Intervista al comico Claudio Batta: dall'enigmistica di Zelig all'alimentazione di Agrodolce

1 ottobre 2011

Incontro Claudio Batta un'ora prima dello spettacolo che apre la serata di "Desio in festa": la città della provincia di Monza e Brianza offre, per tre giorni, spettacoli, mostre, laboratori di disegno, animazioni per bambini e bancarelle con prodotti delle regioni italiane.

Batta (reso famoso dal personaggio di Capocenere, originalissimo risolutore di cruciverba, che debuttò a Zelig Circus), racconta il suo lavoro di comico.

Claudio Batta durante l'intervista.

© Foto Morfoedro

Chi è Claudio Batta secondo Claudio Batta?

Un comico che fa il comico sul palco e nella vita fa Claudio Batta. Sono due persone distinte: non faccio il comico per forza, nella vita.

Quando ha scoperto la sua vocazione di comico?

Da ragazzino. Fin dal quando frequentavo le elementari ridevano molto di me: mi divertivo a far ridere la gente.

E adesso si diverte?

Sì, certo.

Fin dove arriva il mestiere e fin dove il divertimento vero dell'artista?

Il mestiere lo devi tirar fuori nelle serate difficili, quando il pubblico è indisciplinato, distratto, non interessato e non abituato a uno spettacolo di cabaret. Allora devi usare la tecnica e i piccoli segreti del mestiere.

E quando un pubblico è indisciplinato?

Quando crea elementi di disturbo per il comico che sta lavorando sul palco. Ad esempio, negli spettacoli estivi di piazza, un bambino che urla e corre sotto il palco e il genitore non va a prenderlo per tenerselo in braccio. Oppure, in un locale o in teatro, le persone che parlano o che – quando il telefonino squilla ‑ non solo non lo spengono, ma rispondono pure!

Questo, secondo lei, avviene perché l'idea che ha la gente è che con un comico si può permettere tutto, mentre durante un concerto, un'opera lirica o uno spettacolo di teatro di prosa occorre seguire certe regole?

Sì. Il comico è interpretato come animazione. Ma questo è un malintendere il significato della parola "comico". Il comico ha – per così dire – due accezioni: animatore e attore. L'attore che è sul palco si differenzia dall'animatore perché dà uno spessore al testo che interpreta. E quando interpreta un testo ha bisogno di attenzione e di un'atmosfera silenziosa.

Lei nasce in teatro. Che cosa le ha dato il teatro?

Molto. Mi ha formato. La mia vocazione, tuttavia, era la comicità. Mi sono allontanato dal teatro per arrivare alla televisione. Sono stato marchiato come il comico di Zelig, anche perché la gente non crede che oltre la "nimmistica" ci sia altro. Ho scritto un nuovo spettacolo, Agrodolce, che parla di alimentazione, contraffazione, abitudini alimentari, ma anche abitudini d'acquisto degli italiani. Feuerbach diceva: "Noi siamo quello che mangiamo." Be', oggigiorno noi siamo quello che comperiamo! Agrodolce l'ho scritto con Riccardo Pifferi, che è stato l'autore di Paolo Rossi, Lella Costa, Enzo Jannacci.

Il suo personaggio forse più famoso è l' "enigmista" Capocenere di Zelig Circus, ma non è il solo. È difficile scrollarselo di dosso?

Sì. Occorrono tempi lunghi. Da dodici anni la gente pensa che io sia calabrese, invece abito a Milano e sono di origine toscana. Paolo Rossi dice che il nostro è un mestiere lungo perché un artista (non solo comico) ha bisogno di anni per far capire al pubblico e alla critica quello che è capace di fare. Per diventare famoso, una delle possibilità è di avere a portata di mano qualcuno che – attraverso i media ‑ ti fa diventare superpopolare e ti trova aiuti per scrivere e creare. Basta citare un nome: Madonna. Negli anni '80 non aveva talento, ma si è attorniata delle persone che l'hanno costruita strada facendo. È un fenomeno sociale pompato dai media e quindi l'italiano medio (soprattutto l'italiano, perché in paesi come la Francia è diverso) si fa abbindolare dalla pressione mediatica.

È scienza comune che è più facile far piangere che far ridere. Si può pensare, allora, che i comici abbiano una marcia in più?

Sì, anche perché il comico può fare l'attore drammatico, ma non viceversa.

Dunque: teatro, cabaret, televisione, cinema, radio e scrittura. C'è un genere al quale è più affezionato?

A me piace stare sul palco: gli spettacoli dal vivo sono quelli che mi danno più soddisfazione.

Capita che lei, durante gli spettacoli, quando, ad esempio, impersona Capocenere che dà le definizioni delle parole incrociate, ripeta battute note. C'è qualcuno del pubblico che le sa già e la "batte sul tempo", pronunciandole prima di lei?

Sì.

E lei come vive questo?

Mi fa piacere perché indica la popolarità del mio personaggio: non posso negare che è stato Capocenere a rendermi famoso.

Versante scrittura. Lei ha pubblicato due volumi per Kowalski editore: La nimmistica e Uttobbene uttobbene. Le crociate di una bodi guard in tournée. Inoltre ha scritto brevi racconti umoristici sulle agende di Smemoranda e di Comix. I testi dei suoi spettacoli li scrive lei? Che cosa significa scrivere un libro comico?

Attualmente scrivo con Riccardo Pifferi. Insieme collaboriamo, creando non solo testi per spettacoli. Ora sto scrivendo un libro (una raccolta di storie del passato), che non so quando finirò, ed è interessante lavorare con Pifferi: io gli do uno spunto e lui mi aiuta. I due volumi pubblicati da Kowalski li considero libri gadget che parlano di Capocenere: non si va oltre. Invece quello che sto scrivendo ora è per me un vero libro.

Si diverte di più a scrivere cose comiche o a raccontarle sul palco?

A raccontarle sul palco!

Quali sono gli argomenti trattando i quali si è certi di suscitare il riso?

Quelli che cerco di evitare ultimamente: sesso, sfortuna, le vacanze… Insomma, la satira sul costume. anche la satira politica è sempre bene accetta dal pubblico che la considera come una valvola di scarico. Comunque tutto dipende da come si affronta, si scrive e si interpreta un argomento: questa è la magia del nostro mestiere.

A quali altri personaggi, oltre a Capocenere, è particolarmente affezionato?

Preferisco il monologo a Capocenere. Attualmente punto lo sguardo sui monologhi e sui monologhisti. Il mio inizio è stato da monologhista, ma poi mi sono buttato su un unico personaggio. Faccio ridere impersonando me stesso sul palco: uso la parola, il fisico e l'espressione senza dover indossare maschere.

Per un comico è molto importante una mimica che si accompagni alle battute?

Sì. Io uso molto il corpo, la voce e l'espressione del volto: sono tre fattori espressivi che mi piace mettere in campo perché mi divertono e rafforzano molto il testo.

Ci lasciamo con una battuta?

Ce n'è una alla quale sono affezionato. Tutti i funghi si possono mangiare: alcuni una volta sola.

Claudio Batta durante lo spettacolo, nei panni del cuoco.

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Batta sveste i panni del cuoco e indossa quelli di Capocenere, l' "enigmista" di Zelig.

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Capocenere.

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Capocenere risolve un cruciverba.

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Claudio Batta nei panni del monologhista di Agrodolce.

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