Zanelli e
i "Coerenti"
Questo racconto fa parte della raccolta di racconti
inediti Anni quaranta-cinquanta,
di Celeste Chiappani
Loda, ambientati nel ventennio 1940-50.
Già oltre i cinquanta, statura media e figura asciutta, armoniosa,
viso da faina, lineamenti tirati per fame – ma non ne sono sicura. Come
dire nell'insieme? Agro. E con una certa raffinatezza. Anche la sua voce
giustificava il primo aggettivo: Zanelli amava
comunicare mantenendosi sui toni alti. Parlava molto volentieri e bisogna
riconoscere che lo avvantaggiava un eloquio fluido, un linguaggio appropriato,
direi colto, che tuttavia non riuscivano a neutralizzare la disagevole visione
di abiti sporchi e molto frusti, nonché gli spruzzi di
saliva che gli zampillavano troppo spesso dalle labbra sottili essendo egli
privo quasi totalmente del baluardo dentale. Parlava della guerra in corso rasentando
disinvoltamente i confini tracciati dalla ferrea dittatura; parlava
di grandi viaggi compiuti in gioventù; ma soprattutto dissertava sull'opera
lirica. Il Teatro Grande, insieme con quello alla Scala, diciamo
che non avevano segreti per lui. Buttava là l'asserzione facendo in modo che
l'ascoltatore potesse anche pensare ad un passato
artistico fallito per iella nera. Di sicuro si sapeva che aveva fatto il claqueur per anni e anni.
C'era chi, senza misericordia, lo sputtanava; ma il nostro incassava, da vero
signore, con un sorriso di compatimento a volte veramente disarmante. Ma chi può asserire che un claqueur non avrebbe anche potuto fare il tenore circostanze
permettendo? Questo dicevano occhi e sorriso.
La zia, che credeva a
tale possibilità per il solo fatto che Zanelli era
pronto ad assicurarglielo, aveva accarezzato l'idea di farne uscire un duo
vocale. A lei piaceva un mondo cantare (aveva sempre la voce
all'aria – dicevano in famiglia). Piemontesina bella, Evviva la Torre di
Pisa, Quel mazzolin
di fiori sarebbero andati da dio; ma era pronta ad
imparare qualcosa di più impegnativo per fare qualche "cantata" con Zanelli. Purtroppo dovette rinunciare perché l'uomo, se la
voce l'aveva avuta, ora si era persino scordato di com'era fatta.
Come la zia avesse
conosciuto quel bel mobile non fu mai ben chiaro.
Bravissima donna sotto ogni punto di vista, ma completamente priva del benché
minimo senso della misura e acritica quant'altri mai, sembrava
dotata di uno speciale talento per pescare le persone più strambe e meno
affidabili della città e limitrofi, con cui intrecciava subito rapporti
profondi. Almeno così credeva; in realtà il rapporto era sempre uguale e assai
semplice: sfruttatore-sfruttata, quindi effimero.
Le situazioni
imbarazzanti a casa sua non erano perciò rare e lo zio doveva correre ogni
volta ai ripari. Ormai era rassegnato a trovarsi in casa, anche dopo solo una
giornata d'assenza per il normale lavoro in fabbrica, qualsiasi situazione. Non
passò molto tempo tuttavia che il furbone volse tutto a suo vantaggio. Decise infatti che gli arbitri della consorte sarebbero serviti
egregiamente come contraltare alle sue scappatelle. La consorte usava il tetto
coniugale per soddisfare il suo masochismo e lui si rifaceva in altro modo.
Pari e patta. Almeno lo zio era giunto a questa transazione con la sua
coscienza.
Inevitabile, in ogni
modo, arrivava l'ora della resa dei conti. Quando lo zio riteneva di aver
sopportato abbastanza come pagamento per l'ultima marachella, senza dire una
parola, estrometteva da casa sua il protetto di turno. Ora si trattava di una
povera vedova (che non aveva mai avuto marito) con una mocciosa in età scolare,
le quali avevano preso stanza stabile nei due locali,
che erano tutto quanto di cui potevano disporre gli zii con i loro due bimbi;
ora erano due studentesse che dovevano mantenersi agli studi lavorando. Honni soit… comunque a voler sindacare sulla
natura di tale scuola e di tale lavoro. E via di questo passo.
Gli intimi avevano
tentato di salvare quella sprovveduta da se stessa, ma senza riuscirvi.
– Che cos'è tutta
questa "malfidenza"? Se non si ha un po'
d'amore per il prossimo tanto vale gettarsi nel Chiese! – La zia
accompagnava questa e altre simili frasi con sguardo fiammeggiante da angelo
giustiziere. Sia come sia il marito accettava ogni decisione senza mettervi
becco. Subdolamente però attendeva il momento buono, in cui si sarebbe sentito
mondo da ogni peccato nei confronti della moglie, per far valere i suoi diritti
di padrone di casa. Allora l'immagine viva, immediata che saltava
all'occhio era quella d'un carro armato che si lanci in una gimcana
travolgente. Al via d'una voce che solo lui poteva
udire, senza sintomi prodromici, passava all'azione
buttando letteralmente fuori di casa sua tutto quanto vi era di estraneo: cose
e persone. Rimostranze, lamenti, maledizioni, preghiere: nulla importava in
quei momenti storici se non lo scacciare dal tempio i mercanti indegni.
E la zia? Incredibile:
da perfetta voltagabbana si piazzava sulla soglia, che aveva appena favorito il
violento esodo, mani sui fianchi opulenti, volgaruccia
se si vuole, pontificava:
– Oh, finalmente!
Va bene aiutare gli altri, ma il troppo stroppia, perdiana! –
I due coniugi ora si lanciavano
occhiate d'intesa scambiandosi sorrisi beati. Insomma, con quale diritto
vengono a rovinarci la nostra vita privata? Questo dicevano
quegli sguardi e quei sorrisi. Fino alla prossima occasione.
Nulla da meravigliarsi
quindi se mia madre li aveva soprannominati "i Coerenti" come
efficace contrario.
Nel caso di Zanelli, però, la buona samaritana non spinse il suo zelo
fino a tirarsi in casa quel piccolo letamaio ambulante, limitandosi ad offrirgli il pranzo una volta la settimana,
puntigliosamente servito a tavola insieme con la famiglia. Scegliesse lui il
giorno in cui i suoi impegni (sic) lo lasciavano libero.
Zanelli scelse il sabato. E in tali occasioni l'ospite
si esibiva in uno sfoggio di raffinatezza incredibile:
– Buon giorno,
signorina – a me: la zia mi invitava
spesso. – Come sta la Sua Signora Madre? –
Aveva l'inconsueto
potere di far sentire le maiuscole. Oppure:
– Favorisca
presentare i miei omaggi al Suo Signor Padre. – Il tutto in un perfetto chinar di testa.
Una volta lo strano tipo spinse le sue belle maniere fino a fare il baciamano a
mia madre, che si era trovata anche lei a pranzo. Solo che le lasciò sul dorso
una bolla di saliva nerastra. La poveretta soffocò a malapena una gran voglia
di vomitare e se la prese con la sorella giurando che di sabato non avrebbe
mai più messo piede in casa sua.
Purtroppo con Zanelli lo zio non ebbe bisogno di fare il carro armato.
In una rigida mattina di gennaio il poveretto fu trovato su una panchina dei
giardini pubblici che gli serviva da letto. Sotto il corpo i
soliti cartoni e vecchi giornali. Ma ciò che colpì maggiormente e che fece spendere
qualche parola in più ai cronisti fu la posizione del
cadavere. Le gambe erano ripiegate all'indietro in modo che aderissero al
deretano. Posizione impossibile da mantenere nel sonno, ma con una funicella
diventava facile. Ben strana maniera di dormire, ma
giustificata dall'ombrello aperto, a sua volta trattenuto allo schienale della
panchina da fil di ferro. Rattrappendo il corpo in quel modo l'ombrello
aperto, se non proprio tutto, riusciva a ripararne una buona parte e il
disgraziato poteva illudersi di avere un tetto sulla testa.
Requiem per un Barbone.