Intervista a Giuliano Grittini, il fotografo di Alda Merini

20 novembre 2010

È interessante ascoltare Giuliano Grittini mentre ti parla della Merini. Suo fotografo da quando lei non era ancora così famosa, racconta aneddoti, segue i moltissimi ricordi, di cui interrompe volentieri il filo se gli viene in mente qualcosa che ritiene di particolare rilievo, si lascia andare a commenti su questo e su quel personaggio che sono stati vicini alla poetessa. Non gli importa tanto raccontare le luci della ribalta (la Merini stessa, pur donna di spettacolo, le disdegnava alle volte), quanto evidenziare e, in certi casi, difendere una Merini privata, con la sua intimità di dolore, di passione, di insofferenza, di solitudine, di amore; in una parola: di Poesia.

I tuoi inizi.

Giuliano Grittini durante l'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Ho iniziato come disegnatore grafico a Milano e ho frequentato Brera. Ho poi lavorato in una galleria d’arte e questo mi ha permesso di venire a contatto con numerosi artisti e movimenti: Federica Galli, Renzo Vespignani, Enrico Baj e la patafisica, la pop art, Pierre Restany, Mimmo Rotella, Guido Crepax, Michelangelo Pistoletto. E persino Pier Paolo Pasolini. Ho cominciato disegnando e dipingendo, insomma.

Quando è nata la tua passione per la fotografia?

Avrò avuto sei, sette anni. Allora c’erano i punti Star. Mia madre li raccoglieva e, quando giunse alla quantità che serviva per ottenere una borsetta, mi consegnò la cartella completa e mi mandò a prenotare il regalo che aveva scelto. Io, però, prenotai una macchina fotografica ‑ che si poteva ottenere con lo stesso numero di punti ‑ e, quando arrivò a casa il pacco, di fronte al disappunto di mia madre, dissi: “Eh, mamma, si saranno sbagliati!”

Sai, la mia passione per la fotografia, in realtà, si intreccia con tutte le altre mie passioni: non mi sono fermato alla sola arte fotografica e ho voluto indagare altri campi artistici. Ad esempio, quando ho cominciato a stampare per Renato Guttuso, Andy Warhol, Michelangelo Pistoletto, Christo, non si trattava di un semplice rapporto tra artista e stampatore, ma di una vera e propria interazione artistica.

Pellicola o digitale?

Attualmente lavoro sia con la pellicola sia in digitale. Il digitale ti permette di divertirti a manipolare le immagini, ma ti fa perdere l’immersione nel mistero che alona l’uso analogico. All’analogico riservo quasi solo il lavoro in bianco e nero.

Ho cinquanta macchine fotografiche, ma ne uso dieci: prima di tutto Nikon, poi Rolleiflex e Hassemblad.

Il mio passaggio dalla fotografia ad altri campi di indagine è avvenuto perché penso che la foto la scatti e poi tendi a chiuderla nel cassetto e tutto finisce lì.

Ho ricevuto molte critiche perché ho fatto foto perlopiù ad Alda Merini, ma io con lei mi divertivo. Tante foto che le ho scattato sono inedite. Lei diceva che io dovevo fare il fotografo e non soltanto lo stampatore.

Spesso nelle tue opere, che definirei foto-pittoriche, c'è la presenza di Marylin Monroe.

Sì. Negli anni del boom, i Sessanta, mio padre ristrutturava palazzi a Milano e, svuotandoli, portava via tutto quello che era da buttare, compresi giornali e riviste e io mi divertivo a ritagliare le riviste per collezionare le foto di Marylin.

Tu sei stato un amico nonché il fotografo personale di Alda Merini. Mi parli di lei come soggetto fotografico?

Per scattare fotografie a una persona devi entrare in sintonia con lei. Puoi, certo, anche scattare una foto a uno sconosciuto, ma non è stimolante. Invece, quando conosci una persona e la fotografi regolarmente, segui l’evoluzione della sua vita. Io faccio solo ritratti a persone e non a paesaggi, salvo eccezioni, come il lavoro commissionatomi dalla Regione sui fontanili della zona di Magenta.

La Merini era gelosa di me come fotografo e non voleva che io scattassi foto ad altri. Le dicevo, ad esempio: “Mi hanno chiesto di fare un servizio sulla Pivano.” Mi rispondeva: “Sì, sì, fallo, così con me hai chiuso.”

Sono diventato il fotografo di Alda Merini vent’anni fa, quando lei non era ancora così famosa e l'ho sempre seguita perché mi piaceva farlo. Lei diceva sempre: “Sono l’unico poeta al mondo ad avere un fotografo personale che mi paga anche.”

Avrei tanti episodi da raccontare... Ce n'è uno, in particolare, che voglio riferirti. Quando uscì la legge che stabiliva il divieto di fumare nei luoghi pubblici, lei fu invitata a un incontro in una biblioteca vicino a Bologna. Durante l’incontro si mise a fumare. Un distinto signore del pubblico le ricordò il divieto e lei, di rimando: “Come si chiama?” “Carlo.” “Ecco, Carlo, venga qui lei a recitare le mie poesie, così io esco a fumare.” In manicomio l’unica liberà che aveva era quella di fumare.

La fotografavo sulla Ripa, in casa, in giardino… In casa le piaceva molto farsi fotografare, ma devo dire che quando eravamo in giro sulla Ripa, con la gente, era restia, soprattutto negli ultimi tempi. Non amava il caos del Naviglio, che non riconosceva più come il suo Naviglio. Diceva: “Sono andati via il panettiere, il fruttivendolo, hanno aperto bar e pub…”

Per Rizzoli, nel 2007, è uscito il libro fotografico Alda Merini. Colpe di immagini. Vita di un poeta nelle fotografie di Giuliano Grittini. Di che “colpe” si tratta?

La colpa della nudità, di essere troppo osé

Quale rapporto vi legava?

Il nostro rapporto era fatto di passioni e di respingimenti: lei non aveva un carattere facile. Si fidava degli altri solo dopo molto tempo. E aveva una predilezione per gli uomini, anche perché – rispetto alle donne – non si curano di certe cose. Se, ad esempio, una donna entrava in casa sua e guardava il disordine attorno, la Merini la considerava subito un’impicciona e non l’accettava. A proposito di mancanza di ordine, diceva che, grazie alla mia fotografia, il disordine di una casa può diventare arte. Da un certo punto di vista la Merini mi ha “usato” nel senso che sapeva che con la fotografia sarebbe rimasta in eterno.

La Merini spiega questo concetto nella "Nota" che introduce Colpe di immagini:

Il fotografo rivaluta la figura. […]

Il fotografo consegnerà ai posteri una sua interiorizzazione, una realtà che spesso sfugge alla persona stessa.

È questo il mistero della fotografia che ha reso celebri molti poeti e molti artisti.

Quali erano le caratteristiche che, di lei, ti colpivano maggiormente?

Aveva occhi che parlavano! Recitavano poesie. Erano grandi, profondi: occhi di pianto, di dolore, di gioia, di risate…

Aveva anche dei bei capelli. Era bella, quando si prendeva cura di sè.

Ci siamo divertiti, abbiamo viaggiato tanto. Era una donna divertente e faticosa al tempo stesso. Una donna difficile. Era una diva nata, sai? Attirava tutti nella sua rete: aveva il dono dell’affabulazione.

Veniamo a un altro tuo interessante libro: La magia delle mani (Incisione arte, 2005).

Sono quelle della Merini. All’ospedale si laccava le unghie, si pettinava: era la vanità femminile. Le mani erano la sua espressione più teatrale, mentre gli occhi quella più intima. Alle mani metteva grandi anelli. Poi indossava collane, braccialetti. Aveva un abbigliamento vistoso, mentre i suoi occhi erano nudi: non li truccava; erano sempre gli stessi, a differenza delle mani che si trasformavano di volta in volta.

Hai parlato della magia delle mani. E i suoi occhi avevano magia?

Certo, con una differenza: la magia delle mani è un gioco, quella degli occhi è la realtà.

Come parlava della Cerletti e delle sue tragiche esperienze in manicomio?

A volte dichiarava di essere stufa di parlare di manicomio, altre era lei a intavolare il discorso. Aveva un suo modo di ironizzare, di esorcizzare la sua esperienza quando diceva: “Sono stata tanti anni in manicomio e nessuno mi disturbava!”

Ci lasciamo con la lettura di una poesia della grande Alda Merini?

D’accordo.

Da La magia delle mani.

A Giuliano
Ti ho odiato e amato insieme
come una rosa di spine
che bruciano di desiderio
e non vorrei essere da te
mai colta;
è così bello crescere in ombra
e pregare che Dio
ti distrugga
perché Artemide vuole così
la morte di tutti
i suoi amori.

Giuliano Grittini durante l'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Un momento dell'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Un momento dell'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Un momento dell'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

Un momento dell'inaugurazione della mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski

La mostra Alda Merini. L'anima della luce. Testimonianze, allo Spazio Oberdan di Milano (15 novembre 2010).

© Foto Gloria Chiappani Rodichevski