Intervista al comico Cristiano Militello

22 luglio 2005

Partiamo dai suoi inizi. Quando ha scoperto la sua vocazione di comico?

Io appartenevo ai Boys Scout e, quando c'era da fare i fuochi, improvvisavo scenette che contemplavano anche imitazioni. (Da ragazzino mi divertivo ad esempio ad imitare i professori.) La prima esperienza lavorativa l'ho avuta a sedici anni in campo teatrale, a Pisa, con Tosca di Gigi Proietti. È stato illuminante: ho capito che mi piaceva stare sul palcoscenico e che quella era la strada che volevo seguire.

E l'ha seguita.

Sì. Mi sono diplomato presso la Scuola di teatro di Bologna di Alessandra Galante Garrone e subito dopo il diploma (1991) sono confluito nel gruppo di comici toscani da cui sono partiti Carlo Conti, Leonardo Pieraccioni, Giorgio Panariello…

Lei è dunque partito dal teatro e ha poi lavorato anche per la TV e per il cinema. Qualche titolo?

Per il teatro, a parte la già menzionata Tosca, che è stato il mio punto di partenza, ci sono Effetto Zavattini (regia di Gianni Ippoliti), Un bicchiere vuoto (regia di Giorgio Ariani), Provaci ancora Sam (regia di Andrea Buscemi), Ecco la prova (regia di Mario Prosperi) e L'Uomo dalla U alla O scritto ed interpretato assieme ad Alessandro Paci.

Per la TV, invece?

Per la TV posso ad esempio citare Vernice fresca, Su le mani, Colorado, Multiclub, Miss Italia nel mondo '99, Domenica in, Papa Giovanni, I raccomandati

E naturalmente Striscia la notizia in seno a cui tiene Striscia lo striscione, singolar tenzoni fra striscioni degli stadi italiani. Concludiamo il giro dei titoli: ci manca il cinema.

Palermo-Milano sola andata (regia di G. Fragasso), Tre (regia di C. De Sica), Stressàti (regia di M. Cappelloni), I volontari (regia di D. Costanzo) e La mia vita a stelle e strisce (regia di M. Ceccherini).

Lei è laureato in comunicazioni di massa all'Università di Firenze. Come mai ha voluto conseguire una laurea?

La carriera di attore esulava dalla mentalità della mia famiglia, perciò venne accettata la mia "vocazione" a patto che portassi a compimento gli studi universitari, intesi come mezzo più idoneo per affrontare il mio futuro. Sono riuscito a fare entrambe le cose.

Mi dice qualcosa della sua tesi di laurea: il cabaret come tecnica di satira?

Sono partito dalla ricostruzione storica del cabaret, parlando anche dei sottogeneri. In ultimo ho posto un gruppo di domande a personaggi assai rappresentativi dello spettacolo. Direi che la cosa più divertente della mia tesi è stata l'analisi delle varie figure retoriche usate nel cabaret. Divertente perché ho esemplificato ciascuna figura retorica con una battuta: insomma, con la mia tesi ci si è fatti delle belle risate! In realtà avrei voluto scrivere una tesi sul giornalismo perché mi interessava il rapporto tra lo spazio dato alla notizia e il contenuto della notizia stessa. Tuttavia, vedendo che ero già avviato sulla strada del cabaret, mi venne proposta una tesi sul mio lavoro.

Scrive sempre da sé i testi dei suoi spettacoli?

Sì. Ho scritto anche testi per altri comici.

È scienza comune che è più facile far piangere che far ridere. Si può pensare, allora, che i comici abbiano una marcia in più?

Per far piangere si può anche ricorrere alla tecnica, mentre per far ridere no. Un comico deve avere carisma personale. Quindi, sì, direi che si può parlare di una marcia in più.

Per un comico è molto importante una mimica che si accompagni alle battute?

Dipende da quello che uno dice. Per un macchiettista la mimica è indubbiamente importante. In Vernice fresca, ad esempio, Panariello faceva macchiette, "en travesti", mentre io ero monologhista. Personalmente non faccio un grande uso della mimica. Il mio è un cabaret di parola, alla Grillo.

Quali sono gli argomenti trattando i quali si fa sicuramente ridere?

Si fa ridere trattando argomenti noti a tutti: il calcio, la telefonia, le vacanze, Internet, i rapporti tra marito e moglie…

Lei fa sia cinema sia teatro. Quale tra questi due generi preferisce?

Il teatro, nel senso che nel cinema non c'è quell'immediatezza che c'è invece sul palco. Facendo teatro si ha un riscontro immediato, a differenza di quanto avviene al cinema. Del resto il palco è stato il mio primo amore: è da lì che provengo! E una bella commedia alla Garinei e Giovannini l'affronterei volentieri.

Tra i libri che ha scritto figurano Giulietta è 'na zoccola (che ha venduto 130.000 copie) e Giulietta è 'na zoccola - tempi supplementari. Perché lei, comico, ha scritto libri?

 Sono giunto a scrivere questi libri non per caso. I due libri raccolgono gli striscioni più divertenti degli stadi italiani. Ho infatti sempre avuto un forte interesse per il calcio e fin da ragazzino collezionavo fotografie di striscioni: a casa ne ho 6000. Mi è parso quindi interessante riunire e proporre i testi più buffi e curiosi degli striscioni.

Lei si diverte a far ridere?

Molto! Mi interessa anche il fatto che, con i miei spettacoli, posso distogliere la gente, almeno per un breve spazio di tempo, dalle sue preoccupazioni quotidiane. Do a questo aspetto del mio lavoro un valore sociale.