Il girasole

Il grosso Girasole, tenendo la testa piegata, pensava alla sciocca credenza che dice come questi fiori girino la corolla, durante l'arco della giornata, per seguire il "cammino" del sole. È vero che lui e i suoi compagni amavano l'astro e ne assorbivano il calore da cui i petali traevano la bella luminosità, ma certamente non giravano su se stessi, da est a ovest, per un intero dì. Poi pensò al fatto che la sua testa era tanto pesante perché i semi erano ormai maturi. E ciò significava che a giorni, forse il giorno stesso, sarebbero venuti a tagliarlo alla base: questo coincideva con la fine della sua vita abbarbicata alla terra; se qualcosa fosse accaduto ancora, dopo tale operazione, non conosceva; del resto non gli importava saperlo. Tale era il destino suo e di tutti i suoi fratelli passati e futuri. Ogni essere vivente ne ha uno al quale è impossibile opporsi; ma nonostante fosse convinto di ciò non si rassegnava al fatto che, tra tutti gli esseri che popolano il pianeta, solo le piante, grandissime come gli alberi e minuscole come l'erba più sottile, fossero costretti a restare, vita natural durante, ove il loro seme aveva attecchito, per puro caso o per volere dell'uomo.

Oh, che sogno assurdo il suo!: poter diventare un uomo…

Oramai il sole era tramontato e già si poteva vedere una luna così fulgida da non averne mai visto di simili. Il Girasole si incantò ad osservarla: era come se una grande forza tenesse fisso il suo sguardo alla luce tanto diversa da quella del sole, e nel frattempo sentì un lungo brivido percorrerlo dalle radici all'ultimo petalo. Un po' vergognoso guardò di sottecchi i suoi compagni: era un tipo molto schivo che amava tenere per sé i suoi sentimenti, le sue emozioni. Con gran sollievo s'accorse che intorno a lui o dormivano o stavano per addormentarsi. Be', a questo punto non gli restava che imitarli, anche se i grilli e le civette sembravano più rumorosi del solito: forse quella luna eccezionale esercitava anche su di loro uno strano potere.

Ad un tratto ebbe un sussulto: qualcosa di soffice - una piuma? un fiore? - gli stava solleticando i sepali; nello stesso tempo una voce sottile prese a parlare:

- Ciao, io sono il Genietto dei Sogni più Unici che Rari e sono venuto per accontentarti. Purtroppo devo porre una condizione: dato che sei una pianta comune, non preziosa, ornamentale, intendo, ma solo utile dovrai guadagnarti da vivere lavorando come operaio in una fabbrica di automobili. Mi rendo conto di averti messo in gran confusione con simili annunci, oltre che in grande agitazione, ma ti assicuro che non hai nulla da temere: le magie rendono tutto possibile e facile. Sarà come tu fossi nato figlio d'uomo, che fossi cresciuto tra gli uomini ed ora fossi un uomo sulla quarantina, come ce ne sono a milioni e milioni. Concludiamo: domani mattina alle sei trovati sul posto di lavoro. -

Il Girasole si accorse, per prima cosa, di avere l'uso della parola. Avrebbe voluto approfittarne immediatamente per porre decine e decine di domande, tutte legittime, tutte pertinenti, ma si accorse che il Genietto era ormai scomparso.

Sbalordito, confuso, impaurito, ma anche assai curioso, il fiore-uomo mosse qualche passo insicuro e si guardò in giro. Con quella luna sembrava di trovarsi quasi in pieno giorno; motivo per il quale si chiese sbalordito come si trovasse in un campo di girasoli a quell'ora. Una domanda che non lasciò traccia, per fortuna. In quel momento un solo concetto gli era chiaro: doveva correre a casa per mettersi a dormire altrimenti sarebbe stato assai problematico il mattino dopo essere così per tempo pronto a lavorare alla catena di montaggio. Le gambe lo reggevano molto bene ora, ma egli non vi badò; perché avrebbe dovuto essere altrimenti?

Il lavoro di Girasole consisteva nell'avvitare tre bulloni su ogni pezzo che gli portava davanti il nastro trasportatore; il quale si muoveva ad una velocità costante e piuttosto notevole in modo da non lasciargli mai ferme le mani. Non era certo un lavoro di soddisfazione, d'altra parte, a sua memoria, aveva sempre svolto quello; gli dava di che vivere quindi doveva accontentarsi.

Passò un giorno dopo l'altro; passò un mese dopo l'altro e si giunse alla primavera, calda e precoce quell'anno.

Il capannone dove lavorava il nostro amico aveva la metà superiore delle pareti tutte in vetro così che il sole, nelle belle giornate, poteva essere seguito dal suo sorgere al suo tramonto; se non proprio il disco intero, data la posizione, che assumeva rispetto alla terra, almeno la sua luce sfolgorante che ne faceva indovinare la posizione. Una bella fortuna, pensava Girasole sentendosi tuttavia un po' strano. Come mai quel desiderio insostenibile di vedere il sole, di esporsi ai suoi raggi?

Oramai Girasole era giunto al punto di incantarsi a guardare la luce attraverso le vetrate senza nemmeno accorgersene, ad esporre ad essa le mani con palese beatitudine. Solo che così facendo lasciava passare anche una decina di pezzi senza avvitare a ciascuno i bulloni dovuti.

La faccenda era grave e ormai la direzione aveva deciso di prendere severe misure disciplinari.

Senonché la mattina stessa in cui il direttore generale voleva parlargli di persona, Girasole non si presentò al lavoro, non avvisò, non rispose al telefono.

Fu deciso allora di mandare a casa sua l'assistente sociale della ditta; e la donna si preparò a compiere il suo dovere, lasciò l'ufficio che era al primo piano, scese lentamente le scale, andò al parcheggio per prendere al sua vetturetta e infilò il viale asfaltato che portava al cancello d'uscita.

Ma ecco che, a metà viale, bloccò l'auto con una stridula frenata spalancando occhi e bocca ma senza riuscire a pronunciare una sola parola: proprio in mezzo all'asfalto si ergeva un magnifico girasole che stava iniziando a mostrare i petali del tipico brillante colore giallo cromo.

 

Tratto da Celeste Chiappani Loda, Dall'altra parte (favole e fiabe forse solo per adulti), su spunti di Alexandre Rodichevski, Torino, A.L.I.