Intervista ad Ernesto Borghi, consulente biblico

Comincio con la citazione di alcuni dati attinti dalla tua attività. Nel 2003 hai fondato l’A.B.S.I. (Associazione Biblica della Svizzera Italiana) che è definita “un sodalizio culturale ecumenico, che ha, quale suo fine, di favorire la lettura e lo studio della Bibbia nel territorio della Svizzera a maggioranza italofona al di fuori di qualsiasi divisione religiosa, sociale o culturale”.

Quest’anno sono usciti due libri tuoi, uno divulgativo, l’altro scientifico, relativi al Discorso della montagna (Matteo 5-7), editi da Claudiana, la casa editrice di riferimento del mondo protestante italiano.

Tra le pubblicazioni segnalate dall’A.B.S.I. si trova Leggere la Bibbia oggi, edito nel 2001 da Ancora, un volume collettaneo, che contiene saggi su passi biblici del Primo e del Nuovo Testamento scritti da personaggi operanti in ambito cattolico, protestante ed ebraico, Gianfranco Ravasi, Elia Richetti, Daniele Garrone.

Questa premessa ci porta necessariamente a parlare di ecumenismo. Potresti raccontare come è nata storicamente quest’esigenza?

La mia attività di biblista nel Canton Ticino è iniziata nel 1996. Sin da allora, anche a partire da esperienze di vita e di lavoro precedenti, ho sempre pensato al mio tentativo di essere cristiano come una prospettiva non chiusa all’interno della confessione di riferimento – per me la cattolica romana – ma aperta all’interazione con altre sensibilità e linee di azione etiche ed estetiche. Gli elementi di convergenza tra le diverse confessioni cristiane sono assai più numerosi di quelli di divergenza: se anzitutto Gesù Cristo è veramente il comune denominatore, gli elementi di distinzione non possono che essere, per quanto storicamente importanti, del tutto secondari, a meno che si ritenga il fondamento meno essenziale degli sviluppi più o meno fedeli ad esso. A partire da questa persuasione - purtroppo non condivisa di fatto da un numero crescente di membri di varie Chiese - ho proceduto costantemente su una linea di ecumenismo non buonista o irenico, ma dedito a individuare elementi di unità e cooperazione ovunque possibile in prima battuta tra credenti cristiani ed ebrei. Il 30 marzo 2000 si tenne a Lugano un convegno internazionale, intitolato Leggere la Bibbia oggi, organizzato da esponenti cattolici, riformati, avventisti ed ebrei insieme. Io ne fui il coordinatore a livello scientifico e globalmente preparatorio e, insieme ai colleghi, assistetti ad un fenomeno sbalorditivo: nel corso di quella giornata oltre seicento persone frequentarono complessivamente le tre sessioni del convegno. Si trattava di donne e uomini che avevano deciso di essere presenti essenzialmente non per “ordini di scuderia” ecclesiastici o di altro genere, ma per libera scelta: bastava passare in mezzo a loro per sentirne, anche non volendolo, commenti e riflessioni tutte in questa direzione. Già avevo in animo da anni di creare una forma stabile di attenzione alla lettura biblica nella Svizzera a maggioranza italofona (tra l’altro, avevo conosciuto bene la grande e meritoria azione realizzata dall’Association Biblique Catholique, operante nella Svizzera romanda). Ritenni inoltre che un dato “popolare” come quello registrato dovesse produrre qualche sviluppo concreto ulteriore. La fondazione dell’A.B.S.I. fu la logica conseguenza di questa determinazione. Nell’ottobre 2002 invitai, insieme a tre altri colleghi, oltre sessanta persone, di varie denominazioni cristiane e di provenienza culturale anche diversamente credente o non credente, a partecipare ad un primo incontro informale per confrontare liberamente idee e aspirazioni in vista della possibile ideazione e costituzione di un organismo di attenzione alla Bibbia. Fummo attentissimi a coinvolgere, in prima istanza, chiunque potesse avere qualche interesse, nelle Chiese e nella società civile, rispetto alla conoscenza della Bibbia. Risposero positivamente all’invito ventisei persone. Pochi mesi dopo, nel gennaio 2003, fondai, insieme ad altri esponenti della cultura accademica e mediatica ticinese, quella che si chiamò per pochissimi mesi “Associazione Biblica Ticinese” e, subito dopo, ricevuta l’adesione anche di alcune istituzioni italofone del Canton Grigioni, “Associazione Biblica della Svizzera Italiana”. Oggi il nostro sodalizio conta oltre duecento membri di estrazione culturale e religiosa multiforme, prevalenemente svizzero-italiani, ma anche italiani soprattutto del Nord della Penisola. Confidiamo di poter allargare ulteriormente il novero dei nostri aderenti e simpatizzanti al servizio della cultura di tutti.

Restiamo nel tema dell’ecumenismo. Cattolicesimo e protestantesimo sono due realtà storico-religiose che hanno lottato acerrimamente lungo i secoli e la storia di questa lotta è costellata di eventi non facili da accettare. Poi una possibilità di dialogo è parsa profilarsi all’orizzonte. A che punto è questo dialogo? A volte si è affermato che esiste il sospetto che si tratti di un dialogo condotto all’insegna del “vogliamoci bene” più che a quella di un coinvolgimento della base della piramide. Che cosa ne pensi, soprattutto all’insegna della tua attività in seno all’A.B.S.I.?

Viviamo momenti difficili, in cui troppi credono che solo l’arroccamento sulle proprie posizioni individuali o collettive, così da ribadire la propria identità culturale o religiosa, possa consentire di essere fedeli a se stessi e alla verità di cui sono portatori. Già nel 2001, in un libro intitolato La coscienza di essere umani, scritto insieme all’attuale prefetto della Biblioteca Ambrosiana, Franco Buzzi, avevo modo di affermare che le ragioni del dialogo ecumenico ed interculturale avrebbero potuto “imporsi”, solo ad una condizione: che ciascuno fosse consapevole di non essere il possessore in proprio della verità tout court e di dover far chiarezza sugli elementi autenticamente irrinunciabili della propria identità culturale, accettando il confronto sereno ed effettivo con gli altri. A distanza di alcuni anni ne sono sempre più convinto. Se la Bibbia diviene effettivamente il perno della formazione religiosa dei cristiani – e oggi non è ancora così -, allora le ragioni di scontro e di divisione verranno a diminuire sempre più e si riusciranno ad individuare le piste anche per superare le differenziazioni più marcate che impediscono a cristiani di differenti confessioni di riconoscere il bene che esiste nelle posizioni altrui. La strada che auspico, in nome di un pluralismo non qualunquistico, ma fedele alle origini della Chiesa di Gesù Cristo, è un cammino intrinsecamente plurale nella ricerca comune del fondamento unitario, dunque l’amore del Dio di Gesù Cristo per ogni essere umano, lo ripeto, in piena libertà e responsabilità. Si tratta di un cammino difficile, che richiede uno spessore umano ragguardevole in tutti ed un’intelligenza appassionata della bellezza e della bontà comuni. Mi permetto di consigliare, nella prospettiva che ho appena delineato, la lettura di un “aureo” libretto Communio sanctorum (Morcelliana, Brescia 2003) in cui cattolici e luterani tedeschi insieme delineano i percorsi più interessanti per un cammino di unità ecumenica autentica, dunque non buonistica né apologetica.

Sulla scorta della domanda precedente ti chiedo: che peso un teologo nonché storico del cristianesimo può o deve dare ai casi Galileo da una parte e Serveto dall’altra?

Anzitutto un teologo nonché storico del cristianesimo odierno non ne deve dare giudizi anacronistici, ma li deve collocare nei loro “contesti vitali”, quelli di decenni in cui la paura del diverso, un’idea fondamentalistica della lettura biblica e la fede cristiana sostenuta come un’ideologia erano condizioni assai autorevoli e praticate nelle Chiese e nella società europea. Quello che mi pare estremamente grave è che oggi si ripresentino rischi di situazioni similari, dopo vari secoli in cui si dovrebbe essere riusciti a fare chiarezza almeno in Occidente – ma non è purtroppo sempre così – sulle nozioni, per esempio, di “laicità non laicistica”, di “libertà religiosa” e di “libertà di coscienza”. Una diffusione di una lettura biblica sempre più rigorosa ed esistenziale potrà contribuire a creare “anticorpi” significativi rispetto a certe derive apologetiche e laicistiche che sembrano riproporsi a vario livello.

Torniamo all’A.B.S.I.: perché si è avvertita la necessità di creare questa associazione proprio nella Svizzera italiana?

Questa piccola regione dell’Europa continentale – meno di quattrocentomila abitanti, poco più di un quarto della popolazione della città di Milano – si trova ad essere “cerniera” tra il Nord e il Sud del nostro continente per ragioni diverse. Ne cito soltanto due: una presenza religiosa non cattolica cospicua rispetto a quanto avviene in Italia, ma non così rilevante come in altre zone svizzere o, comunque, euro-occidentali; una molteplicità culturale ragguardevole in un contesto socio-economico assai complesso. Vi è poi una ragione di carattere personale: la Svizzera ha offerto a me opportunità di lavoro scientifico e culturale, dal 1990 in poi, che mai altrove mi sono state prospettate, a cominciare dall’Italia. L’accadimento di trovarmi ad operare in contesto “straniero” ma utilizzando essenzialmente la mia lingua madre mi ha ulteriomente incentivato alla fondazione dell’A.B.S.I.

È innegabile la perdita di valori che affligge la nostra contemporaneità. Ti chiedo allora: come e quanto è cambiata la fede oggi?

Dalla fine del Concilio Vaticano II e dal Sessantotto in poi, almeno in Occidente, è stato ed è possibile passare da una fede cristiana prevelentemente “di tradizione” e “di paura”, basata su un’idea piuttosto terroristica e ritualistica del Dio cristiano e della vita ecclesiale ad una fede cristiana sempre più “di convinzione” e “di gioia”. Tale condizione si è variamente realizzata, occorre riconoscerlo, tra luci ed ombre e il cammino è certamente ancora molto lungo. La perdita di valori odierna è indubbia, ma che cosa è in radice? La mancanza di fiducia negli altri e nella necessità di una vita di relazioni bella e buona alla ricerca della serenità propria insieme a quella altrui, non contro di essa. Questo dato deriva – non è moralismo, è esperienza di tutti i giorni in troppi luoghi del Pianeta - dalla persuasione che il denaro sia il vero Dio a cui subordinare tutto a cominciare dalla dignità delle persone, dalla qualità delle relazioni tra loro e dal rispetto dell’ambiente naturale. D’altra parte oggi, nelle Chiese ci sono, a mio avviso, più che mai tutti gli strumenti per contribuire a umanizzare effettivamente relazioni ed istituzioni. Basterebbe non incoraggiare il devozionalismo più anti-evangelico, impegnarsi a costruire i percorsi formativi di tutti davvero sulla lettura esistenziale della Bibbia e rafforzare il rapporto tra culto e vita, evitando celebrazioni liturgiche protocollari, fredde e giocate sul rispetto puro e semplici di tradizioni umane. Ciononostante troppi esponenti delle “gerarchie” ecclesiastiche hanno ancora il cuore e la mente rivolte verso valori e contenuti religiosi che alle giovani generazioni e a molti adulti consapevoli non dicono alcunché e purtroppo non sembrano intenzionati a cambiare. Perché tale ostinazione sia così pervicace è difficile da sapere con certezza. Temo che una delle motivazioni è la loro scarsa fiducia nella possibilità che la cultura ebraico-cristiana di matrice biblica contribuisca sensibilmente all’evangelizzazione radicale di tutti, non come apertura all’obbedienza all’autorità ecclesiastica, ma in piena libertà e responsabilità.

L’ateismo: un dramma, secondo te?

Se “ateismo” significa l’assenza di una convinzione religiosa pubblicamente dimostrata, non credo sia un dramma, perché si può benissimo vivere – e la storia l’ha ripetutamente dimostrato – fondando la propria vita su valori etici non manifestamente religiosi e fornire un contributo decisivo al bene della società in cui si vive. Se “ateismo” vuol dire, invece, assenza di un valore forte di riferimento per la propria esistenza che le dia un senso costruttivo al di là del proprio particolare individuale, allora, sì, ritengo che ciò sia facilmente un dramma. Tale situazione, infatti, può impedire più di altre di valorizzare le doti che si hanno e può ingenerare la sensazione, a gioco più o meno lungo, di condurre un’esistenza sempre più inutile e scialba. Qualsiasi credente in valori che lo trascendono e sono umanisticamente connotabili può avere difficoltà nella sua vita, talora anche terribili, ma può avere, grazie ad una scelta esistenziale “fiduciosa” e “affidata”, anche maggiori risorse per superare quanto di negativo lo affligge o perlomeno per ridurne gli effetti più devastanti. E comunque il dramma dei drammi per gli esseri umani e per le società di ogni tempo e di oggi in specifico è l’aumento non dei non credenti, ma dei non pensanti, cioè di quanti sembrano condurre la vita senza farsi mai delle domande che li portino ad andare al di là di sé e della propria sfera personale. Si tratta di una categoria di persone che temo si stia ampliando, in particolare, in Occidente, tra coloro che non hanno difficoltà economiche, anzi spesso non sanno come spendere le proprie risorse e si baloccano tra interessi francamente non sempre umanamente esaltanti.

Atei si nasce o si diventa?

La risposta a questa domanda è molto difficile e la complessità è accresciuta anche dalle diverse accezioni che si possono dare alla parola “ateo”, come ho cercato io stesso di dire. In ogni momento della vita si può perdere fiducia nei valori in cui essa era stata fondata sin dall’infanzia: indubbiamente certe controtestimonianze ad opera di persone ed istituzioni possono contribuire a questo “svuotamento” valoriale. D’altra parte penso che, anche in questo campo, la parabola evangelica del seminatore (cfr. Marco 4,1-9 e testi paralleli) abbia un grande valore simbolico anche al di là del contesto biblico e cristiano. Non tutte le proposte culturali che si incontrano nella vita sono egualmente umanizzanti, cioè aiutano a divenire migliori in termini estetici ed etici complessivi: tutti hanno bisogno di criteri di discernimento e le radici antiche della cultura comune – in particolare quelle greco-latine ed ebraico-cristiane e il confronto tra le loro espressioni letterarie, filosofiche ed artistiche – possono aiutare molto in questa direzione.

Dire famiglia, oggi, che cosa significa?

Resto persuaso che sia ancora e debba restare un’istituzione formata da una donna e da un uomo e da chi nasce dalla loro unione, fondata sull’amore intelligente, generoso ed appassionato tra i due partners e sul riconoscimento responsabile ed esplicito da parte della società civile. Le relazioni stabili di carattere omosessuale e quelle di carattere eterosessuale refrattarie al riconoscimento pubblico legato al matrimonio – poco importa se civile e/o religioso – non sono famiglie, sono altra cosa. Ovviamente ciò non pregiudica assolutamente che all’interno delle unioni appena menzionate si possa vivere un amore pieno in termini di rispetto e dedizione, in tutta libertà e gioiosa creatività. Anzi esse possono testimoniare esemplarmente tali valori rispetto a tante coppie sposate che non ne sono capaci e si “trascinano” stancamente a livello comportamentale. Di valori intensamente “relazionali” e “familiari” vi è un bisogno crescente e penso che anche in questo campo un’attenzione effettiva a quanto emerge da vari testi biblici, a partire da Genesi 1-2, potrebbe far scomparire tanti luoghi comuni sessistici e far guardare, per esempio, ad un’idea di “diversità sessuale” davvero sostenibile e promozionale dell’umanità di tutti.

In tutta questa schietta confusione contemporanea, il ruolo del consulente biblico, quale tu sei, che importanza riveste?

Potrei dare un contributo professionale utile a suscitare un rinnovato e/o nuovo interesse verso la Bibbia e i suoi testi come punto di riferimento per la crescita interiore e sociale di chi si dice credente e di chi ritiene di non esserlo. Ciò potrebbe avvenire via internet, attraverso conferenze, seminari e pubblicazioni, come e più di quanto faccio da una quindicina d’anni a questa parte in tanti ambienti, nelle Chiese e nella società civile, anzitutto in Svizzera e in Italia, ma anche altrove.

Fin qui ho solo fatto cenno ad alcune delle tue attività: fondatore dell’A.B.S.I., esegeta, consulente biblico. Aggiungo, ora, che sei stato docente di esegesi neo-testamentaria e introduzione al Nuovo Testamento presso la Facoltà teologica di Lugano, presso l’Università Salesiana di Torino e presso l’Università di Friburgo, e che dal 2000 insegni esegesi biblica presso il Centro per le scienze religiose di Trento. Coordini anche, dal 2003, la formazione biblica nella diocesi di Lugano. Ti lascio la parola affinché tu possa parlare di tutte queste attività.

Occorre dire che il fatto di essere di nascita e cultura italiana, di essere un laico sposato e padre di famiglia e di non aver mai fatto di parte di gruppi ecclesiali o di lobbies culturali o politiche mi ha creato difficoltà ed opportunità. Sono originario di un Paese in cui le occasioni di lavoro economicamente e normativamente serie per chi è teologo (poco importa se esperto di Bibbia, teologia sistematica o morale) e non è prete risultano rarissime, anzitutto perché le istituzioni accademiche statali danno rilievo scarsissimo alle discipline bibliche e teologiche e la Chiesa cattolica in Italia, salvo poche eccezioni, non investe denaro nella creazione di dette opportunità lavorative: le motivazioni sono più o meno varie, ma il crudo dato di fatto è questo. Come ho già detto in precedenza, se nella Svizzera, prima romanda e poi italiana, non si fossero create per me delle possibilità di lavoro serie – in buona parte anche, non posso tacerlo, grazie alla mia creatività e determinazione – la mia vocazione esistenziale di biblista non avrebbe mai potuto trovare espressione, il che probabilmente non sarebbe stato un gran danno per la ricerca e l’insegnamento in ambito biblico, ma per lo sviluppo della mia persona, sì.

L’università di Fribourg e, in particolare, il Dipartimento di studi biblici e la biblioteca interfacoltaria di storia e teologia sono stati ambienti fondamentali per la mia vita di docente e di ricercatore. Da borsista della Confederazione Elvetica (1990/1991), da assistente alla cattedra francofona di Nuovo Testamento (1994/1997) e da docente di esegesi neo-testamentaria (2005) ho vissuto fasi decisive per la mia formazione scientifica e la mia professionalità di studioso e formatore, tutti momenti che ricordo con piacere e gratitudine. Ogniqualvolta ritorno a Fribourg – almeno una volta all’anno per ragioni scientifiche e umane generali – mi pare, per certi versi, di “tornare a casa”.

L’attività alla Facoltà di Teologia di Lugano (1996-2003), iniziata su richiesta di mons. Azzolino Chiappini, rettore pro tempore dell’epoca, è stata per me assai positiva e stimolante a livello complessivo, soprattutto sino al 2001, cioè finché non si sono fatti sentire al livello dirigenziale massimo di quella istituzione intolleranza culturale e miopia formativa. Mi auguro di potervi riprendere la mia azione di ricercatore e docente nel futuro prossimo, in ragione del fatto che stanno venendo meno le ragioni fondamentali che condussero alla fine della mia collaborazione in tale contesto universitario. Gli anni di docenza in esegesi neo-testamentaria presso la Pontificia Università Salesiana a Torino (2003-2006) sono stati una delle esperienze più costruttive e rasserenanti della mia vita. Certo: la retribuzione economica è stata modesta – aspetto a cui un padre di famiglia non può non guardare - , ma il clima di rispetto e di accoglienza che vi ho respirato, le opportunità di studio e di ricerca offerte da una bellissima biblioteca, l’amicizia di cui continuo ancora oggi ad essere oggetto da parte di colleghi e studenti mi hanno permesso – da professore supplente quale ero – di augurarmi di avere altre opportunità di lavoro nel “terreno salesiano”. Posso dire altrettanto dell’esperienza trentina, che, dallo scorso anno, ha un allargamento alto-atesino all’Istituto di Scienze Religiose di Bolzano. Da professore a contratto quale sono – i miei sono stati quasi sempre corsi-blocco di dodici ore l’anno – ho potuto fornire un contributo alla formazione biblica di molte decine di studentesse e studenti, di varie età. Il tutto sembra essere risultato costruttivo negli anni, anzitutto se si considera che molti frequentatori hanno continuato a partecipare ripetutamente anche al di fuori delle esigenze implicate dal loro curriculum di studi. Può essere che sia stato o sia solo il loro “masochismo” a spingerli, ma forse c’è dell’altro…

Per quanto riguarda il ruolo di coordinatore della formazione biblica della Diocesi di Lugano, si è trattato di un’idea mia, che, nel settembre 2003, ha trovato ascolto e sostegno essenziali da parte del vicario generale del Vescovo cattolico dell’epoca, mons. Oliviero Bernasconi. In ragione della retribuzione, sia pure a tempo parziale, garantita da questo incarico - rinnovato annualmente nei primi due anni e poi, con estensione triennale, dal 2005 al 2008 -, ho potuto dedicare alla ricerca e alla divulgazione in campo biblico molte energie, che, diversamente, avrei dovuto concentrare in altri ambiti professionali, al fine anche di garantire il sostentamento economico indispensabile ai miei familiari. Mi auguro che questo incarico possa essere confermato ancora a lungo, al fine di sviluppare, anzitutto nella Svizzera ticinese e insieme a laici e religiosi, tutta una serie di azioni formative che appaiono sempre più utili in vista di un contributo effettivo alla cultura di tutti, quali che siano le scelte circa il senso della propria vita che ognuno ha espresso.