Arturo Ghergo.
L’immagine della bellezza
Milano, Palazzo Reale, dal 21 maggio al 29 giugno 2008
La
mostra. 1
Arturo
Ghergo e la via italiana alla glamour
photography. 2
Nota
biografica. 2
Informazioni 3
Rossana
Martini, la prima Miss Italia.
©
Foto Archivio Ghergo.
Autorizzazione
alla pubblicazione di CLP
|
L’esposizione ripercorre, attraverso 350 opere, la carriera
di uno dei protagonisti della fotografia del XX secolo che ha reso immortali
dive del cinema e della moda, celebrità politiche e religiose, ed esponenti
dell’alta società della metà del Novecento.
“Ghergo ha un forte ascendente
psicologico sulla persona che sta davanti alla macchina fotografica, in particolare
se si tratta di una donna: la capisce, sa metterla a suo agio, farla sentire
bella. Spesso impiega una, due ore prima di scattare una fotografia. Non di
rado l’attrice finisce quasi per svenire dallo sforzo al quale è sottoposta
sotto le luci calde dei proiettori. Questo è il momento migliore per ottenere
l’espressione voluta: quando la volontà del soggetto non si oppone più alla
volontà del fotografo.”
Nelle parole della moglie Alice, la sintesi del modo di
lavorare di Arturo Ghergo, uno dei grandi fotografi
italiani del XX secolo, la cui arte viene celebrata a Milano con una raffinata
mostra allestita dal 21 maggio al 29 giugno in Palazzo Reale.
L’iniziativa, promossa dal Comune di Milano – Assessorato
alla Cultura, prodotta da Palazzo Reale, si avvale del contributo di BNL (main sponsor), Tod’s, Alfa Romeo e Combi Line. Sponsor tecnico: Epson. Catalogo Silvana Editoriale.
Il percorso espositivo, curato da Claudio Domini e Cristina Ghergo, presenta 350 fotografie che documentano trent’anni
di lavoro, dai primi anni Trenta alla fine degli anni Cinquanta.
Le immagini testimoniano la grandezza di questo fotografo
che, con i suoi scatti, ha reso immortali dive del cinema e della moda,
celebrità politiche e religiose, ed esponenti dell’alta società della metà del
secolo scorso.
Davanti al suo obiettivo sono sfilati personaggi dell’alta
borghesia, della nobiltà nonché personaggi famosi in campi diversi: l’Aga Khan, Agnelli, Pietro Badoglio, Galeazzo Ciano, Alcide
De Gasperi, Luigi Einaudi, Leonor Fini, Hussein di
Giordania, Donatella Pecci Blunt, Mario Scelba...
E poi attrici come Alida Valli, Isa Miranda, Sofia Loren,
Ingrid Bergman, Valentina Cortese, Marina Berti, Doris Duranti, Assia Noris, Isa Pola, Mariella Lotti, Clara Calamai, Gina Lollobrigida,
Silvana Mangano, Silva Koscina, Silvana Pampanini, Rossella Falck, e attori quali Vittorio Gassman,
Massimo Girotti, Amedeo Nazzari,
per citarne solo alcuni.
Il visitatore ripercorre le tappe salienti della sua
carriera, iniziata nel 1929 quando si trasferisce a Roma dalle Marche.
Nonostante la sua totale mancanza di mezzi, decide di dedicarsi unicamente a
ritratti di formato non inferiore al 18 x 24 cm e riesce ad aprire uno studio
in pieno centro città, il famoso Studio Ghergo di via
Condotti – che per decenni sarà crocevia di personaggi famosi provenienti da
tutt’Italia. Dalla metà degli anni Trenta allo studio inizia a lavorare Alice Barciska che, dieci anni più tardi, diventerà la moglie di Ghergo.
Alice sarà anche la principale testimone di quegli anni, dalle
cui memorie riportiamo alcuni brani significativi:
“Un giorno capita in studio una ragazza molto magra,
bellissima, sofisticata, proprio il soggetto che si addice al suo gusto e alla
sue esigenze estetiche. Le foto ottengono un notevole successo nel mondo cui
appartiene la ragazza, il cosiddetto “gran mondo” di Roma, e questo fa nascere
la lunga serie di “ritratti di Ghergo”,
inconfondibili per lo studio delle luci e per l’espressione del viso e dello
sguardo del soggetto.”
“Nel 1939 Arturo Ghergo viene
chiamato a fotografare papa Pio XII. Mentre gli fanno la proposta, Ghergo già inquadra il papa, mettendosi in posa lui stesso
nel gesto di benedire. Durante l’effettiva ripresa, si avvicina a Sua Santità
e, prendendogli la mano, gliela atteggia nel modo armonioso che soddisfa il suo
senso artistico, ripiegandogli il dito mignolo e l’anulare e lasciando le alte
tre dita quasi distese. Da allora papa Pio XII benedice sempre ed
esclusivamente in questo modo.”
“Quando arriva una giovanissima Alida Valli, nel pieno della
sua bellezza, realizza venti ritratti, ognuno con pose ed espressioni
differenti come se si trattasse di venti donne diverse, quelle saranno le
immagini che, inviate negli Stati Uniti, frutteranno all’attrice il contratto
con la Paramount.”
“Una delle caratteristiche vincenti del suo lavoro, è non
aver paura, disponendo l’illuminazione durante la posa, di lasciare in evidenza
un difetto prodotto sul soggetto da una luce. Se questa luce è necessaria, non
ci rinuncia ed elimina in seguito il difetto con il ritocco del negativo:
corregge i corpi con tagli audaci e sicuri. I seni salgono, la vita si
assottiglia, i fianchi spariscono, la silhouette della donna diventa sottile,
slanciata, moderna.”
“Ghergo controlla scrupolosamente
la posa, l’illuminazione, il taglio dell’inquadratura, il tipo di obiettivo, la
velocità della pellicola, il valore della carta da stampa, il ritocco del
negativo, coniugando tutti questi elementi in una sintesi che conferisce una
particolarissima cifra al suo stile. Rifiuta di fare riprese in esterni, non
accetta la presenza nella composizione di elementi estranei (eccezioni possono
essere una sigaretta o un fiore)”.
“Le fotografie di Ghergo sono
tecnicamente e qualitativamente insuperabili. Fotografi si rivolgono a lui per sapere
come riesce ad ottenere certe stampe con sfumature di mezzi toni per loro
irraggiungibili. Dagli stabilimenti Ferrania viene da
lui il direttore, per chiedere delle stampe da inserire nel loro catalogo delle
carte fotografiche. In seguito, quando la Ferrania
comincia a produrre il materiale fotografico a colori, chiedono a Ghergo di collaborare per la loro pubblicità.”
Arturo Ghergo e la via italiana alla glamour
photography
Alida Valli, attrice.
© Foto Archivio Ghergo.
Autorizzazione alla
pubblicazione di CLP
|
Prima di Arturo Ghergo, in Italia
non esisteva ancora uno stile fotografico che si proponesse di comunicare
fascino. La glamour photography
era nata negli anni Venti fra i major
movie studios di Hollywood, accompagnando il
passaggio dal cinema muto al sonoro. È la fotografia il mezzo principale con il
quale divismo cinematografico viene diffuso al di fuori dei grandi schermi,
principalmente attraverso la stampa dei rotocalchi, proponendo nuovi modelli
estetici, in linea con una più generale evoluzione del gusto modernista
internazionale che dall’Art Nouveau era giunto al Deco. La glamour photography ricorre
frequentemente a pose scultoree e coreutiche, abbigliamenti eleganti,
espressioni distaccate, gesti sofisticati, forme sensuali esaltate da marcati
contrasti di luce, tutti elementi che concorrono a stabilire un’aura con cui si
segna una distanza insormontabile fra il divo, oggetto di ammirazione, e i
comuni mortali. Parallelamente, iniziava ad assumere un’identità più connotata
la fotografia di moda (fashion photography), non solo attraverso le riviste
specializzate (“Harpers’s Bazaar”,
“Vogue”), ma anche presso la stampa più popolare in cui compare con frequenza
crescente, non definendo una precisa linea di distinzione dalla glamour, di cui condivide molti
caratteri.
La glamour e la fashion
photography arrivano in Italia negli anni Trenta,
dunque nel pieno di una fase in cui il regime fascista si prefigge con sempre
maggiore consapevolezza di incarnare una via nazionale al modernismo, fondata
su valori coerenti con la tradizione culturale latina, facendo dell’ideale
estetico un veicolo di propaganda politica che avrebbe dovuto favorire la
presunta nascita di una nuova razza italica. L’isolamento internazionale che si
determina negli anni dell’autarchia (1936-43) favorisce notevolmente lo
sviluppo di un’industria culturale di massa per la quale Cinecittà diventa una
precisa alternativa a Hollywood e il rotocalco “Tempo” una risposta all’americano
“Life”, il più celebre nel mondo.
In questa industria, la
fotografia svolge un ruolo di grande importanza nel divulgare i nuovi modelli
estetici di riferimento. Non serve più la fotografia d’arte e pittorialista, improntata a criteri formali ed espressivi
derivati dall’arte accademica o del modernismo tardo-ottocentesco, a cui ancora
si ispira la ritrattista più affermata di Roma, l’ungherese Ghitta
Carell. Serve, piuttosto, una via nazionale alla glamour e alla fashion photography che esprima un nuovo
stile nazionale, moderno, portatore di nuovi valori, ma non in senso
iconoclasta rispetto alla tradizione, informato degli indirizzi
“novo-classicisti” che l’arte italiana del Ventennio stava proponendo. Lo
studio Ghergo diventa il promotore più efficace ed
evoluto di questa nuova fotografia, il più sofisticato ed emblematico
rappresentante del glamour nazionale,
concentrato in particolare nel definire nuovi modelli femminili, decisamente
evoluti rispetto al cliché matronale
e familiare dell’Italia più conservatrice, destinato a riscuotere successo fino
alla fine degli anni Cinquanta.
Arturo Ghergo (1901-1959)
Nativo di Montefano (Macerata),
dove aveva appreso i rudimenti della tecnica fotografica nello studio del
fratello Ermanno, Arturo Ghergo era giunto a Roma nel
1929, con il proposito di affermarsi come il miglior fotografo della Capitale.
Nonostante i mezzi economici fossero inadeguati, riuscì ad aprire uno studio
nella centralissima via Condotti, e a farsi conoscere nell’ambiente dell’alta
società romana come ritrattista raffinato e originale, anche grazie ad una tecnica
di ripresa e di successiva manipolazione delle immagini di straordinaria
qualità.
Dalla metà degli anni Trenta è il ritrattista prediletto
dall’aristocrazia romana e dal mondo cinematografico. Praticamente tutti i divi
di Cinecittà passano dallo studio di via Condotti 61, per esigenze legate alla
produzione dei film di cui sono protagonisti, ma anche per vezzo personale,
tale è il riconoscimento goduto da Ghergo nel suo
ambiente.
Ghergo non ama la celebrazione del
potere e, seppur ambito come ritrattista da molti personaggi celebri del mondo
istituzionale, raramente si concede, lo farà per Pio XII, per l’allora
Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, per Alcide De Gasperi e Giulio
Andreotti.
Accanto alla ritrattistica nella produzione di Ghergo trovano posto le immagini di moda, in quegli anni
poco o nulla praticata come “specialità fotografica”, e di cui egli risulta
indubbiamente un precursore, e qualche incursione nella pubblicità,
prevalentemente per la Ferrania.
A metà degli anni Cinquanta, in quelli che saranno gli
ultimi anni della sua vita, decide di dedicarsi con trasporto alla pittura, di
cui ci restano pochi ma apprezzabili esempi. Muore a Roma nel gennaio 1959.
Alla sua morte la moglie Alice prima e la figlia Cristina
poi, proseguiranno l’attività dello studio.
Massimo
Girotti, attore.
©
Foto Archivio Ghergo.
Autorizzazione
alla pubblicazione di CLP.
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Orari:
martedì, mercoledì, venerdì, sabato, domenica 9.30 - 19.30
giovedì 9.30 - 22.30
lunedì 14.30 - 19.30
Ingresso libero
Catalogo Silvana Editoriale (pagg. 168; 29,00 in mostra;
35,00 in libreria)
Info: www.comune.milano.it/palazzoreale
Ufficio stampa:
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