La nascita del Teatro Massimo V. E. di Palermo
Dal sacro al profano: la leggenda della monaca e la costruzione del Teatro Massimo
C'era una volta un convento, anzi c'erano tre chiese e due
monasteri e c'era anche una monaca che si aggirava con il suo libro di
preghiere in mano tra i corridoi silenziosi: una monachina gelosa di quel
silenzio, custode del suo tempio dove trascorreva in contemplazione e
spiritualità i suoi giorni.
Cosa avrà pensato quella monachina il 10 settembre 1864 quando l'allora Sindaco di Palermo, Marchese di Rudinì, bandì un concorso internazionale per un nuovo
teatro lirico da edificarsi al centro della città? Con grande stupore e
dispiacere apprese infatti che il luogo scelto avrebbe
dovuto comportare la demolizione di chiese e monasteri alcuni dei quali
risalenti al 1300 e tra questi anche il suo. Si trattava della Chiesa e del
Monastero delle Stimmate di S. Francesco, della Chiesa e Monastero delle
Vergini Teatine dell'Immacolata Concezione, della Chiesa di Santa Marta e della
Chiesa di Sant'Agata di Scorruggi delle Mura che
occupavano un'area di circa 25.000 metri quadrati
al centro di Palermo.
La monachina certamente non avrebbe mai
voluto essere allontanata dal luogo che aveva scelto per trascorrere la
sua esistenza né di veder distruggere il suo mondo fatto di preghiera,
silenzio e raccoglimento. Forse per questo giurò a se stessa di non lasciare
mai quel posto rinnovando il suo giuramento di fede e di affetto per il sacro
rifugio che l'aveva accolta con amore in tutti quegli anni e la sua presenza
aleggiò nei secoli ed aleggia ancora, sicché le
numerose peripezie e polemiche che accompagnarono il percorso di costruzione
del nuovo teatro e la lunga chiusura degli anni più recenti sembrano quasi
attribuibili all'influsso non benevolo di colei che non seppe mai rassegnarsi
per quella forzata usurpazione. Chi ha vissuto e lavorato al Massimo sa bene,
infatti, che non bisogna addentrarsi da soli nei meandri sotterranei del
teatro. Molti giurano di aver visto all'improvviso il fantasma della monaca
aggirarsi inquieto tra i corridoi oscuri, sui cornicioni, sui ponti di
palcoscenico incutendo il terrore di coloro che incautamente hanno osato
sfidare la sua ira.
Anche la travagliata storia della costruzione del teatro
sembra discendere da una specie di influsso malefico. L'allora inconsapevole
Municipalità di Palermo non aveva badato a spese poiché
il nuovo teatro avrebbe dovuto essere talmente sontuoso e grande da
rivaleggiare con i maggiori teatri europei e, quindi, capace di dare risonanza e
prestigio alla città. Al concorso parteciparono ben 35 progettisti (23 italiani
e 12 stranieri) e la scelta del vincitore da parte della commissione,
presieduta dall'illustre professor Goffredo Semper di
Dresda, fu più ardua del previsto, considerato l'alto livello dei lavori
presentati, cosicché la giuria potè assegnare la vincita all'autore del
progetto numero 18, l'architetto palermitano Giovan Battista Filippo Basile, soltanto il 4 settembre
1868, dopo cioè ben quattro anni dalla pubblicazione del bando. Seguirono,
però, vari ricorsi e polemiche, in particolare dell'architetto Damiani Almeyda, autore del
progetto dell'altro grande teatro di Palermo, il Politeama Garibaldi, e
vicissitudini politiche che non consentirono un rapido inizio dei lavori.
Infine, dopo l'affidamento della direzione delle opere al
progettista Basile nell'ottobre del 1874 da parte del Consiglio Comunale, la
posa della prima pietra, alla presenza dell'allora Sindaco Emanuele Notarbartolo di S. Giovanni, avvenne il 12 gennaio 1875 nel
corso di una solenne cerimonia durante la quale Nicolò Turrisi
Colonna pronunciò il discorso celebrativo e una medaglia commemorativa assieme
ad una lapide vennero murate a ricordo di quello
storico giorno. Dunque, erano passati circa dieci anni dalla delibera che aveva
bandito il concorso. I lavori in ogni caso non proseguirono celermente. Dopo
numerose sospensioni dei lavori, lungaggini burocratiche, dispute politiche,
momentanea revoca dell'incarico al Basile e tra mille polemiche e vicissitudini
si arrivò al 1891, anno in cui si cercò un'accelerazione nel tentativo di
inaugurare il teatro in occasione dell'Esposizione che doveva svolgersi in
città; ma improvvisamente, all'età di 66 anni, in quello stesso anno, moriva G.
B. Filippo Basile. Immediatamente venne affidata la
direzione dei lavori al figlio Ernesto che in sei anni, infine, portò a termine
l'opera seguendo passo passo il progetto del padre e
realizzandolo con amore appassionato di figlio devoto.
"L'Arte rinnova i popoli e ne rivela la vita. Vano delle scene il
diletto ove non miri a preparare l'avvenire"
Questa frase, scolpita sul frontone del teatro e di cui
nessuno è ancora oggi riuscito a riconoscere la paternità, certamente non
risulta corrispondere alle finalità che avevano portato
alla costruzione del grande teatro palermitano: monumentalità,
immagine, orgoglio municipalistico, lustro alla città
ed al suo pubblico, luogo di ritrovo per lussi e mondanità. D'altronde lo
stesso Basile figlio ebbe a rilevare che: "Dai teatri infatti ogni idea di utile è
esclusa, ogni pensiero di utilità pratica bandito; essi sono eretti a puro
scopo di ricreazione pubblica; e se dietro il diletto v'ha poi l'insegnamento e
un fine istruttivo e morale, questo si palesa secondario".
Forse quella frase voleva solo servire da contentino per
acquietare lo spirito della monachina. Certo è che il suo fantasma continuava
ad aleggiare quando alla vigilia della tanto attesa
inaugurazione la Commissione prefettizia per l'agibilità dei teatri ne rifiutò
il nulla osta suscitando un'intensa gioia negli ambienti clericali che non
riuscivano a rassegnarsi all'idea della demolizione di chiese e monasteri per
far posto ad un teatro. Come avviene quando un evento
programmato di grande risonanza non può essere rinviato, pur se nel teatro
mancavano ancora le più elementari norme di sicurezza e lo stesso fosse
incompleto in più parti, motivi politici e d'ordine pubblico resero inutile la
prima pronuncia della Commissione e l'inaugurazione ebbe regolarmente luogo il
16 maggio 1897 alla presenza di una folla enorme di cittadini e di curiosi radunatasi nella piazza antistante e in molti guardarono
come in un sogno il grande teatro, vanto della città, che finalmente si apriva
dopo tanti sforzi ed aspettative.
Polemica e feroce fu la critica del quotidiano religioso
palermitano "La Sicilia Cattolica" che diceva testualmente nel numero
del 15-16 maggio 1897: "L'opera
dell'iniquità fu consumata, e domani sera, dopo 33 anni dacché se ne discusse
nel Consiglio Comunale di Palermo, s'inaugurerà il Teatro Massimo V. E.
S'inaugurerà questo teatro maledetto che sorge sulle rovine delle chiese delle
Stimmate, di S. Giuliano, di S. Marta, della monumentale di S. Agata di Scorruggi; e sui ruderi di due illustri e famosi Monasteri
con vere opere d'arte; s'inaugurerà con lo sperpero di circa sette milioni che
sono sangue del popolo; s'inaugurerà quando tra noi i
poveri ammalati non trovano posto all'ospedale.
Noi non sappiamo ‑
anche dal lato dell'arte – che cosa possa valere il
Teatro Massimo; sappiamo sì ch'esso rappresenta bene i progressi della moderna
civiltà che si avanza sulla rovina delle cose religiose, ridendosi della
miseria del popolo.
Le coscienze oneste
fremono dinnanzi a quella mole immensa che è il teatro V. E. e la coscienza
cristiana – oggi che l'opera dell'iniquità è compiuta – si ribella. Noi oggi
protestiamo: protestiamo in nome della religione, protestiamo in nome della
civiltà vera, protestiamo in nome dei bisogni del paese… pregando Iddio
misericordioso chè risparmi alla città nostra i divini flagelli per tante
accumulate profanazioni."
In cambio "L'Illustrazione Italiana", nel numero
del 6 giugno 1897, nel descrivere il teatro, "detto 'Massimo', essendo per la sua vastità e capacità il terzo
d'Europa, cioè vien subito dopo l'Opéra di Parigi e il Teatro dell'Opera
imperiale di Vienna", citava un po' polemicamente una frase di Re
Umberto "Palermo aveva forse bisogno
d'un teatro così grande?" e, nella cronaca dello spettacolo, più che
soffermarsi sull'esito dell'opera Falstaff, diretta da Leopoldo Mugnone
con protagonista Arturo Pessina, se non con una
frase: "Se il capolavoro verdiano sia piaciuto ai palermitani per noi è un mistero.
Dei giornali palermitani chi dice no e chi sì!", metteva in grande
evidenza invece l'enorme successo ottenuto da Ernesto Basile: "Quando questi si affacciò dal palco
dell'impresa, gli applausi scoppiarono frenetici. Tutti erano in piedi ad
applaudirlo: un delirio!".
Tre le opere di quella prima stagione: dopo il Falstaff fu la
volta de La Gioconda che vide l'esordio
a Palermo di Enrico Caruso e de La Bohème
con un cast di stelle quali Adelina Stehle, Edoardo Garbin, Camilla Pasini ed Edoardo Sottolana. Da quel momento in poi, salvo che in
brevi periodi per i passaggi dei vari impresari che lo diressero e durante gli
eventi bellici, il teatro rimase sempre attivo divenendo il centro vivo della
città ed imponendosi come il polo occupazionale più importante, dopo i Cantieri
Navali, di Palermo.
Mentre nel 1936 il teatro mutava la sua natura giuridica in
Ente Autonomo e nel 1998 diveniva Fondazione Lirica, negli anni Settanta si
riaffacciava il fantasma della monaca con la chiusura nel 1974 del monumento
per oltre un ventennio causa un riadeguamento
alle norme di sicurezza ed un riammodernamento della
struttura che avrebbero provocato ancora una volta polemiche, ritardi, denunce,
accuse. Proprio in occasione del centenario, il 16 maggio 1997, veniva ugualmente festeggiata la sua inaugurazione con un
concerto commemorativo dell'Orchestra e del Coro del Teatro diretto dal M° John Neschling, che era stato
preceduto il 12 maggio 1997 dai doppi concerti nella mdesima
giornata dell'Orchestra e del Coro del Teatro Massimo diretto da Franco Mannino
e dell'Orchestra Philarmonica di Vienna diretta da
Claudio Abbado in occasione della festa di
riapertura. L'evento, fortemente voluto ed atteso da
tutta la cittadinanza e dalle maestranze del teatro, avveniva grazie anche
all'entusiastica partecipazione e apporto delle forze lavorative e
imprenditoriali della città. Il Massimo sarebbe divenuto perfettamente
funzionante per la sua prima stagione lirica, dopo il ventennale esilio al
Politeama Garibaldi, nell'aprile del 1998 quando il
pubblico palermitano potè assistere all'Aida
di Verdi ritornando a riempire con rinnovato calore le sue rassicuranti mura.