Intervista al coreografo Luciano Cannito

Luciano Cannito a Palermo, durante le prove di Franca Florio, regina di Palermo.

© Foto Alessio Buccafusca

20 ottobre 2007

Franca Florio, regina di Palermo si darà in prima mondiale dal 21 al 27 novembre 2007 a Palermo. Ne vogliamo parlare?

Franca Florio è un progetto atipico rispetto a ciò che si fa negli ultimi anni in Italia e in Europa. È un grande balletto che ‑ pur essendo moderno ‑ si inserisce nella tradizione classica. Ma non si tratta di un Lago dei cigni dei poveri! L'ho definito un grande balletto riferendomi alla struttura scenografica e a quella musicale-sinfonica. La storia si srotola con un approccio cinematografico.

Una storia affascinante, quella di Franca Florio. La protagonista è di Palermo, città che ‑ per scelte preconcettuali e storiche ‑ viene considerata di confine. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che la Palermo ottocentesca era il centro del glamour e della cultura: era una delle città più alla moda del mondo. E in quell'epoca sono stati fondati negli Stati Uniti circa trenta piccoli centri battezzati Palermo, non perché i fondatori erano palermitani emigrati, ma perché il capoluogo siciliano era tanto famoso che se ne prese a prestito il nome.

Franca Florio e i Florio erano tra le persone più in vista del momento: ella, ovunque si spostasse in Europa, aveva l'attenzione dei media e le copertine delle riviste dedicate. Era una diva della Belle Époque, anzi, la più famosa diva della Belle Époque. Non essendoci la TV, questo interesse mediatico era importantissimo. La famiglia era la più ricca del mondo e aveva la più potente flotta del Mediterraneo. Poi Franca Florio è stata toccata da un fato di tragedia.

Ho dato vita a due altri balletti con protagoniste femminili: Cassandra (ambientato negli anni '50) e Carmen. Con Franca Florio mi piace pensare d'aver creato una trilogia non dichiarata sul mondo femminile: si tratta di una trilogia di donne potenti, indipendenti, che sanno quello che vogliono, ma che mantengono una loro fragilità. Sono dotate di sesto senso che permette loro di percepire, prima che altri lo facciano, ciò che accade. Di Cassandra si parla come della matta; a Carmen ci si riferisce come alla "zoccola"; Franca Florio, l'unica tra esse veramente esistita, è invece la regina.

Ripeto spesso che la mia linea culturale nel mondo della danza e dell'arte è quella di lavorare sull'evoluzione e non sulla rivoluzione dei linguaggi. Evoluzione e rivoluzione rispondono a due opposte linee di pensiero: entrambe permettono, comunque, di crescere. Mentre le rivoluzioni tendono spesso ad essere sterili, perché modificano con violenza, ritengo invece che il mondo dell'evoluzione ‑ pur essendo più lungo ‑ sia più proficuo.

La "riscrittura" dei balletti classici: Schiaccianoci, Cenerentola, Carmen… Da che cosa nasce l'esigenza di rivisitare un classico? C'è chi afferma che un classico o lo si sovverte o è del tutto inutile semplicemente ritoccarlo. Quali corde ti fa vibrare questo statement e quali sono i tuoi criteri di rivisitazione?

Franca Florio, regina di Palermo: Carla Fracci.

© Foto Alessio Buccafusca

Rivisitare un classico: tema di discussione vasto e vario! Rivisitazione non è riedizione. La riedizione tel quel di un balletto non può esistere.

Io sono a favore della notazione della danza (alcuni miei balletti sono depositati presso la Fondazione Benesh di Londra), ma negli ultimi anni sto tornando sui miei passi di presa di posizione su questo argomento.

La danza in fondo è effimera. È come un fiore e una pianta: sono regali che ci fa la natura, ma la pianta ‑ se la sai curare ‑ sta lì per dieci anni, mentre il fiore lo butti via dopo tre giorni.

La Giselle del 2007 non è come l'originale del 1841! È passata attraverso tutti gli esseri umani che l'hanno interpretata. In musica è diverso, perché un sol è un sol.

Dunque esistono due punti fondamentali. Primo: non si può rifare un classico (ormai lo dicono i russi più russi!). Secondo: nel mondo dell'arte sei libero di fare quello che vuoi?

Di Cenerentole ne esistono tantissime. Se creo un balletto che per ipotesi viene dato 500 volte durante la mia vita, è il pubblico che lo porta a diventare un classico. Noi facciamo teatro e vendiamo biglietti per mangiare. Roberto De Simone mi raccontava che nel 1800 si creava per mangiare. Pensa a Donizetti che lavorava su commissione e si era guadagnato il soprannome di Dozzinetti, dato che di lavori ne produceva a dozzine!

Se oggi creo Bolero, dopo un Béjart, significa che non capisco niente di marketing. Quindi la diversità la fa il buon senso. Non esiste nel mondo dell'arte una cosa che non si può fare e una che si può fare.

Soprattutto da che ho avuto una bambina, ritengo importante conservare la tradizione perché mi spiacerebbe che lei non vedesse più i classici.

Gli unici due classici che ho toccato sono Cenerentola e Schiaccianoci. Non è un caso, perché si tratta di due favole "neutre", che non coinvolgono la psicologia umana. Cenerentola ha 2500 anni (5000, secondo altre fonti; Bruno Bettelheim ne parla diffusamente in un suo libro).

Toccare un classico musicale, stiamo dicendo: cioè prendere soprattutto la musica di un balletto; in questo caso, perciò, la storia è una sorta di scusa. Stiamo dunque parlando di utilizzare la partitura.

Un grande spettacolo di danza deve avere una forza musicale straordinaria. Senza quella musica un balletto non ha successo. La musica sta un gradino più in su della danza; è una casa dove vivi. Se vivi in un basso non stai bene come in una casa bella e comoda.

Luciano Cannito coreografo. Può esistere coreografia senza musica, come affermano taluni? Prima di lasciarti la parola, ricordo che vieni descritto come un "coreografo che dalla musica parte come fonte principale di ispirazione".

Merce Cunningham mette la musica dopo la creazione della danza. Ci sono scuole di pensiero che operano in modi diversi: lo dicevamo anche prima. Del resto senza ricerca non saremmo dove siamo, sia nell'arte sia nella vita. La ricerca serve per avere un risultato che faccia dell'opera d'arte qualcosa di più bello. Ma chi sulla propria ricerca fa spettacolo, è paragonabile allo scienziato che in un congresso parla della ricerca e non del risultato. La ricerca la conduci all'università, con i tuoi studenti: se io voglio accedervi, ci sono le dispense.

Franca Florio, regina di Palermo: Rossella Brescia.

© Foto Alessio Buccafusca

Prendiamo un altro esempio. Io vado in Germania e porto uno spettacolo in prosa in italiano: affascinante, ma gli spettatori non capiranno nulla. Se invece mi preoccupo di parlare in tedesco, allora sì che sono capito!

Come danza contemporanea provengo dal mondo israeliano degli anni '80 (io sono italiano, comunque). Poiché là non esiste la tradizione classica, quella contemporanea è evolutissima. Quando sono tornato in Italia, io stavo duecento anni avanti! Comunque in Italia (al Teatro Massimo, nel mio caso, visto che ne sono ora il direttore artistico), devo rispettare ciò che il pubblico desidera comperare. Per me è giusto e affascinante fare uno spettacolo che la gente capisca. Non sto parlando male degli altri, sto solo affermando che la ricerca va usata per giungere ad un risultato.

Il pubblico va alla Scala e dalla Scala si attende qualcosa, quindi Forsythe se lo va a vedere al Teatro Lirico e non alla Scala. È come se tu andassi in un ristorante di pesce e chiedessi i bucatini all'amatriciana.

Qual è il mio scopo artistico con Franca Florio? È quello di creare un buon balletto ed avere anche un teatro strapieno. In questo senso la scelta dei cast giusti è importante: è su di essi che si cuciono i ruoli. Carla Fracci è la rappresentante del mondo più raffinato dei teatri, quasi un'icona, e le cose le fa in modo straordinario. Rossella Brescia, diplomata all'Accademia di Roma, ha una tecnica strepitosa, è una donna bellissima che ha imboccato la via televisiva ed ora è un personaggio mediatico. Ho, insomma, puntato la mia scelta su due personaggi non scontati.

E di Giuseppe Picone che cosa mi dici?

È un personaggio di grandissima bellezza e bravura. Come vedi, quindi, io cucio i ruoli addosso ai cast: non preparo minestre precotte.

La differenza tra spettacolo classico, moderno, postmoderno, deuterocanonico (mettici, insomma, tutto quello che vuoi), la faccio con la qualità: ecco, se manca quella io divento razzista! Il nemico vero, mi pare di poter riassumere, è la mancanza di onestà.

Nei tuoi balletti ho notato che ci sono concetti ricorrenti, ma che assumono connotazioni diverse a seconda del contesto. Ecco qualche esempio.

La festa è presente in Cenerentola (festa di corte), in Cassandra (cerimonia cittadina per l'inaugurazione di un monumento; festa di matrimonio tra Paride e Hellen), in Te voglio bene assaje (la lunga festa da Madame Barbaja), in Schiaccianoci (la festa di Natale).

La memoria (vedi Amarcord) si tinge di nostalgia in Marco Polo.

Il sogno è, di volta in volta, ricordo del passato (sempre Amarcord), capacità di avere oltre l'effimero (Marco Polo), evasione da realtà anguste (Cenerentola), sogno-premonizione (Cassandra).

Il tema del viaggio si concreta in un oggetto: la valigia. La sacca da viaggio di Marco Polo è simbolo di un viaggio che, pur essendo terminato, continua idealmente. La valigia di Enea, in Cassandra, è simbolo di un viaggio che comincia e che si contrappone in qualche modo alle peregrinazioni di Ulisse.

Franca Florio, regina di Palermo: Rossella Brescia al casinò.

© Foto Alessio Buccafusca

Ma tu conosci perfettamente i miei balletti! Confermo al 100% ciò che dici! Sono temi della mia vita non solo culturale. Ricordo e curiosità sono chiavi che vanno a braccetto nel mondo di arte e comunicazione. Ho sempre detto che nel lavoro della creazione dell'opera d'arte c'è un'azione fisica. In sostanza, quando entro in sala, ricordo qualcosa che non c'è ancora. C'è, cioè, il ricordo del futuro, quindi permetto allo spettatore di immaginare e di evocare.

Soffermiamoci per un momento su Amarcord. Ha inaugurato il 2 luglio (con replica il 5) la stagione estiva 2006 della Fondazione Teatro Massimo, nello scenario all'aperto del Teatro di Verdura di Villa Castelnuovo. Accanto a Viviana Durante, Vladimir Derevianko interpretava l'Ufficiale tedesco. Dell'interpretazione di Volodia è stato scritto: "Di forte impatto […] la conturbante presenza dell'Ufficiale tedesco di Vladimir Derevianko che rende in modo scioccante il suo personaggio ambiguo e viscido."

Giusta osservazione. Volodia in scena è un animale razionale. Ti parrà contraddittoria la mia affermazione, ma non lo è. Da Volodia uno si aspetterebbe soltanto istinto, ma nulla esiste di casuale nella danza. Volodia sa coniugare due tipi di ballerini: quello razionale e quello istintivo. Qui è il coreografo con anni di esperienza che te lo dice. Sono due tipi di ballerini molto diversi fra loro, ma con entrambi fai un ottimo lavoro. In Volodia non è tanto il suo fisico che fa la differenza: se egli è venuto fuori spregiudicatamente, è perché è eclettico e raccoglie in sé i due tipi di ballerini cui facevo cenno sopra. Parliamoci chiaro: non esiste il discrimine del bruttissimo/bellissimo; per essere davvero in scena uno deve possedere qualcosa di speciale: solo così funziona.

Volodia è straordinario: è una persona vera. Ti dice sempre quello che pensa e te lo dice con una semplicità che ha dell'incredibile.

A Franca Florio, regina di Palermo è dedicata una galleria fotografica e una recensione del fotografo di danza Alessio Buccafusca.