Turismo: due chiacchiere con il giornalista Alessandro Stajano

Estratto dall'intervista al giornalista Alessandro Stajano rilasciatami il 6 ottobre 2008.

Alessandro Stajano, moderatore durante la presentazione del libro di Gloria Chiappani Rodichevski L'Effimero in posa a Borgo Cardigliano di Specchia (Lecce) il 25 luglio 2008.

© Foto Alexandre Rodichevski

La conservazione del patrimonio artistico-culturale in Italia: punti di forza e criticità.

Argomento assai delicato quest’ultimo. La mia formazione universitaria coincide, in buona sostanza, con un’educazione all’arte e alle implicazioni intimamente connesse all’opera e al modo in cui essa viene calata nel contesto sociale e urbano. Mi riferisco, in particolare, alla destinazione dell’opera: se si tratta di una committenza privata o pubblica e se, peraltro, l’opera è contemporanea o appartiene ad altre epoche. Caso, questo, che comporta le maggiori precauzioni, specialmente se il bene culturale è un edificio religioso o civile, una scultura esposta agli agenti atmosferici e inquinanti e via dicendo. Ancora si dibatte, a questo proposito, su come agire nei confronti di determinati prospetti eretti con materiali lapidei particolarmente soggetti a degrado ed erosione da parte delle intemperie come le calcariniti (la pietra leccese e i carpari per esempio). Gli anni ’80 e ’90 furono quelli in cui si fecero più danni che altro. Le iniezioni indiscriminate di cemento e l’uso spropositato di consolidanti risolsero momentaneamente il problema. Ma non si tenne conto del lungo periodo. Soprattutto si sorvolò sulla regola principale di ogni intervento di restauro: ovvero che l’intervento dev’essere innanzi tutto conservativo, evidente e reversibile. Intere facciate di palazzi, prospetti di chiese e templi sono stati irrimediabilmente compromessi da stuoli di neo-architetti e ingegneri il cui unico pensiero era di appaltare e concludere rapidamente i lavori assegnati da amministrazioni compiacenti e ignoranti. Tutto questo senza tenere in alcun conto le singole specificità tecniche e costruttive delle opere e le diverse reazioni dei materiali utilizzati su di esse. Ciò detto, caste a parte, va sottolineato che dopo “la grande illusione” Berlinguer, sulle possibili prospettive per i laureati in Conservazione dei Beni Culturali in un’Italia troppo piena di tuttologi e povera di specialisti, oggi si continua ad agire sulla scorta del minor costo di una gara d’appalto. Le lobbie professionali che hanno contribuito ad affondare noi conservatori, ancora privi di un Albo e paragonati ai laureati in Lettere, imperversano senza pensieri. E, cosa temibile, senza quella sensibilità culturale e formativa necessaria ad accostarsi alle opere d’arte. Palermo, Lecce e molte altre città d’arte sono state “colpite” da interventi neo-romantici sulla scorta delle teorie di Pugin, Ruskin e Morris i quali, a cavallo tra Otto e Novecento, inculcarono la moda del ritorno all’antico sventrando gli edifici per riportarli alla nudità delle superfici. Intonaci e policromie, ormai scialbate da secoli d’incuria, sono stati rimossi. I materiali da costruzione (mai esposti prima d’ora agli agenti esterni) ne soffrono irreparabilmente. Risultato: oggi vediamo dei veri e propri falsi storici. Non sono mai esistiti edifici a pietra vista. Gli antichi avevano compreso, meglio di noi, che intonacare e decorare con stucchi e policromie svolgeva anche una funzione di protezione, oltre che estetica.

Quali sono, secondo te, i criteri di una di promozione turistica di sicuro successo?

Essere consapevoli della propria identità culturale è già un buon punto di partenza. Oggi pare ci sia un sentimento d’appartenenza alla propria terra meno radicato di quanto, in realtà, si voglia far credere. Ma ci sono più risorse per le Amministrazioni e questo, ultimamente, sembra coincidere con ottiche di sviluppo territoriale mirate proprio al recupero delle tradizioni locali. Ci sono casi d’eccellenza che dovrebbero far meditare, in primo luogo, i cittadini sul significato di identità e appartenenza come avviene nel piccolo Comune di Melpignano, in provincia di Lecce (sede dell’evento canoro di matrice popolare “La Notte della Taranta”). Questi ultimi hanno poco o nulla a che fare con l’invasione delle sagre che propinano ai turisti degustazioni di prodotti tipici in località dove di tipico non è rimasto più nulla a causa della speculazione edilizia in danno dell’ambiente e dello stesso contesto storico-urbanistico d’origine. Per promuovere un territorio occorre conoscerne approfonditamente la storia, i confini geografici e le peculiarità idro-morfo-geologiche; l’ecosistema e le emergenze architettoniche e naturalistiche. Solo a questo punto, credo, si possa procedere ponendosi degli obiettivi finalizzati alla fruizione sana e non invasiva del territorio. Questo, però, a patto che il territorio (leggi la pubblica amministrazione e i cittadini) sia disposto a fare ammenda e a porre rimedio agli scempi passati: vedi Punta Perotti a Bari, le ville dei camorristi alle pendici del Vesuvio o della mafia sotto l’Etna; degli alberghi e delle residenze private lungo le spiagge più belle d’Italia, o sulle scogliere soffocate dal cemento. Non parliamo dell’assurda mancanza di una seria catalogazione del patrimonio artistico dei singoli Comuni che, ancora oggi, accolgono i turisti con una segnaletica insufficiente e troppe volte inesatta, nessun front-office concretamente attivo e pronto a fornire materiale guida utile invece che meramente autoreferenzialistico e pubblicitario e, soprattutto, una puntuale conoscenza di ciò che di pregio artistico o culturale insiste sul territorio. Insomma. Le cose vanno ancora molto male.

E se volessimo calare le tue osservazioni nel Salento?

Il Salento in particolare, e la Puglia in generale, stanno vivendo un nuovo Rinascimento culturale. Da noi si sperimenta, senza dubbio, ma si combatte per ri-conquistare quell’identità locale traviata da secoli e secoli di dominazioni e influssi esterofili che, ad ogni buon conto, hanno forgiato l’attuale matrice mediterranea di quest’estrema propaggine della Penisola. Interi paesi della provincia si giovano del positivo insistere sul territorio delle facoltà umanistiche. Il dipartimento di archeologia dell’Università del Salento, diretto dal professor Francesco d’Andria, è il maggiore dell’Italia centro-meridionale e sta realizzando interessanti progetti tenuti in considerazione a livello internazionale. Uno tra tanti il “museo diffuso” del Comune di Cavallino (in provincia di Lecce) che ha aperto la strada alla costituzione degli eco-musei su tutto il territorio nazionale. Paradossalmente, il Salento, è oggi più noto nel mondo non già per le bellezze paesaggistiche e artistiche che da sempre lo contraddistinguono, quanto più per il Laboratorio di Nanotecnologie che attrae ricercatori e docenti da ogni dove. Segno che il territorio sta cambiando, cerca di migliorarsi e rispondere alla domanda locale di formazione sempre crescente. La risposta è interessante: negli ultimi 10 anni si è sviluppata nel Salento un’interazione tra mondo accademico e istituzionale, ma anche tra questi ultimi e i cittadini. Rapporto che oserei definire di natura osmotica. Là dove si crea un’emergenza il mondo accademico è pronto a rispondere apportando soluzioni innovative e a costi ragionevoli. Gli interessi stanno mutando e, forse, anche le sensibilità. Le amministrazioni si stanno lasciando dietro le spalle decenni di malagestione e si arricchiscono di nuove risorse professionali in grado di leggere in maniera più adeguata il territorio. C’è ancora molta strada da fare.