Mas de l’Ancienne Souloze

Al primo colpo d'occhio l'insieme riesce piuttosto sgradevole: si è come disturbati da una disarmonia. Un complesso di costruzioni molto distanziate tra di loro, sparse su circa quattromila metri quadrati di terreno ondulato in blande collinette; costruzioni di ogni foggia, misura e materiale senza un qualche criterio apparente.

La casa padronale, che sorge pressappoco al centro, è ampia e bassa, d'una linearità architettonica sconcertante, ed è vecchia di circa tre secoli. Nel capannone più grande, abbastanza distante da essa, alloggia la mandria dei tori, una trentina di capi tra giovani e adulti. Essi scorrazzano liberi nella vasta proprietà (720 ettari). Potrebbero portarsi anche sulla rotabile, stretto nastro asfaltato di notevole traffico e importanza come sono, generalmente, le strade le strade della Provenza: non c'è ostacolo alcuno che impedisca loro di accedervi. Il grande cancello di legno e rete metallica rimane sempre spalancato e si addossa alla siepe incolta intricata di rovi, biancospino e rose selvatiche. Inchiodata al tronco di un grosso pino marittimo, che fa da limite, una tavola lignea, scritta con vernice nera, ci avvisa: "Attention! Toreaux de combat".

Sono stupita di questo che attribuisco a pericolosa incuria e ne chiedo ragione. Gli animali - mi spiegano subito - non vanno mai sulla strada per un accorgimento semplicissimo. Sul piccolo ruscello che costeggia tale strada c'è un minuscolo ponte, che immette appunto nella carrareccia conducente al Mas. Esso è formato da tante verghe di ferro, poste una accanto all'altra, nel senso della lunghezza, ma messe in modo che anche il solo peso d'una persona le faccia muovere rumorosamente. Le bestie si spaventano e si ritirano subito. Stento a crederci. D'altra parte pare che sia la sacrosanta verità dal momento che gli animali sono sempre liberi ed il cancello sempre spalancato, salvo in alcune occasioni che non hanno nulla a che fare con i tori.

Ad poche centinaia di metri in linea d'aria, dove la proprietà confina con Miramas - cittadina da cui dipende territorialmente - c'è l'arena, non ampia e strutturalmente semplice, dove si svolgono i rodei e le "mis-à-mort".

Fervono già i preparativi per la "fête", come viene chiamato lo spettacolo all'arena. Fra un paio di giorni, natura e bestie, verranno crudelmente violentate. Noi, è logico, non vi assisteremo, anche se al Mas ci sono già alcuni ospiti importanti venuti addirittura da Parigi; e altri sono attesi da luoghi più vicini, specie da Marsiglia.

Striscioni, bandiere, coccarde sono ovunque: una vista angosciosa dal momento che il tutto è simbolo di tanta barbarie. Un peso così gravoso che riesce a neutralizzare la dolcezza indiscutibile della sera ormai inoltrata, colma di freschi sussurri e di gradevoli profumi indefiniti.

Spunta di nuovo il sole, finalmente, che salutiamo entusiasmo perché ci libera dalle terribili fameliche zanzare che ci hanno tormentato quasi tutta la notte nonostante buio totale e zampirone. Qui, tra Camargue e Croix, le zanzare sono regine.

Intanto il cra-cra dei numerosi corvi che nidificano qua intorno, crea una nota malinconica: forse dipende tutto dal pensiero della "fête". Ed è un peccato perché lo scenario è stupendo. Dappertutto, ove non ci siano i filari delle classiche viti bassissime della zona, o le distese di lavanda, si trovano cardi e rosmarino soprattutto, il quale, investito dal calore violento del sole, emana un penetrante gradevole aroma. Sotto questi cespugli sono frequenti le tane dei conigli selvatici. Un paio ci è saettato davanti: visione tenera e fuggevolissima di pelo grigio-rossastro.

Tutta la bassa collina ove sorgono le costruzioni (e gran parte delle costruzioni stesse fatte con blocchi di materiale preso in loco) è formata di roccia fossilifera. Quasi esclusivamente pecten e bàlani che si staccano senza fatica perché di epoca relativamente recente. Ne raccogliamo gran quantità, basta chinarci, come su una spiaggia un po' speciale.

Ora ci spostiamo su un cocuzzolo per ammirare le rovine di Miramas la Vieille sullo sfondo ceruleo dell'Etang du Berre che pare congiungersi con il Mediterraneo.

Ma la contemplazione viene interrotta dalla vista della mandria dei tori che attacca indolentemente la carrareccia e si avvicina sempre più a noi. Ne abbiamo paura, ma l'addetto ci tranquillizza assicurandoci che sono completamente innocui. Anzi, aggiunge che egli parla loro ed è capito perfettamente. Questo ci intenerisce ma non ci toglie del tutto il timore. Ora le bestie hanno invaso la stradina ancora in ombra, chi accosciandosi, chi ciondolando pigramente per ammazzare il tempo. Da lì infatti non si sposteranno fino a che l'ombra non sarà scacciata dal sole. E noi dobbiamo per forza transitarvi, e con una "cinquecento"!, nella quale abbiamo preso posto frettolosamente.

- Piano, piano, - raccomanda l'esperto che si muove tra i bestioni con grande disinvoltura, cercando di convincerli a lasciarci un po' di posto. - E soprattutto non toccate il clacson perché lo prenderebbero come una minaccia reagendo in modo violento. -

Dopo aver chiuso ben bene i finestrini, iniziamo la discesa con esasperante lentezza e un gran batticuore. Ma ecco che ad un tratto, proprio davanti, ci si piazza un torello. Ha tutta l'aria di un bambino curioso e giocherellone. Guarda la nostra utilitaria, anch'essa indifesa come un cucciolo, con interesse. Chissà se sta pensando che potrebbe giocarci infilando le corna nei suoi fianchi!

Il guaio è che a pelo gli sta un adulto, la più grossa bestia del branco. Le corna bluastre e micidiali puntate su di noi che sfiorano il vetro del finestrino e l'occhio attento avvertono che sta sul chi vive, in difesa del piccolo. Un gesto inconsulto da parte nostra e non esiterebbe un secondo a ribaltare la vetturetta.

Fortunatamente poco dopo l'interesse del torello si rivolge altrove così che anche il "patriarca" allenta la tensione spostandosi e noi siamo liberi di procedere, anche se a passo di lumaca e sempre con il batticuore, tra quelle masse nere, indolenti.

Gli animali ci seguono con sguardo liquido e pacifico, mentre vivono la loro vita fatta di acqua, di erba e di ombra.

Perché la "mis-à-mort"?