Raccontarsi poeta

Intervista rilasciata nel gennaio 2004 da Gloria Chiappani Rodichevski al Gruppo di poesia di Poetilandia, qui proposta in una versione riveduta ed aggiornata.

Partiamo con una domanda, forse assurda per la ragione che è impossibile esaurirla, ma che vivifica il fondo dell'anima di ogni poeta: che cos'è la poesia per Gloria Chiappani?

Come si avrà occasione di meglio specificare oltre, la poesia per Gloria Chiappani rappresenta non tanto o non solo una necessità quanto piuttosto una malattia cronica.

Cos'è che distingue la poesia dalle altre forme di comunicazione mass-mediatiche? Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che sono proprie della poesia e non si ritrovano in nessun altro tipo di linguaggio?

Partiamo dall'etimologia, che è sempre buona norma, ascrivendo la prosa a quelle che Lei cita come altre forme di comunicazione mass-mediatica.

Sia «prosa» sia «verso» derivano dal latino: «prōsa (ōrātĭo)», cioè «discorso che procede per tutta la riga» e «versus -ūs», cioè «il voltare», quindi «l'andare a capo». La prosa indica dunque un modo di esprimersi per il tramite di parole non legate a schemi metrici, come invece avviene in poesia; ed è proprio quell'andare a capo che modula il ritmo, anche quando si «finge», con l'uso degli enjambement, di cambiare riga. Grazie al suo modo di funzionare, la poesia è sintesi ed analisi nel contempo: l’ermetismo ci ha insegnato a sintetizzare attraverso la «parola scabra», mentre è grazie alla polivalenza semantica che possiamo affrontare l’analisi.

Forti di una tradizione versoliberistica più che secolare, di una produzione poetica che sembra aver battuto ormai ogni strada, ogni tipo di sperimentazione, spesso siamo portati a pensare che la poesia abbia ora raggiunto la sua compiuta libertà. Ma è proprio vero? O c'è qualcosa che ancora manca, a cui il poeta deve ancora tendere?

È difficile sapere in quale direzione andranno le prossime eventuali ricerche poetiche, dato che si nutre l’impressione che tutto e in tutti i modi possibili sia stato detto (e non soltanto nella poesia, ma in ogni forma d’arte).

Quali sono (se ci sono), secondo lei, i «difetti» della poesia contemporanea?

Un difetto è quella ricerca esageratamente tecnicistica che attutisce il battito del cuore, che impedisce la sublimazione del dire e genera una certa freddezza:

 

Scrivo automatiche parole

nessuno saprà quanto = (a)

sono infelice = (infelicità)

(Dario Bellezza)

 

Ancora: l'uso di immagini prosastiche e prosaiche, a volte piattamente o volgarmente quotidiane. Comprendo la ragione di questo modus operandi (la protesta verso una prosaicità che ha invaso sia gli alvei della poesia sia la nostra stessa vita, contribuendo ad indurire i sentimenti), ma fatico ad accettarlo, soprattutto quando mi pare gratuito:

 

con esagerati alpenstock e knikerboker, calzerotti e foulards ‑

indistinguibili nel bruno pigmento delle guance alterate dal 37,3 ‑

imboccano quietamente – scelta eroica e giudiziosa – la strada

della tubercolosi.

(Attilio Bertolucci)

 

Sacco di merda e di vendetta

Sbattuto giù dalla camionetta

(Giovanni Giudici)

 

En passant: della poesia contemporanea non sono interessata al ritorno alla rima, anche se ne colgo il portato spesso ironico che esprime l'irrequietezza d'un vivere senza rete: la poesia in rima non rientra nel mio modo di scrivere (quando voglio giungere all'ironia lo faccio attraverso altri tramiti).

Viviamo in un mondo, almeno quello occidentale, il cui ritmo è legato indissolubilmente all'albero motore del progresso scientifico e del suo potere gnoseologicamente normativo; agli equilibri complicati – e spesso spietati – di sistemi economici e politici che tendono a evolversi e a rafforzarsi, spesso a porsi in posizione di netto contrasto nei confronti di eventi e fenomeni che potrebbero pregiudicare il loro predominio sulle nostre società. Può esserci, secondo lei, un rapporto tra il proliferare di una scrittura intimista, più o meno volutamente sciatta, di umile impronta diaristica, non di rado percorsa da una vena d'allucinata atmosfera, e lo sconforto del poeta di fronte a un mondo ormai troppo complicato o troppo esatto? La naturalità alla quale molti scrittori, spesso anche sconosciuti e fuori dei grandi giri di mercato, si rifanno è un atto di protesta, di resistenza o di malinconica e dolorosa sconfitta? O cosa?

Oggigiorno, sempre più spesso, si denuncia un disorientamento generale che porta chi vuole esprimersi attraverso la scrittura a nascondersi nelle pieghe più risposte di se stesso per dire le sofferenze d'un'anima incompresa: il risultato di questo dire è una letteratura che viene etichettata come sentimentalista ed intimista. Quindi, per rispondere alle Sue domande, sì, il disorientamento, lo sconforto, l'assenza di riposte possono portare l'uomo a ripiegarsi su se stesso. Anche quella del gruppo dei crepuscolari, del resto, fu una reazione che aveva il sapore dell'antidannunzianesimo, ma fu anche ribellione ad una società intollerabile con i suoi problemi e con i suoi travagli; ribellione messa in atto per il tramite di un estraniamento e di un conseguente cercare rifugio in un mondo diverso.

Atteggiandomi, invece, a cinica, dirò che la scrittura «più o meno volutamente sciatta, di umile impronta diaristica», come l'ha definita Lei, potrebbe non avere l'affascinante sapore della protesta e/o della conscia e nobile sconfitta, ma essere molto più semplicemente uno stile cui si aderisce perché «viene» senza fatica, senza troppo pensarci. Tra gli autori del sottobosco si trova infatti assai spesso chi afferma di trasferire sulla carta direttamente ciò che «esce dalla penna», vale a dire seguendo l'ispirazione del momento e non volendo – dopo l'atto creativo – procedere ad analisi di sorta.

Nel panorama odierno della produzione poetica italiana, ravvisa qualche scrittore particolarmente valido o suggestivo? E nel panorama internazionale?

Faccio fatica a staccarmi dai classici (il cammino intrapreso per seguire i «miei» classici mi porta comunque fino all'ermetismo e anche un po' oltre), quindi non esploro sistematicamente la poesia contemporanea. Non dimentichiamo, del resto, che solo il filtro del tempo potrà equilibrare i nostri giudizi: la neoavanguardia è così vicina a noi, che non esistono confini tra noi e i protagonisti di detta avanguardia. Non abbiamo cioè ancora avuto il tempo di assimilare e di far sedimentare le loro voci, le quali non riusciamo a districare con chiarezza le une dalle altre: la voce che ci pare addirittura quella di un profeta nell'istante in cui l'ascoltiamo, potrebbe – domani – nullificarsi.

In Giorgio Caproni colgo suggestioni d'una certa intensità. In Attilio Bertolucci (penso alla sua Camera da letto) non trovo sussulti, spasimi, splendori. Gradisco invece abbastanza Andrea Zanzotto. E se – nonostante gli sprezzanti veti di Spinazzola – Roberto Sanesi lo consideriamo pure poeta (del resto anche altri critici e saggisti hanno composto poesie: Giorgio Barberi Squarotti, Giovanni Giudici, Mario Luzi), devo dire che un piglio ve lo colgo. I suoi versi mi pare di preferirli a quelli di Dario Bellezza.

Della neoavanguardia straniera ho fruito con simpatia Tom Raworth. Ho apprezzato quel significativo e tutto cummingsiano uso della prima persona singolare con la minuscola («i contain the complications», ad esempio): è l'appiattimento o addirittura la vanificazione dell'io.

Potrei continuare.

In quali condizioni versa, secondo lei, il mercato della poesia in Italia?

Temo che la poesia non «venda».

Ad un ragazzo o una ragazza che hanno intenzione di accostarsi alla scrittura poetica, cosa si sentirebbe di consigliare?

Scrivere non deve essere una "buona intenzione"; non occorre volerlo, occorre saperlo fare.

È altra cosa se invece ci si accosta alla scrittura poetica solo per un'esperienza la quale, rappresentando un'isola, possa completare la nostra personalità nel senso che – essendo stati a corte – fruiremo della poesia con, d'ora in poi, cognitio causae.

Se – ed è un altro caso – ci si accosta alla scrittura poetica perché già la poesia urge dentro, occorre avere una base culturale solida. Non ci si deve, in altre parole, abbandonare solo all'ispirazione del momento (l'«ingenium» oraziano contrapposto all'«ars»). Uno scrittore deve essere necessariamente molto colto (cultura di vita oltre che libresca) e saper maneggiare gli strumenti del mestiere con maestria.

Anche se a verso libero, quanto è importante la conoscenza della metrica nella composizione di una poesia?

Occorre sempre conoscere le istruzioni per l'uso!

Chi è Gloria Chiappani, perché scrive poesie e in quale occasione e a quale età scrisse la sua prima poesia?

Gloria Chiappani è un'anticonformista, un'individualista che non ha mai voluto essere un «numero-pecora del coro» e che ha conseguentemente dovuto far propria la massima joyciana: «L'originalità, pur essendo una ricompensa di per se stessa, non conduce invariabilmente al successo.»

La passione per la scrittura le deriva dalla madre. La critica disse: «"scende per li rami" essendo la figlia [...] di Celeste Chiappani Loda». Sua madre ha dunque avuto una fondamentale importanza nella sua formazione intellettuale e scritturale.

Iniziò a comporre poesie all'età di cinque anni, ma – non sapendo ancora scrivere – dettava a sua madre, che le raccolse in un quaderno, le proprie composizioni. Quando ne fu in grado, cominciò a scriverle lei stessa in quel quaderno. Successivamente si dedicò anche alla prosa con racconti, articoli, opere teatrali, critica, diario ed altro.

La sua prima poesia parla della solitudine della cui esistenza deve convincersi una bambina (l'autrice non ha avuto un'infanzia rosea).

Scrivere (non solo poesie) è stato dunque per Gloria Chiappani il prodromo d'una malattia della cui cura non s'è mai avvertita necessità alcuna e che s'è cronicizzata.

C'è una persona in particolare (conosciuta personalmente nel suo mondo quotidiano, o apprezzata attraverso la lettura) che ha agito come trait d'union iniziale, tra lei ed il mondo della poesia?

Ho appena spiegato che la passione per la scrittura mi deriva da mia madre, non perché ella mi abbia iniziata allo scrivere, bensì perché ho succhiato la poesia (la scrittura in genere) con il latte materno. Se quest'ultimo potessimo etichettarlo come persona, eccolo, il mio trait d'union.

Quale fu la reazione iniziale dei suoi familiari, dei suoi amici e dei suoi conoscenti, quando vennero a conoscenza che lei scriveva poesie? (incredulità, ammirazione, scetticismo, ironia... che altro?). Ritiene che questa loro posizione sia cambiata, attraverso gli anni? Crede che questi atteggiamenti possano essere stati in qualche modo utili o di ostacolo alla sua attività di autrice?

Nella mia cerchia non ci fu reazione negativa alcuna; anzi, non ho mai immaginato che ce ne potesse essere una. Le mie insegnanti delle scuole elementari, poi, apprezzavano molto il mio scrivere e mi esortavano a non smettere.

Quale delle sue poesie vorrebbe non avere mai scritto e perché?

Tutto ciò che ho scritto è servito da apprendistato. Questo, naturalmente, non significa che ami tutte le mie poesie.

A quale delle sue poesie si sente più emozionalmente attaccata?

A molte. Forse una tra quelle di cui subisco maggiormente il fascino (mi par quasi di sdoppiarmi, quando la recito, e di fruire di me stessa come di un'estranea che mostra la propria interiorità) è Poemasedici.

Se nella sua vita non avesse incontrato la poesia, quale delle altre arti avrebbe voluto abbracciare?

Sono nata con la poesia dentro, perciò mi è difficile rispondere; inoltre l'inclinazione verso un'arte (la scrittura, nel mio caso: non parlo infatti solo di poesia) c'è o non c'è. Quindi non amerei essere altro da me, tuttavia vorrei avere il tempo di approfondire altre forme d'arte che ho affrontato con minore intensità, come la musica e il disegno.

Il suo prossimo volume, sarà innovativo per il Suo modo di scrivere o ricalcherà strade in qualche modo già seguite?

Sto dando corpo ad una silloge di poesie che si snodano attorno ad un unico tema, il Tempo (ho già avuto modo di presentarne una parte durante una conferenza-récital da me tenuta recentemente) e sto ampliando – per il tramite di detta silloge – la mia esperienza di scrittura in lingua inglese e francese, tenendo conto che ogni lingua ha le sue leggi.[1]

Quali sono gli autori di cui ha cercato di innamorarsi (in senso letterario) senza riuscirci?

Si tratta di un'evenienza che non m'è mai capitata. Non ho mai cercato di innamorarmi: l'innamoramento o viene da sé o non viene e non ha senso forzare Cupido a scoccare la freccia.

La letteratura in generale e la poesia in particolare non trovano spazio nei grandi mezzi di comunicazione come i network televisivi; pensa che il pubblico italiano sia abbastanza maturo e preparato per assistere ad eventuali programmi di questo genere?

È risaputo che oggigiorno – non parlo solo dell'Italia – si legge poco e in modo differente rispetto al passato. Per stare al passo, ad esempio, il mercato che rivolge la sua produzione di periodici all'average man, punta su riviste con articoli brevi, che trasmettano poche e accessibili nozioni, il tutto arricchito di immagini; oppure allega libri di piccola stazza che è possibile ottenere aggiungendo un sovrappiù al prezzo del periodico. Questa situazione si riflette anche sugli altri mezzi di comunicazione, come quelli da Lei citati.

Da più parti si levano forti e reiterate lamentele sul fatto che la televisione non propone più trasmissioni culturali. Mi chiedo: ove lo spettatore dovesse essere chiamato a fare uno sforzo per mettere da parte la stanchezza quotidiana, fisica e mentale, e il culto per l'immagine che gran parte delle sue energie assorbe, lo farebbe di buon grado? Si è assistito ad un tale degrado culturale – parlo in senso generale – che, se si dovesse tentare di risalire la china, ne sortirebbe un grande malcontento: culturizzarsi è faticoso; molto meglio assistere ad eventi sportivi che accendano gli animi e a spettacoli all'insegna del sesso à gogo. Insomma: la «petite madeleine» proustiana non l'abbiamo ancora trovata e con essa non abbiamo trovato la motivazione per tornare indietro e ri-educarci.



[1] Il volume è stato pubblicato nel mese di aprile 2004 con il titolo Cronografie.


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