L'Otello shakespeariano riproposto da Teatrando Produzioni

"Otello: un personaggio malato a cui fa da contraltare una Desdemona acerba e immatura". Così il regista.

"Quando termini Otello non sai mai dove sei, perché esci dalla scena, eppure ti senti ancora in scena." Così il primo attore.

 

26 giugno 2013

Otello

Una scena di Otello.

© Foto Morfoedro

Un'interessante riproposta del dramma shakespeariano (Teatrando Produzioni) ha visto impegnati ‑ nel parco di Villa Tittoni Cusani Traversi di Desio (Monza e Brianza) ‑ il regista Mario Ercole e gli attori Silvano Ilardo (Otello), Martina Viganò (Desdemona), Claudia Gianpaoli (nel doppio ruolo di Brabanzio e di Emilia), Daniele Giulietti (Jago), Simone Lombardo (Cassio), Vincenzo Corso (Roderigo), Silvia Longoni e Gemma Madaschi (due popolane).

L'essenzialità della scenografia (due manichini con i costumi di altrettanti personaggi shakespeariani e un trabattello che, di volta in volta, ha rappresentato la torre, l'osteria e l'alcova) ha favorito la concentrazione sull'intensità del più famoso dramma della gelosia.

Una scena di Otello. Da sinistra: Otello, Desdemona e Jago.

© Foto Morfoedro

Nel testo originale Mario Ercole ha operato alcuni tagli, rendendo così il ritmo dell'azione più veloce.

Il regista, per ricreare l'atmosfera shakespeariana, ha fatto precedere Otello dalla recitazione sommessa di alcuni sonetti da parte di quattro attori che si sono mescolati al pubblico. Tornati fra le quinte, è partita la voce registrata fuori scena di Elio Aldrighetti, in monologhi da Amleto e da Macbeth.

Lo spettacolo ha visto il suo debutto nel dicembre 2012 a teatro, con una scenografia più complessa, che comprendeva anche la proiezione di brani da un Otello che, per Mario Ercole, resta insuperato: quello diretto e impersonato da Orson Welles nel film del 1952, che vinse il quinto festival di Cannes come miglior film.

Dopo lo spettacolo mi sono intrattenuta con il regista.

Intervista al regista Mario Ercole

Una scena di Otello.

© Foto Morfoedro

Qual è la tua visione dei personaggi del dramma?

Nella mia lettura, Otello – messo di fronte alla presunta infedeltà di Desdemona ‑ non viene accecato dalla rabbia; lo vedo piuttosto come un gigante dai piedi d'argilla: è sufficiente che gli venga instillato un dubbio, che crolla. Il suo è un dolore trattenuto, controllato: Otello è pur sempre un generale, coraggioso, valoroso, portatore di ideali.

Per contro Desdemona l'ho voluta immatura, acerba. È soggiogata dal padre e deve sottostare alla condizione femminile dell'epoca. Un'attrice consumata, che avesse caricato di pathos questo ruolo, non mi interessava: la mia Desdemona è insignificante e passiva nell'accettazione della propria morte.

Jago è perfido, avido, bramoso di soldi e di potere. Devasta la vita di Otello e di Desdemona, facendo leva anche sulla dabbenaggine di Roderigo, un personaggio talmente babbeo, da rappresentare un alleggerimento del dramma.

Come mai in scena, dietro il trabattello, ci sono due manichini con costumi shakespeariani?

Mario Ercole.

© Foto Morfoedro

L'allestimento scenografico di stasera è semplificato. Nel debutto dello spettacolo, a teatro, il palco era una sorta di museo, o di atélier se preferisci, grazie al quale il pubblico entrava subito in un'atmosfera shakespeariana. C'erano sei manichini, lo stemma di Stratford-on-Avon (la città natale di Shakespeare), la tomba del padre del drammaturgo… Anche il video con brani dal film di Welles e la voce fuori campo di Elio Aldrighetti che recita Amleto e Macbeth servivano per creare l'atmosfera.

Tu sei il regista di questo spettacolo, ma la tua formazione è nel campo della danza. Come sei giunto alla regia teatrale?

Provengo dal teatro San Carlo di Napoli. Cominciai alla Scuola di ballo con Bianca Gallizia, allora direttrice sia della Scuola sia del Corpo di ballo. Nel 1974 vinsi il concorso come ballerino di fila e successivamente divenni solista. Dopo 25 lasciai la carriera di ballerino e mi dedicai alla regia. All'inizio lavoravo come assistente alla regia e per quattro anni fui attivo all'Arena di Verona. A quarant'anni mi laureai alla Sapienza di Roma in Arti e scienze dello spettacolo.

Ho avuto tante esperienze nella mia vita: teatro ricerca, teatro politico, teatro scantinato, teatro laboratorio… Erano gli anni dal 1973 al 1979. Decisivo è stato l'incontro con Grotowski, dopo il quale la mia visione del teatro è cambiata e ho cominciato a impegnarmi nel sociale.

Ci vuoi parlare di questo tuo coinvolgimento nel sociale?

Ritengo che il teatro sia uno strumento utile e necessario per conoscersi e per migliorarsi. È questo il punto di partenza. Dunque applico le mie conoscenze per dare un contributo nell'ambito sociale. Per il secondo anno faccio parte di un progetto che è diretto da e coinvolge il carcere di Bollate (Milano), con la collaborazione del Ser.t 3 dell'ASL di Milano e del Dipartimento di psicologia dell'Università Cattolica. Il progetto è nato come recupero delle tossicodipendenze, ma quest'anno ha incluso anche il recupero dei sex offender. Mettiamo la pratica attoriale al servizio delle problematiche sociali. Ai detenuti non facciamo recitare testi già scritti, ma partiamo dalle loro storie. Li sollecitiamo ad esprimersi, registriamo i loro racconti e poi il testo che porteremo in scena. Questo nuovo testo lo raccontano nella drammatizzazione scenica, attraverso la quale esplorano nuove terre. Non a caso il progetto si intitola: "Raccontarsi: percorso verso la libertà".

Qual è la relazione fra il vostro lavoro e le terapie che i detenuti seguono?

Il nostro è un intervento che fa da supporto alle terapie che stanno affrontando: noi, ovviamente, né facciamo diagnosi né ci sostituiamo alle cure farmacologiche.

I risultati di questo lavoro?

Positivi. Ad esempio c’erano detenuti che avevano problemi a relazionarsi persino fra loro: durante il percorso sono riusciti ad abbattere delle barriere. Del resto la realtà di Bollate è tale da permettere la creazione di un percorso continuativo: si tratta infatti di una casa di reclusione per pene definitive e non di un carcere di passaggio come San Vittore, dove non sarebbe attuabile un percorso che necessita di continuità, per dare frutti.

Il punto di vista dell'attore Silvano Ilardo

«Ritengo Otello forte e passionale, perciò la cosa difficile è stata farne un personaggio che ‑ secondo le indicazioni del regista ‑ controlla e comprime la propria gelosia. Mario, infatti, mi diceva: "Tu, istintivamente, spaccheresti il mondo, ma impersoni un generale, quindi devi controllarti." Ho perciò cominciato a lavorare non sulla tecnica, ma partendo dalla gelosia che – come tutti – ho provato nella mia vita: una gelosia forte, ma non esasperata come quella di Otello. Ho indagato su di essa, poi ho calato la mia indagine nel contesto del dramma.

Anche il lavoro sulle convulsioni di Otello è stato intenso. Durante le prime prove stavo male: andavo in iperventilazione perché avevo gli spasmi e mi si chiudeva il diaframma. Mi sentivo distrutto e così ho capito di essere credibile come personaggio e mi sono detto che avevo raggiunto l'obiettivo.

Quando termini Otello non sai mai dove sei, perché esci dalla scena, eppure ti senti ancora in scena.»