Finalmente il nido è vuoto

Foto Gloria Chiappani Rodichevski

così ora posso vederlo da vicino in tutta tranquillità. Salendo su una corta scala a pioli lo "colgo" come un frutto, osservandolo con interesse: una ciotola bruna, leggera, ma saldamente connessa in tutte le sue parti, fatta con fili d'erba, foglie, piccole radici, nonché brandelli di cellofan e di carta.

La costruì una coppia di merli nella biforcazione di due rami del cipresso argentato a poco più di un metro dal mio naso se sto affacciata alla finestra della mia camera da letto, la quale si trova a piano rialzato.

Dopo un inverno rigidissimo la primavera venne funestata da furiosi temporali con raffiche di vento impressionanti. Quante volte temetti di vedere il nido sbalzato chissà dove mentre l'albero veniva investito da esse! Oppure spiavo con apprensione la femmina alla cova temendo che venisse "diluviata" dalla pioggia battente. Invece tutto andò bene.

Ecco, avere un nido alla distanza di poco più di un metro da una finestra molto usata fa insorgere problemi. Io almeno me li creai facendo sempre molta attenzione a non far troppo rumore nell'alzare o abbassare gli avvolgibili; non scuotendo più nulla fuori dal davanzale. Tutte azioni che soltanto ora mi accorgevo di quanto meccaniche e frequenti fossero.

Tuttavia appurai che chi stava alla cova (solo la femmina assolve questo compito, il maschio limitandosi a stare sul bordo del nido a controllare le uova durante le brevi assenze della compagna) pur vedendomi muovere, anche se con gran riguardo, a così breve distanza non si scomponeva, credendo probabilmente di essere nascosta.

Siamo alla prima decade di aprile e già intravedo un movimento diverso nel nido. Aguzzando la vista, sia pure poco distintamente, vedo tre o quattro enormi becchi voracemente spalancati, in attesa. D'ora in poi il lavoro dei genitori diventerà frenetico: i nidiotti reclameranno cibo in continuazione ed i loro robusti cip-cip riempiranno l'aria per periodi di lunga durata.

Un pomeriggio sul tardi mi pare di capire che il cinguettìo non provenga dal nido. Contemporaneamente odo l'abbaio di Gionata. Mi precipito fuori: il mio bastardo sta puntando qualcosa tra i giacinti pesticciati e ormai sfioriti ai piedi del cipresso; accorro e vedo un merlottino che cinguetta disperato, vicinissimo alla bocca del "drago".

Con una mano afferro immediatamente il cane per il collare, trattenendolo a fatica, mentre con l'altra sollevo il povero uccellino, tondo tondo come una piccola palla munita di becco e dal cuore impazzito.

Ora però non so che fare: vorrei rimettere il merlottino nel nido ma da terra non riesco perché troppo in alto. Fortunatamente a farmi decidere ecco intorno a me uno svolazzare scomposto, unito a strida acute che non esito a definire isteriche: è la coppia dei genitori che vede il piccolo in mortale pericolo e non sa come salvarlo.

Qualcosa di agghiacciante quel dolore di due esseri tanto vulnerabili, tanto esposti ad ogni sorta di rischi. In un amen deposito il merlottino bene in vista nel vialetto e porto in casa il cane. Da questo momento controllerò ogni movimento di quell'indemoniato; e devo dire che non è impresa da poco E sempre da quel momento, spostandomi da una finestra all'altra della casa, che è isolata sui quattro lati, posso seguire l'evoluzione dei piccoli, che dura una dozzina di giorni, fino alla loro autosufficienza. Escono dal nido con un giorno di distanza l'uno dall'altro a seconda del tempo di schiusa delle uova; una volta a terra restano nascosti nell'erba, mentre la femmina li chiama a brevi intervalli con un verso quasi identico a quello della gallina chioccia. I piccoli allora lanciano i loro sommessi cip-cip per segnalare la posizione dove i genitori li raggiungono portando cibo, soprattutto costituito da lombrichi che dissotterrano con abilità.

Una volta ero appostata alla finestra del tinello, dal cui vetro avevo scostato un poco la tendina per seguire i movimenti di un piccolo che Gionata aveva quasi azzannato, per giocarci, qualche minuto prima. Dedussi che l'uccellino stava bene dal fatto che il suo richiamo era netto, inoltre si spostava a saltelli puliti tra l'erba che lo copriva quasi completamente. Il cane intanto sbraitava addosso a me perché l'avevo chiuso in casa.

Ad un tratto vedo arrivare planando uno dei genitori con il cibo nel becco, e subito odo una specie di stridìo allarmato provenire dal tetto dell'abitazione confinante con il mio giardino. Immediatamente il merlo che porta il cibo cambia direzione di volo senza atterrare, di sicuro per stornare la mia attenzione dal suo piccolo. Un sistema di difesa della prole sempre commovente che potrò seguire più volte.

Abbiamo detto di autosufficienza raggiunta, parlando di nidiacei usciti dal nido, dopo una dozzina di giorni, ma non è esatto: in pratica i merlotti dipendono dai genitori a lungo, fino a quando, cioè, sono già grossi come loro, distinguibili soltanto dal piumaggio che non ha perso del tutto la sua tendenza al marrone e dalla coda non sviluppata completamente. Essi rincorrono i loro "vecchi" con petulanza e con prepotenza insieme, esigendo l'imbeccata. Mi capita spesso di vederli, sprizzanti simpatia, esigere dal nutritore di turno che spezzetti loro una briciola di pane, da me lasciata lungo i muri perimetrali della casa, come al solito, ma che, secondo il loro metro, è troppo grossa. E la madre o il padre a volte li accontentano, a volte no, girando le spalle indignati per tali capricci.

Ora il nido è vuoto e mi chiedo quanti dei quattro merlottini, di cui è stato la culla, siano arrivati all'età adulta.