassa un’occhiata fugace sulla sua borsina che stringe in una mano, e poi prende a sinistra, verso una piazzetta con pochi alberi e aiuole tenute a prato completamente devastate.

Muovo alcuni passi per seguirlo: mi ero ripromessa di porgli alcune domande, ma ora mi accorgo che questa possibilità non mi interessa più. Così mi fermo seguendo con lo sguardo Ulderico fino a che l’angolo della via me lo toglie dalla vista.

Incamminandomi lentamente verso casa mi chiedo che cosa mai abbia fatto mutare rotta ai miei programmi così all’improvviso. Forse è colpa di questo cielo tanto basso, tanto pesante, nonostante il maggio inoltrato, che pare debba caderti in testa tra un minuto. Può darsi invece che sia la precisa sensazione che, nonostante l’ora così propizia a una parvenza di catarsi, la città, come un drago spaventosamente grande, interrato nella sua tana, si stia stiracchiando tutto, dopo il sonno notturno, pronto ad affrontare la nuova fatica quotidiana: già l'aria risente in pesantezza del suo alito mefitico. Eppure tutto ciò mi sembra strano come causa del mio cambiamento di rotta. Ci ripenso e trovo la risposta esatta.

Ho ritenuto inutile parlare a Ulderico, entrare a viva forza nel suo mondo, che forse deve difendere strenuamente ora dopo ora, dagli assalti interni ed esterni, perché ho percepito l’essenza di quell’uomo, l’ho penetrata, anche se nulla conosco della sua vita.

Sorrido e mando al mio amico un augurio che mi scaturisce dal cuore: Che tu possa mantenerti saldo, Ulderico; e che la sorte ti tenga a lungo fra noi!