Lo stupore che nasce dal Romanico
Il Romanico nel Ticino. Mostra nel ricordo del fotografo
Vincenzo Vicari
Biasca, Casa Pellanda ‑ dal 21 agosto al 15 settembre 2007
a cura di Silvano Calanca e di Valerio De Giovanetti
Dalla
brochure della ventesima edizione di "Cantar di pietre",
colonne dalle chiese romaniche della Svizzera italiana
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Ogni volta che ci si accosta all'arte romanica è
praticamente inevitabile che il pensiero vada a chiedersi come sia stato
possibile che essa abbia avuto in tutta Europa una diffusione tanto ampia. Al
di là delle peculiarità proprie di singole Regioni e Scuole, la riflessione
consente di constatare l'esistenza di una Cultura basata su valori comuni
allora accettati come fondanti. Valori che tra le altre cose si possono
riassumere nell'espressione "senso religioso dell'esistenza", inteso
come vero e proprio fenomeno sociale. Naturalmente questo non sta a significare
che il Medioevo – soprattutto l'Alto Medioevo il più soggetto a fantasticherie
anche da parte di studiosi e ricercatori – sia da considerare un periodo in cui
uomini e donne risultassero particolarmente devoti e mossi dalla fede alla
mitezza. Piuttosto, questo ci induce a rafforzare l'immagine nitida e realistica
di una quotidianità e delle sue dinamiche. Certo la storiografia attuale non
sempre aiuta fornendo, a chi specialista non è, quindi il grande pubblico,
un'immagine falsata, alla formazione della quale contribuiscono, e non poco,
chi attraverso letteratura, cinematografia, arte e musica vuole offrire oggi
una lettura ed una riproposizione del medioevo il più delle volte non basata su
dati oggettivi. Dati che, per certi versi, offrono la visione di un'Europa
dalla dimensione culturale omogenea, realtà che appare solo se ci si pone in
relazione con fenomeni evolutivi, sociali, economici, politici e di costume. In
quest'ottica appare dunque importante considerare lo stupore con il quale le
cronache medievali davano conto delle vicende, stupore che rivela una
incapacità di comprendere il senso ultimo della storia umana, una
inadeguatezza, mai negata o subita, ma accettata come condizione naturale
dell'uomo. Senza per questo sminuire l'importanza di tutto lo sforzo
storiografico che a vari livelli ed in vari campi ha portato negli ultimi anni
sempre maggiore luce sul mondo medievale, è importante che non vada perduto
questo insegnamento che lo stesso Medioevo ci ha trasmesso come modalità di
accostamento al proprio passato, soprattutto nel momento in cui ci avviciniamo
a questa civiltà attraverso la sua espressione artistica. L'arte romanica
infatti è l'espressione più chiara di questa capacità di stupore che
caratterizza l'uomo medievale. Anche quando si esprime nelle sue forme più
grandi, possenti e ricche l'arte romanica non è mai presunzione, ma alla
radice, umile offerta a Dio di qualche cosa che nel suo compimento supera la
capacità dell'uomo, e di fronte al quale l'unico atteggiamento razionale è
proprio lo stupore. C'è insomma uno spazio di mistero che agisce nella storia,
svelandosi attraverso quelle che all'uomo appaiono come insospettate rotture o
coincidenze causali; non riconoscerlo implica una scelta, conscia o inconscia,
per una lettura del passato e del presente preoccupata più di salvaguardare
l'integrità del proprio criterio che non la totalità del suo oggetto.
La mostra – che presenta le fotografie che Vincenzo Vicari
ha voluto lasciare in dono a "Cantar
di Pietre" – non vuole dare risposte che spengano lo stupore di quanti
incontreranno i monumenti ed i luoghi ivi presentati; al contrario, vorrebbe
suscitare questo stupore laddove non c'è, e mantenerlo vivo in tutti.
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