Un Mefistofele trascinante e sorprendente

 

Da Rocky Horror Picture Show via Las Vegas sino al Paradiso per il successo dell’opera di Boito a Palermo  1

I cast 2

 

Da Rocky Horror Picture Show via Las Vegas sino al Paradiso per il successo dell’opera di Boito a Palermo

Il tunnel verso il Paradiso.

© Foto Studio Camera Palermo

Il Teatro Massimo di Palermo ha inaugurato la sua stagione 2008, dedicata quest’anno all’eterna lotta tra il bene e il male, con una di quelle opere che più di tutte si armonizza con il tema scelto: il Mefistofele di Arrigo Boito. L’opera, che debuttò alla Scala di Milano il 5 marzo 1868, andò allora  incontro a un clamoroso insuccesso tanto che l’autore decise di rielaborarla sette anni più avanti, ripresentandola a Bologna il 10 ottobre 1875 notevolmente snellita (la prima versione durava ben sei ore), profondamente rivista ed adattata ai gusti dell’epoca.

Opera maestosa, controversa, dissacrante, tra melodie imponenti di doppi cori e cherubini, stregonerie, scapigliature, romanticismi, velleitarismi nelle numerose scene distribuite in un libretto composto da ben quattro atti, un prologo ed un epilogo, il Mefistofele non è un lavoro tradizionalmente spesso rappresentato nei teatri italiani e mondiali. A Palermo, poi, mancava da ben quaranta anni e, pertanto, la sua visione è stata anche una buona occasione per riscoprirla e renderla nota ad un pubblico più vasto.

L’alta cifra dello spettacolo di Palermo non può che partire dall’interessante e geniale regia di Giancarlo Del Monaco e dal bellissimo allestimento scenico di  Carlo Centolavigna (scene) e di Maria Filippi (costumi). Non più cherubini svolazzanti e angeli incombenti per il prologo e l’epilogo dell’opera bensì una scena nuda e vuota con, nello sfondo, un grande tunnel a imbuto che emana la luce celestiale di un Paradiso immaginario dal quale emerge quale angelo caduto sulla terra il protagonista dell’opera, Mefistofele, il cui satanismo viene camuffato per renderlo affascinante affabulatore, un momento uomo in smoking, un momento frate oscuro, un momento uno pseudo Papageno rivestito da una pelliccia di piume d’uccello, un momento improbabile drag queen: non un essere da aborrire, dunque, ma, piuttosto, da cui sentirsi fortemente attratti.  E l’ambientazione della storia, tradizionalmente rappresentata nel periodo medievale, viene qui immaginata nel contesto più attuale degli anni Trenta del XX° secolo per una festa popolare in una piazza di paese sovraffollata da gente comune, mischiata a clown e giocolieri, intorno ad una gigantesca e colorata giostra con i classici e colorati cavallini che girano. La Margherita di Del Monaco è rappresentata come un’ingenua contadinella, una sorta di Santa Maria Goretti, incolpevole per la sua innocenza, che morirà avvinghiata alla Croce: stupenda e toccante scena questa in cui, nella nudità di un ambiente totalmente claustrofobico di una clinica psichiatrica, emerge dal suolo una grande Croce metallica sulla quale la giovane donna si arrampica immolandosi per sfuggire per sempre dal peccato. Il dottor Faust ci è mostrato come un malinconico e sognatore vecchio che, trasformato in un giovane bello e aitante, si fa abbindolare dal fascino dell’impossibile ritorno alla giovinezza che dovrebbe avere come epilogo la sua perdizione. Il suo percorso però è inverso. Man mano, infatti, che assapora tutti i godimenti che gli vengono offerti, la sua mente si apre e diventa consapevole dell’inutilità, della vacuità di una vita fatta di sensazioni estreme sentendosi alla fine come attratto verso la luce del tunnel che lo condurrà in Paradiso dopo aver respinto per sempre le lusinghe di Mefistofele. Un tunnel, dunque, che all’inizio spinge sulla terra il diavolo e che alla fine risucchia verso di sé l’uomo pentito e redento. Questo percorso di consapevolezza di Faust è ben rappresentato dai fogli del libro del Vangelo che vengono strappati da Mefistofele durante il primo incontro con la sua vittima e che vengono ricomposti dallo stesso Faust sul punto di morte. Nel bel mezzo della storia, si arriva in un  Inferno senza fiamme e diavoli, bensì qui rappresentato come un’orgia sfrenata di un’orda di creature libidinose e sessualmente ambigue  in un ambiente alla Rocky Horror Picture Show, con luci da discoteca ultratecnologica, in un impianto concentrico a scale con pista da ballo centrale ed alla cui cima si staglia una sorta di prigione in plexiglas nella quale si intravvede la povera Margherita in preda ai suoi tormenti. Altrettanto ambigua la scena del sabba classico ambientato in una Las Vegas, costellata da neon, bingo, slot machines, casinò, con suo bravo Hotel Zeus, il tipico ristorante Venere e la pubblicità campeggiante del film Troy, in cui Mefistofele, nelle vesti di un portiere d’albergo, conduce il turista Faust, in classica camicia hawaiana dai colori sgargianti, alla conoscenza della gioia dei sensi personificata da Elena, l’ideale della bellezza femminile, coricata dentro un’enorme e luminosa conchiglia rosa che si schiude al suo arrivo mentre lei si sta intrattenendo safficamente con Pantalis  e che si richiude alla fine accogliendo l’amore etero dei due amanti.

Il bell’impianto teatrale e scenico che ha trascinato il Mefistofele palermitano al successo in una visualità suggestiva, incredibilmente nuova e fantasiosa, ha fatto, comunque, da corollario anche all’ottima resa esecutiva dell’opera. Un contributo essenziale alla qualità dello spettacolo è stato dato dall’orchestra del Teatro, ottimamente diretta da Stefano Ranzani, mai eccessiva ma sapientemente equilibrata sia negli slanci sonori più imponenti sia nei momenti lirici di delicata, maggiore introspezione. Anche il Coro, così come il Coro di Voci Bianche, diretti rispettivamente da Miguel Fabian Martinez e Salvatore Punturo, si sono messi in bella mostra intervenendo tra l’altro, il primo, con apprezzabile rilievo scenico e interpretativo nella festosissima scena di piazza dove si muoveva a frotte con grande naturalezza, danzava, si divertiva o nel sabba infernale dove faceva a gara in boccacce e gesti sinistri e orripilanti.

Di grande effetto la coreografia di Cesc Gelabert che ha coinvolto il Corpo di ballo in vivaci acrobazie nella scena di piazza, in provocanti e conturbanti situazioni orgiastiche nel sabba infernale e in delicate, lascive ed ultrafemminili presenze nella schiusa della conchiglia rosa dell’amore. Le luci coinvolgenti di Wolfgang von  Zoubeck hanno dato un senso ad ogni scena ma soprattutto magistrali e di grande impatto visivo sono risultate quelle del tunnel luminoso accompagnate dal canto celestiale fuori scena dei Cori.

Dimitra Theodossiu, che ha interpretato i personaggi di Margherita ed Elena, ha dispiegato la sua bella vocalità, limpida e cristallina, nei due ruoli. Particolarmente toccante ed emozionante il momento in cui si abbarbica alla Croce per sfuggire dal diavolo ed è da brividi quando, nella sublimazione del momento del trapasso, si rivolge verso l’amante. La sua frase: “Enrico… mi fai ribrezzo!” sembra esprimere più un senso di liberazione piuttosto che l’usuale sentimento di sdegno.  Giuseppe Filianoti, oltre a possedere una bella presenza scenica, è un Faust/Enrico ricco di slanci tenorili e con un delicate sfumature nelle mezze voci. Ferruccio Furlanetto, infine, è stato il matador della serata. Esordiente nel ruolo, ha tratteggiato la figura di Mefistofele in modo insinuante e da gran sovrano del male con superbo dominio della scena e del canto. Completavano il cast gli apprezzabili: Sonia Zaramella (Marta), Mimmo Ghegghi (Wagner) e Monica Minarelli (Pantalis).

Un successo per il Mefistofele di Arrigo Boito, opera controversa, da molti ritenuta banale, troppo imponente, piuttosto ripetitiva, enfatica e di difficile rappresentazione, che premia il grande impegno profuso da tutto il Teatro. Per la qualità del lavoro svolto e grazie anche alla geniale messa in scena, questo Mefistofele si è rivelato per il pubblico palermitano una riscoperta di grande impatto teatrale ed, in conclusione, si può ben dire che lo spettacolo sia risultato uno dei più riusciti di questi ultimi anni sulla scena del Massimo.

I cast

Teatro Massimo, 23,24,25,26,27,29,39 gennaio 2008

Opera in un prologo, quattro atti e un epilogo

Libretto e musica di Arrigo Boito

Direttore

Stefano Ranzani

Regia

Giancarlo Del Monaco

Scene

Carlo Centolavigna

Costumi

Maria Filippi

Coreografia

Cesc Gelabert

Luci

Wolfgang von Zoubek

Collaboratore alla regia

Marco Carniti

Assistente alla coreografia

Luigi Neri

Assistente alle scene

Mauro Tinti

Assistente ai costumi

Luisella Pintus

Personaggi e interpreti

Mefistofele

Ferruccio Furlanetto (23,25,27,30)

Askar Abdrazakov (24,26,29)

Faust

Giuseppe Filianoti (23,25,27,30)

Walter Fraccaro (24,26,29)

Margherita/Elena

Dimitra Theodossiou (23,25,27,30)

Alessandra Rezza (24,26,29)

Marta

Sonia Zaramella

Wagner/Nereo

Mimmo Ghegghi (23,25,27,30)

Giuseppe Caltagirone (24,26,29)

Pantalis

Monica Minarelli

 

Orchestra,  Coro, Corpo di Ballo e Coro di Voci Bianche del Teatro Massimo

Maestro del coro Miguel Fabian Martinez

Maestro del coro di voci bianche Salvatore Punturo

Nuovo allestimento

Scene,costumi e attrezzeria Fondazione Teatro Massimo

Costumi Soc.Coop. C.F.H.C. (Roma)

Parrucche Mauro Audello (Torino)

Calzature Sacchi (Fienze), Epoca (Milano)