Quando il pulcino cova l'elefante. Incontro con Alberto Casiraghi
5 settembre 2009
La
doppiamente casa di Alberto Casiraghi 1
Un
caso editoriale. 1
La
genesi della Pulcinoelefante. 2
Un
aforisma rubato. 2
Intervista. 2
Due pomeriggi fa ho conosciuto Alberto Casiraghi: poeta,
pittore, ex liutaio, violinista e padre di Pulcinoelefante,
la sua casa editrice di Osnago, nel lecchese.
Dire casa, riferendosi a quella di Casiraghi, significa
usare un doppio senso, perché vive, produce e stampa nello stesso luogo. Cioè:
cucina e mangia nella stanza dove rilega i libri,
stampa nel locale attiguo, ha l'archivio in camera da letto. E museo vivente
sono il corridoio, le pareti, le scansie e la ringhiera della scala che conduce
al piano superiore: quadri suoi (Un sogno che corre, per citarne uno solo), fotografie (Picasso che
sbandiera il logo di Pulcinoelefante, Alda Merini che
cammina assorta), oggetti dal sapore patafisico (giduglie) e non (maschere africane, candelieri, leggii).
La sua, dunque, è una casacasa
editrice. E una Wunderkammer.
Abbiamo trascorso due ore e mezzo, insieme. Appena. Non nel
senso che si starebbe con lui ancora a lungo: nel senso che non si andrebbe più
via. È, infatti, come se, entrando nella sua casa, tutto assumesse un senso:
tutto quello in cui hai sempre creduto – intendo ‑ e per cui spesso sei
stato tacciato di anticonformismo, anacronismo, donchisciottismo, visionarietà.
Ma non si tratta solo di questo. La stessa sensazione
la provi quando leggi i suoi aforismi, a cui sono
intercalati disegni di toporiana memoria: abissi
d'inaspettato, che a volte pensi sia meglio soltanto sfiorare per non
deflorarli. Un inaspettato che non può che scaturire da una personalità come la
sua. Ti spiega infatti orgoglioso che non ha né
computer né lavatrice. Anzi, no, non se ne gloria: te lo comunica come un dato
di fatto, come, cioè, ti dicesse che respira e mangia. Durante la conversazione
trova un momento per andare in cortile, prendere in braccio una delle sue due
galline e, mentre sorride all'altra, presentartele: "Ecco le
ragazze." E ti racconta che è vegetariano e che si sente privilegiato a
fare la vita che fa.
È un vero caso editoriale, quello di Alberto Casiraghi,
"il panettiere degli editori: l’unico che stampi in
giornata", come lo definì Vanni Scheiwiller.
Stampa in giornata perché, per
finire un libro, gli ci vuole un giorno. I suoi libri sono fatti a mano, a
tiratura limitata (massimo trenta copie), così come limitate
sono le dimensioni: 13,5 x 20 e pochissime pagine. Vengono stampati su carta
pregiata Hahnemuhle con una Superaudax
Nebiolo a caratteri mobili. I giorni scorsi la Pulcinoelefante ha doppiato la punta dei 7777 titoli.
Queste preziosità sono scrigni raffinati che custodiscono
gelosamente aforismi e poesie in dialogo con disegni, incisioni e persino
minisculture. Non è difficile comprendere perché sono divenuti oggetti di
culto.
Tra gli autori di spicco che hanno trovato congeniale la dimensione dello scrigno contenente preziosi,
si annoverano Allen Ginsberg, Ezra
Pound, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti,
Samuel Beckett, Fernanda Pivano, Giorgio Manganelli, Mario Luzi, Cesare
Zavattini e la più famosa poetessa italiana contemporanea, Alda Merini, dopo il
cui incontro la casa editrice di Casiraghi ha subito un'impennata: solo di lei
si contano 1500 titoli. Anche tra gli artisti dell'immagine i nomi sono grandi:
Bruno Munari, Enrico Baj, Lucio Del Pezzo, Ugo
Nespolo. E inaspettate sono le presenze musicali: Vincenzo Zitello,
Floraleda Sacchi, Renato Zero.
Fu agli inizi degli anni '80 che
Alberto Casiraghi acquistò una delle due macchine stampatrici con le quali lavorava come tipografo a Milano. E nel 1982 fondò la sua
casa editrice, la Pulcinoelefante.
Tre furono, all'inizio degli anni '90,
gli incontri decisivi della sua vita: il primo con la Merini; il secondo con
l'editore Vanni Scheiwiller che gli fece conoscere,
tra gli altri, Ginsberg, Corso e Ferlinghetti;
il terzo con la rassegna annuale dei piccoli editori al castello di Belgioioso (Pavia): è lì che i libri della Pulcinoelefante inizieranno a essere conosciuti da un
pubblico più vasto.
Un aforisma che ho rubato alla quiete della conversazione
con Alberto, mentre le galline verseggiano e i caratteri mobili giacciono per
il momento immobili nella cassettiera.
Alberto prende dal tavolo una mia silloge di poesie, che gli
ho portato, e legge qualche componimento. Frattanto osservo in giro: lo sguardo
non si sente mai sazio, in quella casa.
Quando il mio estemporaneo lettore alza la testa dal libro,
mi dice: "La poesia si deve leggerla da soli." Mentalmente chioso il
suo aforisma: quello è il primo atto e si compie in solitudine; il secondo è il
coraggio di lasciare che gli occhi brillino davanti ad uno sconosciuto.
Alcune suggestioni tratte dalla nostra lunga e affascinante
conversazione le ho racchiuse in un'intervista pubblicata in una delle pagine di Morfoedro.