Pavel Karrastanojovich

Questo racconto fa parte della raccolta di racconti inediti Anni quaranta-cinquanta, di Celeste Chiappani Loda, ambientati nel ventennio 1940-50.

Castani baffoni a manubrio, guance un po' paffute, fronte stretta e alta sopra occhi piccoli, d'un castano scuro e molto ravvicinati, zigomi accesi come si addice ad un ammala­to di tbc quale pretendeva di essere, naso robusto che faceva sembrare troppo piccola la bocca rossa, umidiccia e lasciva. Tisbe si voltò senza una ragione preci­sa e vide questi connotati al di sopra di un collo esile, saldato ad un paio di spalle piuttosto spioventi. Non aveva mai visto prima il proprietario di tale mer­canzia e provò per lui l'interesse vivo che provava per tutto ciò che aveva sapore di nuovo. Senza dubbio partecipava a quella riunione per curiosità, come capitava a tanta gente.

In sincronia con Tisbe s'era girata la grassa, bella, elegantissima moglie del diacono la quale aveva sussurrato alla un poco meno grassa, bella, elegantissima neonuora, riferendosi chiaramente allo sconosciuto:

– È un apolide. –

Intanto lo studente Cesaroni, intelligente e spocchioso, pur frequentando ingegneria – alla tesi – aveva accettato di parlare sul tema "Cristo e Maomet­to". Bisogna dire che era riuscito a mettere insieme un interessante parallelo dandogli però un taglio più storico che teologico. Ma Tisbe non riusciva più a se­guirlo: lo straniero incapsulava i suoi pensieri.

Dopo non molto il ragazzo finì la sua relazione, raccolse i fogli degli appunti e l'orologio da polso che si era tolto per posare con ostentazione davanti a sé sul ripiano del tavolo; nonché gli applausi, degnandosi poi di lasciarsi ammirare, soprattutto dalle ragazze che lo consideravano un gran buon partito, senza che nessuna (poche essendo la comunità metodista piuttosto esigua) fosse ancora riuscita a metter­gli il laccio al collo.

Assieme agli applausi, il solito brusìo di queste occasioni invase la piccola sala attigua alla chiesa: sedie smosse, fruscii di stoffe, voci educatamente con­tenute. Tutti salutarono tutti aggiungendo sollecite domande e altrettante riconoscenti risposte sulla sa­lute personale e su quella dei familiari assenti. Toc­canti scene d'amore fraterno, fin troppo belle, pensa­va Tisbe puntando al cinismo.

Una forma di autodifesa. Tisbe sa per troppe esperienze personali di essere incapace di distinguere l'oro dall'orpello. Il primo fanfarone disonesto che l'abbordi può colarle in mano le sue panzane sicuro che accetterà tutto come verità sacrosante. La ragazza ne è perfettamente conscia. Per premunirsi, dunque, nulla di meglio che non lasciarsi coinvolgere emotivamente dall'atmosfera. Oltretutto questo ambiente non riesce a sentirlo suo, per quanti sforzi faccia e per quanto riconosca che è migliore di tanti altri. Ci vie­ne solo perché pare sia importante mantenere rapporti con il mondo esterno. Dunque meglio qui che altrove.

Si girò per vedere dove era finita Silvia. Ecco, quella era l'unica isola sul terreno della quale la ragaz­za camminava sicura. Entrambe figlie uniche, pur molto dissimili nel carattere, s'era stabilito tra di loro un legame di sincera preziosa amicizia. Passavano insie­me parecchio del loro tempo libero e, nella comunità, ormai le chiamavano "le due", senza sottintesi di sor­ta. La vide nelle vicinanze dello straniero dove stava raccolta anche la famiglia del diacono al completo. Dalle poche parole che riuscì a captare Tisbe capì che non era la prima volta che l'uomo si faceva vedere lì o in chiesa per il culto. Non l'aveva mai visto per la propria mancanza di assiduità.

– Buona sera, signor Pavel, come sta? – Era la si­gnora Mancani, la diaconessa, alla quale, a parte ogni altra conside­razione, bisognava riconoscere una cordialità a tutta prova verso chiunque. Caspita, siamo già al nome di battesimo, pensò Tisbe oziosamente.

Il baffuto intanto rispondeva:

– Buona serra, sig-nora. Sua bella fig-liola? –

Tisbe notò che il bulgaro (seppe in seguito la sua nazionalità) stava spogliando con gli occhi la neonuora Mancani.

– Ah, perdoni, questa è Luisa, la moglie di mio fi­glio. – Ed accennò con la testa ad Alfonso che le stava di lato. Poi proseguì materna: – Si sono spo­sati un mese fa. Alfonso e mio marito già li conosce, vero? –

– Oh, sì. Ora io conoscere anche bella sig-nora di Alfonso. – L'uomo, parlando, non aveva staccato per un solo mo­mento gli occhi da Luisa, con sguardo inequivocabile; ma la sposina pareva non farci caso, se non addirittu­ra compiacersene, pensò Tisbe che nel frattempo si era avvicinata. Probabilmente il bulgaro apparteneva a quella categoria di dragadonne a cui il gentil sesso va a fagiolo dai dieci ai settant'anni. Proprio un ti­po che te lo raccomando, concluse fissandolo con anti­patia acuta. Ma dopo poco Pavel dovette pensare che, rappresentando Luisa un terreno con divieto di caccia, era meglio per lui andarsi a cercare altra selvaggina più abbordabile. Così si congedò in un modo inconsueto ed elaborato: con le braccia rigidamente lungo i fianchi ed un lievissimo chinar di testa, battè i tacchi che mandarono uno schiocco. Per "le due" sarebbe basta­to anche molto meno. Guardandosi in faccia non poterono trattenere uno sbuffo di riso che dovette cadere fulminato dallo sguardo aspramente disapprovante degli astanti. Anche Pavel s'era girato di scatto dalla parte delle ragazze con un fugace lampo maligno nello sguar­do che subito venne sostituito da uno smagliante sor­riso. Con estrema naturalezza si avvicinò loro e allargò le braccia in modo da posarle, contempora­neamente sulle spalle di entrambe:

– E queste belle fig-liole, quale essere suo nome? – chiese sfacciato. Ognuna di esse, come soggiogata, mormorò il proprio.

– Bene, noi avere fatto conoscenza e uscire insieme allora. –

Se n'erano andati quasi tutti così con gli ultimi due o tre arrivederci rivolti ai rimasti il trio uscì.

Appena in strada il bulgaro si offrì di accompagnarle per un tratto e si avviarono a piedi. Con la sorprendente ca­pacità che aveva quell'uomo di bruciare le tappe, dopo cinque minuti si sentirono come tre amici d'infanzia. Ma mentre Tisbe accettava il tutto con indifferenza, si accorse allarmata che per Silvia  quell'uomo si stava ammantando di fascino irresistibile.

E Silvia s'imbarcò.

Karrastanojovich (se era poi questo il suo nome) o Karrà, come amava firmarsi, si fermò in città più d'un anno durante il quale non fece che sfruttare Silvia in modo indecente. Ormai succuba la ragazza gli concedeva tutto senza riserve, dal letto al portafogli. Ma quel­lo che indispettiva oltre ogni misura Tisbe era il fatto che l'impudente se ne vantava nella cerchia del­le comuni conoscenze nel suo modo magistralmente ambi­guo. In caso qualcuno avesse voluto richiamarlo all'ordine egli avrebbe assunto un'aria colma d'indignato stupore: "E tu pensare che io dire verità? Allora es­sere proprio cretino, scusare." Una mimica adeguata di superiore tolleranza lasciava anche il più agguerrito nel dubbio.

A Tisbe era capitato più d'una volta con l'aggravante di attirarsi le ire dell'amica. Un dubbio che in lei, testimone diretta, dovette però morire una volta per tutte, lasciando posto alla certezza. Non certo s'era accontentata di quel­lo che il bel mobile le aveva ritenuto opportuno raccontare di sé. Ossia, con l'avvento del nuovo regime, i dissenzienti bulgari avevano dovuto salvare la pelle in qualche modo, chi vi era riuscito. Egli sarebbe scappato rocambolescamente da un campo di concentramento russo, mentre della famiglia, ricchissima e numerosa, non aveva più avuto notizie. Una cosa era certa, comunque: ad ogni accenno al comunismo Pavel digrignava i denti illividendosi, inoltre si esprimeva volentieri in tedesco quando fosse possibile. "È un povero martire," soste­neva convinta e tenerissima Silvia. In Tisbe aumentava così l'astio che l'interessato faceva di tutto per incrementare.

– Oh, quanto essere sciocca nostra Tisbe. Tu essere arrabbiata perché io non volere venire a letto con te. Fammi vedere tuo corpo nudo: forse a me piacere. Ma con vestiti tu non mi piacere niente. –

Dopo il lungo soggiorno riusciva a pronunciare meglio i vocaboli della nostra lingua, anche se continuava a mantenere i verbi all'infinito, forse volutamente per suoi fini segreti. Silvia, a queste sue uscite, rideva trovandole irresistibili; ma Tisbe era sicura che se da quel lato non avesse potuto stare tranquilla, si sa­rebbe scatenata come una leonessa inferocita per la gelosia, anche contro di lei.

 Oramai Tisbe si era fatta la sua opinione dalla quale nessuno più, se non con prove irrefutabili, avrebbe potuto distoglierla. Anche ammesso che Silvia gli passasse buona parte del suo stipendio di maestra elementare, Pavel non avrebbe potuto condurre la vita dispendiosa che conduceva. Egli, intuendo che tutti potevano porsi la domanda, aveva trovato la sua brava spiegazione che riusciva ad esibire anche senza esserne richiesto in modo esplicito: un ente, non mai specificato, gli corrispondeva un ottimo sussidio e come rifugiato politico e come tubercolotico; ma per Tisbe esistevano solo due possibilità: o era uno zerozerosette anche se da strapazzo o era impegolato in traffici loschi che potevano avere molte facce.

Quando l'uomo annunciò che si sarebbe stabilito a Roma definitivamente Silvia ebbe una crisi isterica. L'amica tentava di consolarla cercando di far tacere il rimorso per la gioia che provava a sapere che quel tristo figuro se ne sarebbe andato per sempre, quindi Silvia alla fine l'avrebbe dimenticato ritrovando il buon senso. Ma la speranza di restituire l'altra alla saggezza vacillò paurosamente da una sua dichiarazione categorica: sa­rebbe partita con lui.

– Scusa, sei totalmente rincretinita? E il tuo lavoro? –

– Piantala! Se non riesci a capire nemmeno tu è me­glio che stia zitta. Che m'importa del lavoro? –

– Va bene, – Tisbe paziente. – Allora mettiamola su un altro piano. Ricordati che le decisioni affrettate non portano mai a nulla di buono. Chi ti dice che la tua decisione non potrà avere conseguenze spiacevoli anche per lui? – Si sentiva un verme; tuttavia gongolò vedendo l'amica sciogliere le mani che si era stretta alla sommità del capo e alzare lo sguardo su di lei con una parvenza di calma. Incoraggiata continuò:

– Ne hai parlato a Pavel? Che cosa ne dice? –

Silvia ebbe quasi un sorriso:

– Oh, ma Pavel è una persona molto equilibrata; mi ha detto di pazientare, di lasciargli un po' di tempo. Ha buone probabilità di sistemarsi presso l'ambasciata americana. Tu sai che conosce perfettamente l'inglese e il tedesco, oltre che la sua lingua, s'intende. Una vol­ta sistemato ci potremo sposare. –

È incredibile la cecità dell'amore, pensava triste­mente Tisbe. Avrebbe voluto mettersi a urlare che era tutto un cumulo di menzogne, che quell'uomo non avreb­be mai combinato qualcosa da poter esporre alla luce del sole. Invece disse, stupendosi di come sia facile dire il contrario di quello che si pensa, con aria sincera, in certe circostanze:

– Vedi, dunque, se ti vuole veramente bene le cose si aggiusteranno. L'importante è che tu trovi un po' di calma e di lucidità. Me lo prometti? -

E si abbracciarono anche se Silvia non aveva promesso nulla.

Già da due mesi il baffuto era nella capitale e da altrettanto la vita di Silvia era condizionata dalla distribuzione della posta. Purtroppo l'assente le of­friva poche occasioni per ossigenarsi: soltanto due o tre cartoline e un telegramma nel quale le ordinava categoricamente di non cercarlo fino a che non si fos­se fatto vivo lui. Per insorte complicazioni internazio­nali non poteva segnalarle il nuovo indirizzo.

Era il classico principio della fine. Silenziosa e trepidante Tisbe attendeva il crollo che giunse prima del previsto. La notizia fu data dal giornaleradio del mattino, riconfermata poi dal quotidiano che la ragazza s'era affrettata ad acquistare. "A Roma, in un lussuoso appartamento di piazza Navona, sono stati rinvenuti ieri i cadaveri di un uomo e di una donna. Lui un bulgaro proveniente da una città della Lombar­dia dove aveva vissuto come rifugiato politico per oltre un anno e stabilitosi nella capitale da cinque mesi circa; lei una mantenuta di alto bordo nota con il nomignolo di Pantera. La polizia conserva il più assoluto riserbo. Da piccole indiscrezioni si sa che viene escluso il movente passionale, rimanendo aperta ogni altra pista per l'indagine; soprattutto nell'ambiente politico internazionale. Per questo la notizia esce dal ristretto ambito della cronaca cittadina per assumere un interesse di più ampio respiro".

A fianco del trafiletto due tondi che riportavano una fotografia formato tessera, ciascuno: una di un Pavel inconfondibile, l'altra di una bionda al platino dai lineamenti sottili e lo sguardo di ... pantera.

Tisbe ripiegò lentamente il giornale chiedendosi che cosa provasse.